CONTROESODO GAZA/ “Chi torna chiede la pace, c’è bisogno della comunità internazionale. E i bambini…”

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Una lunga colonna di persone che procede verso il Nord di Gaza, destinate a camminare e ad arrivare in luoghi in cui regna la devastazione, ma che vogliono ritornare in quella che comunque rimane casa loro. Un segno di speranza, della volontà di ricominciare e, allo stesso tempo, di disperazione, visto che la possibilità di rioccupare la propria casa, in questo momento, è fondata sul nulla. La tregua, per forza di cose, ha migliorato la situazione nella Striscia, ma il contesto rimane di assoluta incertezza, con Trump che immagina una definitiva nakba dei palestinesi spostati in Egitto e Giordania e risponde ai cronisti di Times of Israel dicendo che i residenti di Gaza “vivrebbero meglio in un posto non violento”.



La tregua è fragile, ribadisce Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, e la possibilità di avere un futuro per la gente è tutta legata alla comunità internazionale. Stanno meglio i 600 sfollati che avevano trovato rifugio nelle strutture della parrocchia latina di Gaza; ogni sera, immancabilmente, ricevono una telefonata del Papa, che vuole accertarsi delle loro condizioni. Intanto Hamas ha reso nota la lista degli ostaggi: dei 33 previsti, 8 sono morti.

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Trecentomila palestinesi stanno tornando nel Nord di Gaza, da dove erano stati cacciati dopo i massicci bombardamenti di Israele. Ai microfoni di Al Jazeera hanno detto che per loro questo è un giorno ancora più importante di quello del cessate il fuoco. Che segnale rappresenta nel contesto della tregua: Israele ha rinunciato a occupare quei territori?

La situazione a Gaza cambia di giorno in giorno, quasi di ora in ora. Dopo più di 15 mesi di guerra è arrivato il tanto atteso cessate il fuoco, che sta dando sollievo alle grandi sofferenze della gente. È un inizio. La tregua non ha basi molto solide e, dopo questa prima fase, non ci sono molte garanzie che la guerra sia finita. Comunque, è stato importante fermare le armi. Ora la comunità internazionale deve controllare e intervenire per continuare su questa strada.



I palestinesi che torneranno a Gaza Nord troveranno le loro case completamente distrutte: le immagini mostrano interi insediamenti rasi al suolo. Potranno sistemarsi in quell’area e cercare di ricostruirle come desiderano, o non permetteranno loro di farlo?

Tornare nelle città e nei paesi anche distrutti è un desiderio della gente che ha dovuto lasciarli per non rischiare di morire. Certamente sarà traumatico non trovare le case e, soprattutto, non trovare le persone: sono luoghi che hanno subito gravi danni e chi li ha abitati per anni, spesso, non li riconosce. Sono state previste zone attrezzate con tende e servizi da chi gestisce gli aiuti umanitari. Il desiderio di rimanere e ricostruire è forte, ma ci sarà bisogno di aiuti internazionali e, soprattutto, di una situazione stabile per ritornare a pensare al futuro di Gaza.

Il presidente USA Trump è tornato a parlare della possibilità di trasferire i palestinesi in Giordania ed Egitto, secondo un piano che era stato ipotizzato anche dall’amministrazione Biden. È un pericolo concreto? Si pensa ancora a una soluzione del genere?

È tutto molto difficile da comprendere. La pace ha bisogno di equilibrio e non credo sia giusto togliere la possibilità di vivere nella propria terra a chi ha già perso tanto. Non conosciamo le reali intenzioni della politica internazionale, ma spero che alle intenzioni di pace possano seguire azioni di pace.

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Gli attacchi israeliani avrebbero causato lo sfollamento del 90% dei 2,3 milioni di palestinesi che risiedono a Gaza, praticamente quasi tutta la popolazione: dove sono sistemati e come vivono in questo momento?

La popolazione di Gaza era di 2,3 milioni di persone prima del 7 ottobre 2023. Ci sono stati tanti morti secondo i numeri ufficiali (oltre 47mila, nda), morti registrati dalle autorità locali. Sono numeri nei quali non rientrano i tanti morti non registrati e i tanti morti che sono ancora sotto le macerie. Chi è sopravvissuto vive in tende o per strada, in entrambi i casi al freddo, sotto la pioggia e con tanti disagi.

Ma che speranze hanno di tornare ad avere un’abitazione?

La speranza per il futuro di questa povera gente è nelle mani della comunità internazionale. Una vera ricostruzione potrà avvenire solo se la guerra sarà definitivamente conclusa. L’80% delle abitazioni sono distrutte, ospedali e scuole sono distrutti. Bisognerà aiutare, ma anche accertarsi che la guerra non torni a distruggere.

Come è cambiata la vita a Gaza dopo la tregua? Gli aiuti sono finalmente riusciti a passare in quantità sufficiente? 

Penso che la tregua abbia un primo e importante risultato: da una settimana non si muore a causa della guerra. Ho sentito il parroco di Gaza. Gli aiuti stanno arrivando, ma i bisogni sono tanti: cibo e medicine sono i sostegni indispensabili, ma serve tutto. Per ora molti camion sono riusciti a entrare a Gaza con regolarità e questo rafforza la speranza.

Come stanno le persone che si erano radunate intorno alle strutture della parrocchia latina di Gaza? Sono stati riallacciati i contatti con loro?

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Circa 600 persone sono state accolte nei locali e nelle scuole della parrocchia latina della Sacra Famiglia a Gaza. Papa Francesco è in stretto contatto con il parroco e i parrocchiani di Gaza. Ogni sera, alle ore 19, arriva la telefonata del Santo Padre che ha dato forza e speranza a tutti loro. Sono arrivati aiuti necessari alla comunità, che è tornata a gioire anche di cose semplici che non sono scontate, come tornare a mangiare frutta e verdura fresca!

La tregua permetterà anche di far uscire altri bambini che possono venire in Italia a farsi curare? 

Lo spero veramente. Il governo italiano ha dato la possibilità di cure a tanti bambini di Gaza, circa 200. I bimbi e i loro accompagnatori sono stati accolti dagli italiani con generosità e attenzione. Le richieste sono tante e presto cominceranno ad arrivare i casi più gravi. Se arriverà la pace, sarà possibile aiutare più bambini a curarsi, a salvarsi, a non soffrire. Sarà più facile affrontare e curare i traumi fisici; sarà più complesso guarire i danni dei traumi morali, ma l’amore e la solidarietà fanno miracoli.

(Paolo Rossetti)

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