L’attacco di Nordio ai giochi di ruolo è fuori tempo massimo, per questo non ci crede nessuno

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Interrogato alla Camera sul fenomeno delle organizzazione settarie, il ministro ha parlato dei vuoti normativi che impediscono di tutelare le vittime, paragonandoli a quelli intorno ai giochi di ruolo e ai danni psicologici che possono creare. La community dei giocatori: «Caccia alle streghe». In passato Nordio aveva detto che «incolpare i giochi di ruolo è come dare la colpa alla nebbia se si ha un incidente mentre si corre in macchina». Ora sembra aver cambiato idea

Si può dire che non sapendo con chi prendersela, il ministro della Giustizia Carlo Nordio se l’è presa con chi aveva assolto trent’anni prima: i giochi di ruolo. In un question time alla Camera lo scorso 22 gennaio, il ministro ha ritenuto opportuno associare ai presunti vuoti normativi riguardanti il fenomeno delle “sètte” quelli riguardanti il gioco di ruolo che – a detta del ministro – «hanno provocato tutta una serie di danni psicologici e di suicidi di cui nessuno ha parlato».

Tuttavia, si può annotare che lo stesso Nordio, quando di professione faceva il pubblico ministero, affermò nel 1996, nell’unico caso in cui questo passatempo venne chiamato in causa per un caso di suicidio, che «incolpare i giochi di ruolo sarebbe ingiusto: è come dare la colpa alla nebbia se si ha un incidente mentre si corre in macchina».

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Il precedente

A ricordarlo è un esperto come Andrea Angiolino, a sua volta creatore di giochi da tavolo e di ruolo con diversi decenni di attività alle spalle. Angiolino, che cura una rubrica su Radio Rai proprio sulla storia dei giochi e che sull’argomento ha pubblicato saggi come Storie di giochi (Gallucci, 2017), ricorda la vicenda che nel 1979 diede il via al cosiddetto “moral panic” legato a Dungeons&Dragons (D&D), all’epoca incolpato del suicidio di James Dallas Egbert III, un ragazzo che era sparito dal college dove studiava in Michigan.

Il detective assoldato dalla famiglia scoprì che il giovane James era sparito nei sotterranei della scuola, dove giocava con gli amici esplorandoli, e aveva puntato il dito contro il gioco che il ragazzo faceva con gli amici. «Se non fosse – spiega Angiolino – che il detective si era inventato tutto e che James Dallas Egbert III dopo qualche giorno riapparve sano e salvo. Aveva sì tentato il suicidio e si era allontanato dal campus depresso, ma non esisteva alcuna correlazione con il gioco».

Angiolino peraltro ricorda che negli anni successivi l’Italia è sfuggita a questa ondata, un po’ perché già si era attenuata negli Stati Uniti, ma anche perché persone come lui, e tanti altri pionieri del gioco da tavolo, avevano in qualche modo “spiegato” il gioco alle istituzioni.

Caccia alle streghe

Tre anni prima del processo sopra menzionato, lo stesso Angiolino con Gianluca Meluzzi – sotto l’impulso del Comune di Roma – dava alle stampe un gioco di ruolo dedicato all’Orlando Furioso. «Il Comune di Roma ne ha stampate mille copie che ha regalato a insegnanti, bibliotecari, operatori di ogni dove e c’è tra loro chi ancora ci gioca a scuola», dice ancora Angiolino.

In qualche modo, quando si arrivò al 1996, tanti erano “vaccinati” contro questa narrazione e la campagna stampa che cavalcò le accuse dell’avvocato Luciano Faron non attecchì. Nella community dei giocatori si passa dall’ironia – girano già i primi meme sulle parole di Nordio – al disappunto: ma non avevamo superato questa caccia alle streghe?

La colpa, questa volta, non è dei giornali. La sparata del ministro della Giustizia è caduta senza essere recepita nemmeno dai quotidiani più vicini al governo Meloni, memori forse dell’insulsa crociata contro i rave. Verrebbe da dire – dopo due anni – che se ci sono davvero dei “vuoti normativi” e il problema causa suicidi, il ministro non può limitarsi alle generiche lamentele, ma dovrebbe agire.

Peccato però che tutte le evidenze scientifiche dicano il contrario, come spiega Marco Scicchitano, psicoterapeuta e membro ordinario del Game science reasearch centre dell’IMT di Lucca e autore di Metodo LabGDR. Un manuale operativo per l’uso del gioco di ruolo in clinica, educazione e formazione (Franco Angeli, 2019) e che svolge la sua attività clinica presso il centro ITCI di Roma: «No, in nessun modo c’è una correlazione tra il gioco di ruolo e il rischio suicidario, anzi credo sia possibile dire, tenendo conto di tutti i comportamenti positivi che si rilevano tra i giocatori di ruolo (pensiero critico, capacità di cooperare, creatività, aggregazione sociale) che questo possa essere un fattore protettivo nei confronti di questo tipo di rischi».

Da più di dieci anni il dottor Scicchitano porta avanti un laboratorio in cui, oltre a usare il gioco di ruolo per lavorare sui ragazzi riportandoli ad «attività cooperative, dove non subiscono la creatività altrui ma costruiscono la propria espressività», ne fa uno strumento terapeutico: «Con la giusta preparazione, grazie a questo strumento, è possibile trattare disturbi riguardanti l’ansia, la percezione di sé, fobie sociali. In questi dieci anni abbiamo anche formato operatori in tutta Italia a questi metodi, con eccellenti risultati clinici e pedagogici».

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