Il consiglio d’amministrazione di Mediobanca boccia su tutta la linea l’Offerta pubblica di scambio di Montepaschi. Ma se questo era ampiamente prevedibile, la vera notizia di ieri è che Piazzetta Cuccia ha perso la sua proverbiale misura nelle dichiarazioni. Nel comunicato finale, al termine di un board dove la risoluzione è stata approvata col voto contrario dei rappresentanti di Delfin e di Caltagirone, emergono passaggi incendiari scritti in grassetto, denotando così un nervosimo del tutto inedito.
L’esordio della nota descrive la proposta da 13,3 miliardi di Rocca Salimbeni come «non concordata», «da ritenersi ostile e contraria agli interessi di Mediobanca». La banca d’affari guidata da Alberto Nagel (in foto, a sinistra) parte all’attacco affermando come l’operazione «non abbia valenza industriale pregiudicando l’identità e il profilo di business di Mediobanca focalizzato su segmenti di attività a elevato valore aggiunto e con evidenti traiettorie di crescita». Addirittura, Piazzetta Cuccia si spinge a dire come la prospettiva delle nozze «distrugga valore per gli azionisti di Mediobanca e di Mps essendo facile prevedere una copiosa perdita di clienti in quelle attività (quali il Wealth Management e l’Investment Banking) che presuppongono l’indipendenza, la reputazione e la professionalità dei professionisti». Non viene spiegato, tuttavia, per quale motivo a seguito del matrimonio i professionisti dovrebbero perdere la loro indipendenza.
A uno a uno, cadono anche i tabù dei messaggi velati e concilianti rivolti ai due grandi soci ritenuti i responsabili di questa operazione: l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone (nella foto a destra) che ha il 7,76% di Mediobanca e Delfin, la cassaforte dei Del Vecchio, con il 19,9% della banca d’affari. Questi ultimi vengono accusati di avere «interessi disomogenei» rispetto agli altri azionisti. Soffermandosi poi a sciorinare in modo velenoso i «rilevanti intrecci azionari» di Delfin e Caltagirone che sono presenti – oltre che in Mediobanca – anche in Mps, dove Delfin è il primo azionista privato con il 10%, mentre Caltagirone detiene il 5% (oltre a detenere il 5% di Anima Holding che a sua volta possiede il 4% di Mps), in Assicurazioni Generali, dove Delfin detiene il 10% e Caltagirone il 7%. Ma alla sicumera di Nagel fa riscontro la prima defezione all’interno del pacchetto di società e imprenditori che lo ha sempre sostenuto nell’ambito del patto di sindacato. Ieri l’ imprenditore della ceramica Romano Minozzi (cui f capo lo 0,11% di Mediobanca) ha affermato che l’Ops di Mps su Mediobanca «è nell’interesse dell’Italia. Il target finale sono le Generali. È una operazione da vedere in modo favorevole». E poi: «Mediobanca è un tramite per arrivare alle Generali. Con l’accordo 50/50 che Generali sta facendo con i francesi di Natixis la situazione è complicata, anche perché al 50% le società non durano». In serata, tuttavia, a dare manforte a Nagel è arrivata la notizia che Finprog, la cassaforte della famiglia Doris, ha apportato un altro 0,23% al patto che a questo punto conta sull’11,62 per cento.
Tornando però alla lunga disamina di Mediobanca, il documento inizia a bombardare pesantemente l’istituto guidato da Luigi Lovaglio, che pure fin qui si è distinto per le ottime performance. Nonostante questo, arriva una raffica di colpi sotto la cintura a Mps, descritta con «un patrimonio netto che fronteggia rilevanti attività fiscali, attività deteriorate e rischi di contenzioso legale (3,3 miliardi), indicatori di rischio peggiori rispetto alle altre banche italiane, rilevanti perdite pregresse, una marcata concentrazione geografica (70% filiali al centro-sud Italia) e di clientela (piccole e medie imprese), mancanza di fabbriche prodotto». Una descrizione che sarebbe andata bene due anni fa, peccato che nel frattempo è cambiato tutto a Siena. La risposta di Mps, arrivata da fonti vicine al dossier, fa notare che gli isituti non sono così diversi, con la stessa Mediobanca che ha cambiato il modello di business aprendosi al credito al consumo, attività «molto più nelle corde di una banca commerciale». Inoltre, le stesse fonti fanno notare una mancanza di riferimenti alla quota del 13% detenuta da Piazzetta Cuccia in Generali che «contribuisce a circa il 40% del risultato netto di Mediobanca».
Dalla quale arriva un apporto «importante alla crescita del market cap di Mediobanca, quota che se epurata porta un valore di mercato inferioriore a quello di Montepaschi». Ieri, intanto, in Piazza Affari Mediobanca ha perso il 4,3% (a 15,78 euro) mentre Mps ha limato ulteriormente del 2,4% (a 6,2 euro).
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