di Simona Lorenzetti
Lo sfogo dell’ex dg Giovanni La Valle con i magistrati: «Non mi fidavo di nessuno, i direttori dell’azienda portavano dati e informazioni che venivano sconfessati»
«Non è possibile che un polo ospedaliero e universitario di siffatta rilevanza ed efficienza medica (a livello italiano e non solo) sia gestito con carenze organizzative e contabili come quelle che sono emerse nel corso delle indagini».
Sono le amare considerazioni dei consulenti della Procura riportate in calce alle relazioni sui conti di Città della Salute. L’ultima, di oltre 300 pagine, è il cuore dell’inchiesta sulla malagestione dell’azienda ospedaliera ed è la base dell’accusa di falso ideologico che viene contestata a 25 persone — tra dirigenti ed ex, e medici — per le presunte «anomalie» nei bilanci dal 2013 al 2023. Tra dicembre e gennaio in Procura sono sfilati diversi testimoni (tra cui l’ex ministro Renato Balduzzi), sono stati interrogati alcuni degli indagati e fatte nuove acquisizioni documentali. Ed è così che l’indagine su Città della Salute ha dato vita a due nuovi fascicoli d’inchiesta. Il primo, per peculato, riguarderebbe l’utilizzo improprio di carte di credito: una parte degli accertamenti sarebbe concentrata sul ruolo di Franca Fagioli, direttrice di Oncoematologia all’ospedale infantile Regina Margherita. Nel secondo filone investigativo — si ipotizza sempre il peculato — si lavora all’ipotesi che diversi medici abbiano svolto visite private in orario d’ufficio.
Fin dalle prime battute, l’inchiesta su Città di Salute ha riguardato la gestione e la contabilizzazione delle prestazioni mediche in intramoenia e il mancato versamento da parte dei medici della quota del 5 per cento (legge Balduzzi) destinato al contenimento delle liste d’attesa: circa 7 milioni di euro che non sarebbero stati versati nel corso degli anni. Ora, però, si scaverebbe sull’ipotesi di prestazioni private durante il turno ospedaliero. Negli atti si evidenzia, nel capitolo dedicato alla libera professione, «l’assenza di una struttura informatica adeguata alla rilevazione e alla condivisione di dati contabili tra aree; i flussi informativi risultano essere caratterizzati da mail e note tra le varie strutture, senza alcuna verifica contabile centralizzata».
In un documento interno all’azienda si legge: «Vi è da evidenziare che l’attività, erogata in regime di libera professione, è stata effettuata durante l’orario istituzionale senza alcuna traccia di bollatura… a seguito di verifiche risulta che retribuzioni di equipe sono state effettuate utilizzando dichiarazioni “verbali”».
L’ex direttore generale Giovanni La Valle, nella memoria difensiva, parla di «un uso improprio del sistema di rilevazione delle presenze dovuto all’utilizzo in maniera massiccia della funzione di rettifica successiva». E ancora, sarebbe emersa una situazione di pagamenti «in contanti» che presentava «gravissime criticità legate a quella che doveva essere una eccezione motivata da situazioni eccezionali e che invece risultava una prassi diffusa da anni». E ancora, La Valle rivela la resistenza dei direttori dell’azienda quando decise di mettere mano alla libera professione e al versamento della Balduzzi: «Mano a mano che emergevano criticità, venivano portate all’attenzione dei singoli direttori. Da parte loro c’era un messaggio del tipo “è tutto a posto”. E invece tutto a posto non era… Non mi fidavo di nessuno, portavano dati e informazioni che venivano sconfessati».
L’ex dirigente amministrativo Beatrice Borghese nella sua audizione racconta che, quando ha assunto l’incarico, ha trovato numerose «criticità» e di essersi scontrata con un «atteggiamento ostruzionistico» quando chiedeva spiegazioni sulla libera professione. Non solo, mette in luce due ordini di problemi: «Da un lato, il fatto che evidentemente in alcune occasioni è stata esercitata attività di libera professione da parte del personale del comparto amministrativo/infermieristico durante l’orario di attività istituzionale con conseguente duplicazione delle remunerazioni; d’altro lato, il fatto che nell’orario di servizio effettivamente non venga svolta attività da parte del dipendente a favore della nostra azienda da cui viene pagato bensì per il medico».
Ed è sempre La Valle a dire ai pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni che, dopo aver messo mano al regolamento per il versamento della Balduzzi, cinque primari «che fatturano molto in libera professione» si sono presentati da lui «perché le nuove regole rendevano difficile l’espletamento del loro lavoro». Non solo, a fronte della «inattendibilità delle scritture contabili», spiega che se la libera professione avesse «evidenziato un regime di perdita, i relativi dirigenti non avrebbero potuto prendere il premio incentivante».
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