Donald Trump: la nascita della sua nazione

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Il congelamento di finanziamenti, sussidi ed ogni spesa pubblica federale in attesa di «revisione» da parte del presidente, è durata si e no 24 ore. Rescissa (per ora) dinanzi allo scalpore generale, è da considerarsi solo la prima manovra per sondare i limiti dell’autorità parlamentare invalidando stanziamenti già approvati dal Congresso.
La mossa è stata preceduta dall’abrogazione del diritto di richiesta di asilo e all’accoglienza dei profughi, dopo lo stop ad ogni assistenza umanitaria internazionale e ai bollettini epidemiologici della Cdc. Era già stato emanato per ogni ministero il divieto di comunicazione diretta con stampa. Erano state bloccate le assunzioni federali e licenziati in tronco 18 ispettori preposti a controllare la spesa pubblica. E precedentemente erano stati licenziati i procuratori che avevano indagato Trump (sotto inchiesta sono finiti anche i magistrati che hanno istruito i processi contro gli eversivi del 6 gennaio).

Lo stop ai fondi pubblici ha tuttavia prodotto un nuovo livello di caos in ogni settore sociale interessato da finanziamenti dello stato. In laboratori ed università ricercatori e docenti si sono chiesti se avessero ancora un lavoro. Servizi sociali ed assegni famigliari si sono immediatamente interrotti come i siti per le domande di assistenza e la gestione dei bonifici gettando nella confusione funzionari pubblici e gli assistiti nel panico.
Tutto annunciato da una circolare della Casa bianca che parlava della necessità di interrompere i finanziamenti di «equità marxista, transgendersimo ed ingegneria sociale travestita da green new deal». Dietro l’insalata di slogan, l’ultimo capitolo dello shock and awe progettato dal team di Trump per travolgere la resistenza dello stato amministrativo e imporre la Nuova America.

A fine giornata un giudice federale di Washington aveva accolto il ricorso sottoscritto da 23 stati e numerose associazioni, bloccando temporaneamente il provvedimento. Ieri mattina l’annuncio della retromarcia. Tutto previsto comunque dai rottamatori di Trump che stanno implementando alla lettera il Project 2025: spingere sugli argini logori della Costituzione per forzare modifiche «epocali» all’impianto dello stato. (Successivamente Trump ha firmato un’offerta di buonuscita per 2 milioni di impiegati federali: 7 mesi di paga perandarsene e permettere l’assunzione di un organico dieci volte minore di statali di «comprovata affinità» col programma presidenziale. Non a caso la drastica riduzione di impiegati pubblici è modellata sui licenziamenti fatti da Elon Musk dopo l’acquisto di Twitter).

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Anche questo provvedimento è incostituzionale dato che il presidente non avrebbe facoltà di decidere in merito. Che spetta al Congresso, come lo stanziamento di fondi pubblici. Quest’ultima pratica è però da tempo nel mirino degli architetti dello sconvolgimento istituzionale che fanno capo ai think tank reazionari che hanno redatto Project 2025. Fra questi Russel Vought, esponente di spicco della Heritage Society nominato da Trump come capo dell’ufficio budget, la authority di gestione del bilancio. L’idea esposta nel Project 2025 è di forzare la questione per invitare ricorsi legali e l’intervento della Corte suprema (controllata da una super maggioranza filo Trump) che potrebbe modificare la pregressa giurisprudenza. Sugli stanziamenti il disegno è probabilmente solo rimandato.

Il copione si sta ripetendo d’altronde in ogni reparto, rivelando pubblicamente la portata del progetto dichiaratamente eversivo del pozzetto ideologico che lavora all’ombra di Trump, per cui il sovvertimento dell’ordine costituito a favore di una presidenza plenipotenziaria è l’obbiettivo e lo scalpore che suscita ogni decreto, la misura del successo.
Ecco quindi l’impiego dell’esercito alla frontiera che ignora il divieto (posse comitatus) sull’utilizzo delle forze armate per l’ordine pubblico, l’intervento a gamba tesa sulla magistratura «ostile», l’uso del ministero di Giustizia contro i nemici politici, il licenziamento in tronco di funzionari pubblici e l’abrogazione di norme costituzionali come lo ius soli. Ognuna è intrapresa nella piena consapevolezza di una probabile extralegalità. E nella sicurezza che i rami legislativi e giudiziari non sono in condizione di opporre resistenza su almeno parte della linea. Versione politica dello slogan preferito da molti sponsor di Silicon Valley: move fast, break things.

La pratica più pericolosamente vicina al cuore dello stato di diritto è quella della giustizia. La conversione dell’apparato giuridico in strumento personale a disposizione di Trump è iniziata con la scarcerazione dei miliziani condannati per l’assalto a Capitol Hill che ha fatto di centinaia di violenti legati a formazioni di estrema destra una potenziale forza paramilitare di fedelissimi.
Ironicamente il favore di cui gode Trump fra le forze dell’ordine ha mostrato qualche crepa proprio a causa della commutazione delle pene di chi aveva attaccato, pestato e provocato la morte di 5 agenti che il 6 gennaio difesero Capitol Hill. Nel momento in cui l’opposizione parlamentare, dei tribunali e dell’opinione pubblica è frastornata dalla blitzkrieg messa in atto dalla fazione ideologica dell’ultra-Maga, è un primo indizio forse che la resistenza alla “rivoluzione totale” potrà provenire in parte dall’interno della coalizione trumpista (compresa un’industria e una finanza preoccupate del potenziale trauma economico).

Qualunque sia lo svolgimento dei prossimi capitoli di questa occupazione “militare” è sempre più evidente che la democrazia americana sta affrontando la prova più critica dei suoi 250 anni di storia.



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