Jonathan Bazzi: «Io nell’alveare di via Tucidide tra vip, famiglie e pusher». Un loft da 17 metri può costare mille euro al mese

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di
Elisabetta Andreis

Nella Milano dei loft, 33 metri quadrati al piano terra senza neanche l’abitabilità costano 1.450 euro al mese, eppure vanno a ruba. Siamo dentro all’ex fabbrica di ceramiche Richard Ginori. Dove vive da sei anni lo scrittore

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Nella Milano dei loft, 33 metri quadrati al piano terra senza neanche l’abitabilità costano 1.450 euro al mese, eppure vanno a ruba. Siamo dentro all’ex fabbrica di ceramiche Richard Ginori, incastrata tra la tangenziale Est e i campi, precisamente in via Tucidide: una cittadella dentro la città, una gated community (una comunità urbana chiusa, ndr) con seicento spazi destinati all’affitto, alcuni bellissimi e presi d’assalto da case di produzione, musicisti e fotografi, altri invece usati come casa e al limite della fregatura. Seminterrati o piccole camere «a vista» che affacciano sulle stradine interne a quegli enormi sessantamila metri quadri: una di fianco all’altra, con l’illuminazione che è quella che è, e talvolta piccoli dehors circondati da piante.
 
Di quei seicento loft, in gran parte proprietà della Giotto srl che fa capo all’immobiliarista Giuseppe Saracino, solo una manciata sono liberi: il più piccolo, 17 metri quadrati, costa mille euro al mese. Chi si occupa delle locazioni è di professione avvocato e segue anche gli sfratti di chi non arriva a pagare. Precisa subito: «Il contratto è C3 ma tutti ci vivono e mettono qui la residenza, quindi non si preoccupi». Per intenderci, il «C3» è riservato agli spazi classificati al catasto come laboratori: «Consentono la permanenza di persone per 24 ore ma non contemplano l’abitabilità — spiega senza mezzi termini Vincenzo Albanese, presidente di Fimaa, la federazione degli agenti immobiliari —. È dovere del proprietario assicurare corrispondenza tra categoria catastale e utilizzo produttivo e non residenziale, in linea con la normativa». 

Ma quella dei loft è una zona grigia con uso talvolta promiscuo (casa e bottega, scrivania e letto): «Certi limiti vengono superati — aggiunge Marco Zanardi, responsabile Ufficio studi di Fimaa —. Ho evidenza di sottoscala, cantine e depositi in cui vengono ricavati bagno e cucina, affittati come C2. La gente ci abita, i prezzi sono alle stelle, ma a rigor di normativa non deve essere possibile neanche ottenere la residenza. In questo modo Milano sta spingendo intere categorie di lavoratori fuori dalla città».




















































L’ex Richard Ginori fu acquistata da privati nel 2002 (il venditore era una società che faceva capo a Ligresti) e completamente rigenerata con un investimento da 45 milioni di euro. Nel tempo le aree ex industriali a Milano si sono moltiplicate, dalle Concerie in via Malaga, alla Barona, stessa proprietà della Tucidide, alla Caproni in via Mecenate, alla Molinari di via Ajraghi, solo per citarne alcune.

In «Tuci», come viene chiamata la ex Ginori, il viavai è trasversale, e non mancano nomi conosciuti, da Rkomi a Tananai, dai musicisti di Mahmood al cantante delle Vibrazioni Francesco Sarcina, al conduttore Marco Maccarini. Tra loro anche lo scrittore Jonathan Bazzi: «Le dimensioni sono punitive ma soprattutto ci sono infiltrazioni e muffa, se piove otturiamo i sanitari per evitare che l’acqua strabordi perché c’è un problema strutturale dei tombini — racconta l’autore di Febbre —. Potendo cambieremmo, ma siamo anche affezionati a questo luogo. È un ambiente urbano a sé, che esula rispetto alle narrazioni della città scintillante accessibile a pochi e anche rispetto a quella della casa popolare di periferia».

È una zona franca, e ormai ha una sua storia: «Usciamo di casa e incrociamo gli artisti, le famiglie, gli spacciatori con i pitbull, tutti nostri vicini…». Jonathan per scrivere si alza mentre è ancora buio: «Abbiamo girato parecchie case, da porta Venezia a piazza Napoli. Alloggi di fortuna, seminterrati, loft in pessime condizioni: cose da non credere — assicura —. Milano era il mio sogno dell’adolescenza, quando abitavo a Rozzano. Era la metropoli dove volevo conquistarmi un posto senza essere giudicato. Ma ormai ci facciamo delle domande, è dura abitarci: i prezzi sono proibitivi, quasi umilianti, per uno che viene pagato a progetto come me e precario come il mio fidanzato. La città viene raccontata in modo trionfale ma noi, che siamo la maggior parte dei milanesi, sentiamo di appartenervi sempre meno».

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30 gennaio 2025 ( modifica il 30 gennaio 2025 | 09:09)

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