Lotta contro le mafie in Veneto: un chip nei cantieri per monitorare gli ingressi sospetti

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Un chip da inserire nel caschetto di ciascun operaio permetterà di monitorare in tempo reale l’entrata e l’uscita dai cantieri, la presenza di estranei, la frequenza di alcune ditte o di altre, di subappaltatori e fornitori. Il progetto “cantiere digitale” contenuto in un protocollo siglato tra Agenzia contro la corruzione (Anac), Ministero dell’interno e Prefetture – e caldeggiato da Luca Zaia, presidente del Veneto – promette di far diventare i cantieri delle opere pubbliche una casa di vetro per le forze dell’ordine.

Il progetto, illustrato dal prefetto di Venezia Darco Pellos, è solo uno delle tante iniziative che le diverse istituzioni hanno illustrato mercoledì mattina all’M9 – Museo del’900 di Mestre durante la seconda edizione della rassegna “Mafie in Veneto – Presenza nell’economia e nell’ambiente”, organizzata dalla Sezione regionale del Veneto dell’Albo Gestori Ambientali con Unioncamere Veneto, Libera e Comitato Imprenditoria Femminile della camera di commercio di Venezia Rovigo, con la media partnership del gruppo Nem che edita questo giornale.

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Un momento del convegno all’M9 di Mestre (foto Pòrcile)

Sembrano lontani anni luce gli sporadici convegni di una decina di anni fa quando di mafie ancora si parlava e ci si occupava poco. Bruno Cherchi, già procuratore generale a Venezia, ha potuto togliersi la soddisfazione di citare la tirata d’orecchi che la Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi rifilò, nel 2018, alla magistratura veneta scrivendo che le organizzazioni criminali in Veneto “hanno approfittato di un’insufficiente attività di prevenzione e contrasto per mimetizzarsi nel tessuto economico”. Subito dopo la magistratura antimafia guidata da Cherchi mise a segno una serie di importanti inchieste antimafia.

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E ad ascoltare gli interventi a Mestre ieri l’impressione era di un cambio di passo: una società veneta consapevole e assai agguerrita nel contrasto, ma anche nell’analisi e nella diffusione della consapevolezza del problema mafioso.

A tirare le fila l’Albo dei Gestori Ambientali – l’albo che riunisce gli imprenditori del ramo dei rifiuti, per capirci – guidato dalla combattiva Vallì Zilio, il più attivo nella sensibilizzazione antimafia a livello italiano. Ha organizzato la tre giorni di convegni a Mestre, ma anche una serie di interventi di sensibilizzazione nelle scuole. Anche l’Università fa la sua parte: l’importante messe di dati forniti dalle agenzie di contrasto alle mafie – sequestro di beni immobili, aziende, comuni sciolti per mafia – viene oggi analizzato in diverse accademie tra cui Ca’Foscari a Venezia. Monica Billio e Marco Di Cataldo del Dipartimento di Economia di Cà Foscari mostrano le reti di collegamento – vere e proprie costellazioni – tra le aziende sequestrate ed altre aziende non sospettabili di contiguità criminali.

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Apprendiamo così che le aziende confiscate operanti in Veneto provengono sì da Sicilia e Calabria, ma anche da Lombardia, Toscana e Lazio. E che l’85% delle aziende confiscate nascono sane e vengono successivamente coinvolte nelle strategie criminali.

Darco Pellos, Prefetto di Venezia, ha rilevato la messa a punto di altri strumenti, in collaborazione con la Camera di Commercio, tra cui mezzi per l’analisi minuziosa dei bilanci delle società. Strumenti che la Prefettura utilizza per valutare l’emissione di un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti di un’azienda. Strumento sconosciuto in Veneto fino a dieci fa e ora utilizzato da tutte le Prefetture.

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La Regione, per bocca di Roberto Bet della Cabina di Regia del Protocollo Legalità della Regione Veneto, si candida a coordinare queste iniziative. «Aumentano interdittive antimafia e segnalazioni sospette. Dati che fotografano una situazione che richiede grande attenzione» scandisce Marco Lombardo, referente regionale di Libera, che non fa mancare la voce dell’associazionismo.

La ricerca di Libera, illustrata da Lombardo, radiografa i risultati delle inchieste in Veneto che mostrano una prevalenza di reati contro la persona – violenza ed estorsione ad esempio – oltre a quelli finanziari. Le vittime nella maggioranza dei casi non denunciano, segnala Lombardo. Più che altri strumenti di contrasto forse occorre mettere a fuoco il fenomeno: dei 325 imputati nelle inchieste antimafia il 43% sono veneti. Come a dire: non dobbiamo costruire un fortilizio contro un nemico esterno, ma guardare a “casa nostra”.



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