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29 Gennaio 2025

“L’uscita dall’Oms? Non è nel programma di governo”

Schillaci alla Camera dribbla la Lega: “Serve governance globale della salute”. Il ministro aggiorna i numeri sulle Centrali operative territoriali: sono 612 quelle già realizzate. Ma ammette: “Servono 19.600 infermieri”

Di Pa.Al.

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L’ipotesi dell’Italia fuori dall’Organizzazione mondiale sanità si allontana, a dispetto dei desiderata leghisti. Almeno a sentire il ministro della Salute Orazio Schillaci che, interrogato in Aula alla Camera durante il question time settimanale, mette subito in chiaro che l’uscita dall’Oms non rientra nel programma di governo, pur definendo “legittimo e costruttivo” un dibattitto sul ruolo dell’organizzazione.


LA NECESSITA’ DI UNA GOVERNANCE GLOBALE

“Sebbene l’uscita dall’Oms non sia contemplata nel programma di governo, credo sia legittimo e costruttivo un dibattito che miri ad analizzare criticamente il suo ruolo, con particolare riferimento all’allocazione, all’utilizzo delle risorse e alla governance. È nostro dovere, infatti, assicurare che ogni euro investito nella salute globale sia impiegato nel modo più efficace possibile. Questo dibattito ovviamente non può prescindere da una riflessione più ampia sulla salute globale e sulle sfide che ci attendono”, ha detto Schillaci. “La pandemia del 2020 – ha sottolineato – ci ha insegnato, con drammatica chiarezza, che le minacce alla salute pubblica non conoscono confini. In questo contesto, rivendicare la propria sovranità in ambito sanitario è legittimo, ma questo deve tradursi in una presenza più incisiva e consapevole all’interno dei consessi internazionali. L’esperienza della pandemia ci ha dimostrato che solo con una cooperazione internazionale efficace e coordinata possiamo affrontare emergenze sanitarie di portata globale. I virus, come abbiamo dolorosamente appreso, non hanno cittadinanza né rispettano i confini nazionali”. Ma poi il ministro ha bilanciato le sue parole: “Va sottolineato che anche leader internazionali che hanno espresso posizioni critiche verso l’Oms, come il presidente Trump, hanno messo in discussione principalmente l’allocazione delle risorse e le modalità operative dell’Organizzazione, non il principio fondamentale della necessità di una governance globale della salute“.


I FINANZIAMENTI DELL’ITALIA ALL’OMS
Il ministero della Salute “collabora, nell’interesse dell’Italia e degli italiani, con l’OMS in settori cruciali come sorveglianza, prevenzione, preparazione e risposta alle emergenze sanitarie, prevenzione delle malattie cronico degenerative, monitoraggio epidemiologico, standardizzazione dei dati, controllo dei rischi legati all’assistenza sanitaria e lotta all’antibiotico resistenza”. L’obiettivo, ha aggiunto Schillaci, “deve essere quello di contribuire a rendere più efficace e trasparente la governance mondiale della salute, nell’interesse dei nostri cittadini e dell’intera comunità internazionale”. Quanto agli stanziamenti, il ministro ha chiarito che “l’Italia partecipa all’Oms attraverso il versamento annuale di un contributo obbligatorio, che nel 2024 è stato pari a circa 18 milioni di dollari. Nello stesso anno ha inoltre versato contributi volontari per un totale di circa 7,8 milioni di dollari, destinati a finanziare le priorità del Programma di lavoro, come approvato dall’Assemblea mondiale della sanità, cui l’Italia partecipa. Questo finanziamento ci colloca al 19° posto tra le nazioni dell’organizzazione”. Numeri che non collimano con quelli citati dalla Lega nel presentare il suo ddl per uscire dall’Oms. Un assist, insomma, alla replica dem che con il deputato Nico Stumpo ha avuto gioco facile nel sostenere che “il ministro Schillaci con la sua risposta ha dato del bugiardo o dell’incompetente al vicepremier Salvini che dice che l’Italia dà 100 milioni all’Oms”, mentre “i numeri oggi forniti parlano di una cifra attorno a 25,8 milioni”. E poi ancora: “Sempre Salvini cita Trump, ‘capo internazionale dei sovranisti’ come modello da seguire per la sua scelta di far uscire gli Usa dall’Oms. Qui il vero problema è quello di non seguire la gara della follia”.

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LE CENTRALI OPERATIVE TERRITORIALI
In Aula, però il ministro è stato interrogato anche sullo stato di attuazione delle Cot-Centrali operative territoriali sulle quali nei giorni scorsi la Fondazione Gimbe aveva acceso i riflettori. Ecco i numeri forniti da Schillaci: sono 612 quelle realizzate, rispetto al target minimo fissato dall’obiettivo Pnrr di 480. Le Regioni hanno raggiunto gli obiettivi previsti nel proprio territorio – ha spiegato – in conformità con la programmazione delle oltre 600 Cot programmate. In taluni casi è previsto, al fine di efficientare l’organizzazione del territorio, la realizzazione di ulteriori Cot all’interno delle Case di Comunità entro giugno 2026″.

IL NODO PERSONALE E I 19.600 INFERMIERI CHE MANCANO
Il ministro ha ben presente che il tema vero, naturalmente, è rappresentato dal personale, infermieri in primis, per far funzionare la medicina del territorio. L’obiettivo, ha infatti evidenziato, “non prevede la sola realizzazione delle Cot, ma anche la loro piena funzionalità con personale dedicato. Tra le iniziative intraprese per garantire l’effettiva operatività e la piena funzionalità delle Cot, un particolare rilievo assume il monitoraggio semestrale degli standard previsti dal decreto del ministero della Salute 23 maggio 2022, n. 77” e che “viene effettuato da Agenas”. Il governo, ha ricordato, “con la finanziaria del 2024 ha garantito risorse – 250 mln nel 2025 e 350 nel 2026 – per il reclutamento del personale, proprio per potenziare l’assistenza territoriale, e garantire il funzionamento delle strutture”. Infine, “con specifico riferimento alle misure intraprese per far fronte alle eventuali carenze di personale sociosanitario, in particolare infermieristico, per garantire l’operatività del modello organizzativo di assistenza primaria, ricordo che in base gli standard definiti dal DM 77/2022, il fabbisogno stimato di infermieri è pari a circa 19.600 unità”.

NUOVI PERCORSI FORMATIVI

Nell’ottica di “rendere la professione infermieristica più attrattiva, si sta ponendo mano in collaborazione con il Mur ad una revisione dei percorsi formativi dell’infermiere, prevedendo in particolare una revisione in senso specialistico della laurea magistrale con l’avvio tre percorsi: 1) infermieristica in cure primarie di famiglia e comunità; 2) infermieristica in cure neonatali e pediatriche; 3) infermieristica in cure intensive ed emergenza. Ciò allo scopo di consentire l’apprendimento da parte dell’infermiere di quelle competenze specifiche ed avanzate, sia teoriche che pratiche, ritenute fondamentali per il supporto di alcune aree strategiche e prioritarie del SSN, quali proprio l’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale”.

 

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