Quando Ouch Leng è stato arrestato in pochi sono rimasti sorpresi. Il più celebre degli attivisti climatici della Cambogia è nel mirino del governo da diversi anni. Così, a fine novembre, le manette scattate per lui e altri cinque ambientalisti apparivano quasi scontate. Leng è stato arrestato nella provincia nord-orientale di Stung Treng, mentre indagava sul disboscamento illegale in un parco nazionale. Nei mesi e settimane precedenti, lui e i suoi collaboratori avevano documentato più volte un aumento della deforestazione illegale all’interno del Parco nazionale Veun Sai-Siem Pang, situato vicino a una concessione economica di terreni.
Si tratta di una figura centrale dell’attivismo climatico cambogiano. Ha trascorso buona parte della sua infanzia nascondendosi nella giungla insieme alla famiglia, in fuga dagli orrori del regime dei Khmer Rossi. È lì che ha iniziato ad amare la natura. Da adulto ha deciso di lottare per difenderla. Per farlo ha fondato la Cambodia Human Rights Task Forces. Sul suo sito, l’organizzazione spiega così gli obiettivi: “Abbiamo sacrificato e impegnato il nostro lavoro volontario nella lotta contro il disboscamento illegale, le concessioni illegali di terreni, le concessioni minerarie illegali, le concessioni forestali e altri progetti di sviluppo, l’abuso dei diritti umani, dei diritti del lavoro, la discriminazione razziale e le ingiustizie sociali e la corruzione in Cambogia con mezzi pacifici e non violenti attraverso il movimento popolare e i social media”. Per il suo impegno, Leng ha anche ricevuto l’importante Goldman Environmental Prize 2016, cosa che lo ha posto ulteriormente sotto i riflettori del governo.
Da ormai una ventina d’anni, Leng è diventato un volto noto non solo agli attivisti ma anche alle autorità, dopo che si è recato sotto copertura in situazioni spesso pericolose, scattando foto e registrando prove di disboscamento illegale. Spesso le sue azioni hanno avuto successo, visto che ha portato alla cancellazione di oltre una ventina di concessioni terriere e ha contribuito a scoprire migliaia di crimini e a confiscare legname e attrezzature per il disboscamento. Già in passato, però, era finito in carcere dopo aver toccato interessi troppo vicini al governo sempre più autoritario del “leader eterno” Hun Sen, che ha lasciato il posto da premier nell’agosto 2023 al figlio Hun Manet. Per giustificare l’arresto, il portavoce della provincia di Stung Treng, Men Khung, ha usato parole molto forti: Leng e gli altri cinque “non erano attivisti ambientali, ma hanno tentato di seminare l’anarchia e di provocare le autorità”. Secondo l’Ong cambogiana Licadho, il governo ha accordato una concessione economica di terreni nell’area nel 2022, anche se ha violato una moratoria del 2012 sulle nuove concessioni, che sono state collegate a sfratti di massa, rapida deforestazione ed estrazione di risorse.
Gli arresti avvengono nel corso di una più ampia repressione degli attivisti ambientali negli ultimi mesi. A luglio, 10 membri di un gruppo ambientalista cambogiano, Mother Nature Cambodia, che si battevano contro i progetti infrastrutturali distruttivi e la presunta corruzione, sono stati condannati a sei anni di carcere con l’accusa di cospirazione contro lo Stato. Tre di loro, tra cui il cofondatore spagnolo Alejandro Gonzalez-Davidson a cui è stato impedito già da tempo di entrare nel Paese, sono stati condannati anche per aver insultato il re e hanno ricevuto una pena a otto anni di carcere. I gruppi ambientalisti accusano da tempo i leader cambogiani di trarre profitto dalle risorse naturali. Il governo nega e sostiene che Mother Nature stia incoraggiando i disordini sociali.
Secondo gli attivisti, Hun Sen (ora presidente del Senato) e Hun Manet vogliono avere le mani libere su qualsiasi tipo di attività. Soprattutto, da tempo in Cambogia non vengono tollerate forme di associazionismo potenzialmente portatrici di critiche o istanze politico-sociali non in linea con il governo. L’attivismo climatico è uno dei pochi esempi rimasti, visto che negli scorsi anni l’opposizione vera e propria è stata smantellata pezzo dopo pezzo. Hun Sen ha operato una stretta a partire dal grande spavento del 2013, quando alle elezioni fu quasi sconfitto dal Partito di Salvezza Nazionale di Sam Rainsy. Da allora decise che non poteva più mettere a rischio la sua posizione, soprattutto mentre iniziava a programmare la successione col figlio Hun Manet. A luglio 2023, il Candlelight Party (nato sulle ceneri del movimento di Rainsy) è stato estromesso dal voto con la scusa di problemi burocratici. Le due grandi figure dell’opposizione erano già state messe fuori gioco in precedenza. Kem Sokha è stato condannato nel 2022 a 27 anni di carcere per tradimento: l’accusa è quella di aver organizzato un presunto complotto per rovesciare il governo. Rainsy si trova invece in autoesilio all’estero e non potrà candidarsi per altri due decenni.
Nelle ultime settimane, se possibile, la situazione sembra ulteriormente peggiorata. Dopo la stretta sugli attivisti climatici, a inizio gennaio Hun Sen ha sollecitato l’introduzione di una nuova legge che etichetti come “terrorista” chiunque tenti di rovesciare il governo guidato dal figlio. L’attuale presidente del Senato ha spiegato che la legge “definirà qualsiasi persona o gruppo che pianifica o cospira per creare un movimento estremista, causare caos e insicurezza nella società, provocare conflitti con altri Stati e tentare di rovesciare il governo legittimo, come terroristi che devono essere portati davanti alla giustizia”.
In questo clima, è avvenuto l’omicidio di Lim Kimya, ex parlamentare del Partito di soccorso nazionale della Cambogia, ucciso a Bangkok da un sicario armato a bordo di una motocicletta. La vicenda è diventata un caso diplomatico, con le autorità cambogiane che hanno arrestato e accusato il cittadino thailandese Ekkalak Paenoi, un ex ufficiale della marina, fermato e rispedito in Thailandia. L’uomo ha confessato l’omicidio in un video trasmesso in diretta streaming, ma i contorni della vicenda restano poco chiari. Dall’esilio Rainsy ha accusato Hun Sen di aver ordinato l’omicidio. Hun Manet nega: “Se fosse stato il governo a orchestrare l’assassinio, per quale ragione avremmo arrestato il killer e l’avremmo inviato in Thailandia?”.
Di certo, la dinastia di Hun Sen e Hun Manet sta espandendo il suo controllo su una Cambogia dove lo spazio per il dissenso e per l’attivismo (compreso quello climatico) è sempre più ridotto.
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Foto in copertina da Wikimedia Commons/mil.ru
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