La nota blu e la nota rossa della Cpi. Il mancato intervento di Berlino. La possibilità di cancellare tutto in parlamento. E il pericolo Consulta
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni dice che l’indagine sul caso Almasri è «un danno alla Nazione». Ma nella storia del torturatore libico arrestato a Torino e liberato dalla Corte d’Appello di Roma dopo il mancato intervento del governo, che però ha deciso poi di rimpatriarlo con un volo dei servizi segreti, qualcosa non torna. E anche se la vicenda è destinata a concludersi in parlamento, c’è chi, come il giurista Vladimiro Zagrebelsky, dice che l’Italia ha violato il diritto internazionale. Mentre l’esecutivo potrebbe mettere il Segreto di Stato, già apposto per il caso Abu Omar. Anzi: avrebbe potuto farlo da subito. E c’è il giallo del ruolo della Germania. A cui la Corte Penale Internazionale aveva chiesto di monitorare gli spostamenti del comandante.
La nota blu e la nota rossa
Tutto ruota intorno alle note di diffusione della Cpi. Quella blu è una richiesta di controllo generale su un soggetto. E Almasri era oggetto di una di queste da luglio. Dal 13 gennaio il libico si trovava in area Schengen dopo l’atterraggio a Londra. Il 15 era stato fermato e rilasciato dalla polizia tedesca. Poi è arrivata la richiesta d’arresto. La mattina del 18 gennaio la Cpi estende la nota blu ad Austria, Belgio, Francia e Regno Unito. Poco prima delle 23, dopo il voto dei tre giudici (uno ha dato parere negativo), la nota diventa rossa. E viene trasmessa anche all’Italia. Perché secondo i tedeschi, che ne monitoravano gli spostamenti, Najem Osama Almasri era diretto a Fiumicino con un’automobile noleggiata in Germania. Prima della segnalazione il libico era stato anche fermato, sempre a Torino, per un controllo. Ma era stato lasciato andare in assenza di obblighi specifici.
Il Segreto di Stato
Poi c’è il Segreto di Stato. Il governo Meloni avrebbe potuto apporlo ma ha scelto di non farlo. Il Fatto Quotidiano ha spiegato che è regolato dall’articolo 202 del Codice di procedura penale. Prevede che i «pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato». E «se il testimone oppone un segreto di Stato, l’autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini dell’eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto». Quindi, dice la legge, «qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato».
30 giorni
La legge prevede che «l’opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto». Ma «non è, in ogni caso, precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto». In questo caso la magistratura può aprire un contenzioso davanti alla Corte Costituzionale. La conferma del segreto in ogni caso deve avvenire entro 30 giorni. In assenza si può procedere con le indagini. Ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto che dell’eventuale apposizione del Segreto si occupa la premier. Ma secondo fonti qualificate consultate dall’agenzia di stampa Ansa l’esecutivo non lo ha fatto per consentire ai ministri di intervenire in parlamento.
Il volo di Stato
Uno dei punti più controversi è la decisione di rimpatriare Almasri con un volo di Stato. La versione del governo sul punto è che una volta libero, Almasri — considerato soggetto pericoloso sulla base delle accuse della Corte penale internazionale — doveva essere espulso dall’Italia e riportato nel proprio paese nelle condizioni di maggior sicurezza possibile. Assicurate, sempre secondo le valutazioni del governo, solo da un volo di Stato gestito dall’Aise, l’Agenzia di informazioni e sicurezza esterna. L’ipotesi di peculato avanzata dall’avvocato Li Gotti spiega il coinvolgimento nella sua denuncia del sottosegretario Alfredo Mantovano in quanto titolare della autorità delegata sulla sicurezza (in sostanza la direzione politica dei servizi segreti).
La violazione del diritto internazionale
Intanto il costituzionalista Zagrebelsky su La Stampa parla di una violazione del diritto internazionale da parte dell’Italia. Anche se, ammette il giurista, se davvero la premier lo ha fatto per i rapporti di collaborazione con la Libia e per salvaguardare la sicurezza dei cittadini e degli impianti italiani nel paese (la questione dei barconi sembra meno ben posta), «la legge offre salvaguardia per le determinazioni politiche del governo. Alla fine dell’indagine del tribunale dei ministri, per procedere e non archiviare la denuncia, dovrebbe comunque esservi, l’autorizzazione del Parlamento. Il quale può «negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo».
Una questione di responsabilità
Ma, conclude Zagrebelsky, anche se la vicenda penale, se non prima, si fermerà comunque in Parlamento, «rimane la responsabilità internazionale dello Stato. Lo Statuto della Corte prevede che, in caso di mancata collaborazione da parte di uno Stato, la Corte informa per le iniziative necessarie l’assemblea degli Stati che sono parte del sistema della Corte, oppure il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’Italia potrebbe ignorare anche un simile passo? Sarebbe compatibile con l’interesse nazionale? E con il suo onore internazionale?».
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