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«Corruption kills», la corruzione uccide. È questo il grido di migliaia di giovani risuonato per giorni nelle strade della Serbia, tanto da indurre il premier del Paese, Milos Vucevic, alle dimissioni.
Da mesi, blocchi stradali, occupazioni di facoltà universitarie, cortei e scioperi paralizzano la Nazione. Il motivo è la mancanza di trasparenza del partito nazionalista al potere da dodici anni, il Partito progressista serbo, espressione del presidente Aleksandar Vucic e dell’ormai ex primo ministro Milos Vucevic. Studenti e una larga parte della società civile chiedono un cambiamento, il ripristino della democrazia e dello Stato di diritto.
Il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad dello scorso 1° novembre, in cui sono morte quindici persone, ha contribuito a peggiorare il clima e a inasprire il malcontento, dando il via alle proteste, iniziate quattro giorni dopo. Anche se le tensioni covavano da tempo. Caduto l’esecutivo in modo inaspettato, il presidente Aleksandar Vucic deve decidere se incaricare un nuovo governo o andare alle urne anticipate.
Tra i manifestanti insoddisfatti c’è Strahinja Jevtic, 22 anni, nato e cresciuto a Belgrado, è uno studente di Marketing digitale nella facoltà di Comunicazione e media. Non pecca in determinazione, è molto attivo sui social, vanta 26,8mila follower su Instagram e quasi 245 mila su TikTok. «Partecipare alla protesta è un mio dovere civico, non ho esitato nemmeno per un secondo. La corruzione è letale, è talmente diffusa che potrei parlarne per giorni. Le istituzioni devono fare il loro lavoro a prescindere dal partito che governa», dice il giovane, sicuro al 100% che la Serbia sia un Paese diviso: «Non è una questione su cui dibattere». Interessato da sempre alla politica, è convinto che il passo indietro del primo ministro Milos Vucevic non basterà a riportare l’ordine.
Strahinja chiarisce i dettagli degli scontri: «La notte prima della decisione di Vucevic, a Novi Sad quattro individui armati hanno attaccato gli studenti, rompendo la mascella a una ragazza. La mattina stessa, le persone hanno scoperto che uno degli aggressori è il miglior amico del figlio di Vucevic». Secondo i media statali, si sarebbe trattata di una ritorsione contro gli studenti, accusati di aver sporcato con graffiti un ufficio del Partito progressista serbo. Sulla formazione al governo, Strahinja è netto: «Faccio fatica a individuare aspetti positivi di ciò che ha fatto negli ultimi dodici anni». Nemmeno sulla polizia emerge un quadro rassicurante: «In generale, i giovani non si fidano e non si sentono sicuri con la loro presenza».
Le richieste sono chiare: la pubblicazione completa della documentazione sulla ricostruzione della stazione di Novi Sad e il ritiro delle accuse contro coloro che sono stati arrestati durante le proteste in modo ingiustificato. Ma anche azioni penali contro gli aggressori di studenti e professori e l’aumento del 20% dei fondi destinati alle università pubbliche.
L’integrazione europea al bivio, tra la questione kosovara e l’ambiguità verso la Russia
L’Unione europea (Ue) è un soggetto marginale delle contestazioni, nessuna bandiera blu con 12 stelle dorate è stata sventolata. «Credo che gli eventi attuali non siano legati direttamente all’Ue», racconta Strahinja. Dal 2012 la Serbia è candidata all’adesione e i negoziati sono partiti nel 2014, ma il processo si scontra con più ostacoli e Bruxelles da anni osserva i Balcani occidentali, in virtù di un possibile allargamento.
Sulla Serbia grava l’irrisolta questione del Kosovo, con la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Belgrado e Pristina ancora lontana. Da quando, nel 2008, il Kosovo ha dichiarato in modo unilaterale l’indipendenza, la Serbia non ha mai riconosciuto la sua sovranità. Malgrado gli sforzi dell’Unione europea, la situazione rimane tesa, data anche la presenza di una minoranza serba nel nord del Kosovo.
Altro elemento di distanza dall’Ue è la storica alleanza tra il Paese balcanico e la Russia, condita con il mancato allineamento della Serbia alle sanzioni contro il Cremlino, responsabile dell’invasione dell’Ucraina.
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