Il premier Giorgia Meloni governerà per dieci anni e potrà essere la prima donna eletta direttamente dal popolo al vertice della Commissione Europea. La destra italiana nelle sue varie epoche – dal Msi a Fratelli d’Italia, passando per An – ha dimostrato di essere la parte politica a cui si rivolge l’elettorato. La sinistra governa con i giochi di palazzo. Futuro e Libertà non fu un errore e da Fiuggi non si torna indietro. Ora, avanti con premierato e separazione delle carriere dei magistrati. Colloquio con il direttore del Secolo d’Italia, Italo Bocchino
01/02/2025
Giorgia Meloni “governerà per dieci anni e potrà essere la prima donna eletta direttamente dal popolo al vertice della Commissione Europea”. Non solo una lettura di ciò che è stato, ma una previsione di quel che sarà. Italo Bocchino, nella presentazione ferrarese del suo Perché l’Italia è di destra (Solferino) maneggia con destrezza la storia politica degli ultimi decenni giungendo alla conclusione che dà il titolo al volume. Perché – è la tesi di fondo del volume – la sinistra “non ha mai governato con il voto popolare, ma attraverso ribaltoni, esecutivi tecnici e manovre di palazzo”. Il punto di partenza, che l’lex parlamentare, saggista e direttore del Secolo d’Italia fissa nella sua conversazione con Formiche.net è che “da Fiuggi non si torna indietro”.
Né rinnegare, né restaurare. Torna alla mente un vecchio adagio del Movimento Sociale che alcuni attribuiscono ad Alberto Moravia. È possibile oggi una lettura unitaria della storia della destra nel nostro Paese?
Deve esserci una lettura unitaria che si suddivide in tre grandi momenti, che corrispondono in qualche misura alle fasi storiche condotte dai leader: Giorgio Almirante, Gianfranco Fini e Giorgia Meloni. Il Movimento Sociale ebbe il merito di parlamentarizzare gli sconfitti della guerra civile, uno straordinario servizio alla Nazione e alla storia repubblicana. Poi, il primo tentativo di dare all’Italia una destra di governo. Che in effetti fu. Ancor prima delle elezioni del 1994, già il Msi elesse diversi sindaci e andò al ballottaggio in città importanti come Napoli dimostrando un forte consenso da parte degli elettori. Adesso, saldamente al governo del Paese con Fratelli d’Italia e il premier Meloni.
Perché da Fiuggi non si torna indietro?
Perché nessun uomo di destra in Italia vorrebbe tornare sotto un regime illiberale come quello fascista. Questo solo chi è in malafede lo può negare.
Dunque il suo è un libro per la destra e sulla destra?
È un libro per tutti. Anzi, in occasione della presentazione ad Atreju, l’uomo più intelligente della sinistra – Goffredo Bettini – ha sostenuto che questo sia un libro che deve essere letto soprattutto da quelle parti lì.
Forse perché una parte sostanziosa di elettorato che prima votava a sinistra si è spostata verso il centrodestra e segnatamente verso Fratelli d’Italia.
Dopo le Europee, l’agenzia Demos ha condotto un sondaggio sui flussi di voto in cui emerge un dato piuttosto significativo. Il 39% degli operai ha espresso la propria preferenza per Fratelli d’Italia. Solamente il 19% per il Pd. Questo significa che l’elettorato non solo spesse volte non comprende la ricetta politica della sinistra ma in qualche misura la teme. Dopo la caduta del muro di Berlino, non c’è stata la capacità di una ricetta alternativa.
Nel libro ci sono due capitoli dedicati alle riforme. Quali, secondo lei, quelle da perseguire con maggiore pervicacia?
Premierato e separazione delle carriere.
Due riforme sulle quali si sono scatenate polemiche aspre e scontri senza esclusione di colpi.
Vorrei ricordare che nella legislatura dal 1992 al 1994 la sinistra ha approvato tre leggi elettorali che alla base hanno l’elezione diretta del sindaco, del parlamentare del collegio e del presidente della Regione. Ora, invece, criticano il premierato in maniera del tutto pretestuosa. Una riforma che, al contrario, darebbe stabilità agli esecutivi evitando ribaltoni. Accanto a questa riforma, va approvata una legge elettorale compatibile. E la giustizia, segnatamente, la separazione delle carriere è una priorità assoluta a maggior ragione quando assistiamo a un giudice, in causa con il Governo, che iscrive sul registro degli indagati la premier, il sottosegretario Mantovano e due ministri.
Se n’è parlato molto in questi giorni di ricorrenze. Ma dalla sua prospettiva, qual è stato il rapporto tra la destra post missina e Silvio Berlusconi?
Un rapporto complesso, prima di tutto perché Berlusconi partiva da una prospettiva eminentemente anti-politica. Berlusconi ha dato alla destra ciò che Pinuccio Tatarella definiva “alleabilità”. Il resto, è alle cronache. Certo è un concetto: senza Berlusconi la destra avrebbe potuto – magari dopo anni – andare al governo. Non è, invece, vero il contrario.
La stagione di Futuro e Libertà la vive con rimorsi o rimpianti, dopo l’esperienza del Pdl?
Il nostro errore fu non capire che l’elettorato di destra si stava spostando altrove rispetto alla proposta politica di Futuro e Libertà. Nessun rimorso e neanche rimpianti. Futuro e Libertà fu il tentativo di dare all’Italia una destra moderna, europea e liberale superando anche la dicotomia tra destra sociale e destra liberale. Operazione che ha condotto – anche affermandosi sul piano internazionale ed europeo – il premier Giorgia Meloni.
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