Questo stop sta generando un impatto pesante su diversi fronti: in primis sui beneficiari dei progetti, i più vulnerabili, ma anche sul personale locale assunto per implementare i progetti e sulle strutture delle organizzazioni umanitarie e di sviluppo stesse, che devono urgentemente trovare alternative per garantire i salari”.
AVSI – si legge nella lettera – “è destinataria nel 2025 di finanziamenti americani già approvati da Usaid (e il BHA) e BPRM per un totale di EUR 19.529.000 (circa il 16% dei fondi totali della nostra organizzazione, tra le poche in Italia a ricevere fondi USA) per progetti di sviluppo e di emergenza in settori diversi e ha ricevuto l’ordine di fermare i lavori per le fasi già in corso in Haiti, Brasile, Ecuador, RD Congo, Somalia, Uganda con un impatto immediato sui servizi offerti a oltre 640.000 beneficiari e sui salari di circa 1.000 persone dello staff coinvolte”.
In particolare “ad Haiti, per citare solo un esempio, con un finanziamento BHA ora bloccato (in allegato la lettera di sospensione per tre progetti attivi), AVSI stava aiutando in comunità altamente vulnerabili 22.000 beneficiari attraverso interventi di assistenza alimentare e nutrizione per 4.000 bambini fino a 5 anni affetti da malnutrizione acuta severa. Un ciclo di distribuzione per raggiungere mamme e bambini previsto a breve è stato ora interrotto, nonostante le famiglie contino su questo unico sostegno e non abbiano altre reti di sicurezza a cui rivolgersi”.
AVSI denuncia che l’approccio e la modalità di bloccare ogni aiuto senza distinzioni chiare sui contenuti dei progetti incrina anche “la fiducia su cui si sono costruiti decenni di partnership tra il Dipartimento di Stato americano e organizzazioni internazionali della società civile come la nostra, i cui risultati in termini di lotta alla povertà sono stati riconosciuti e attentamente valutati. Una collaborazione operosa che è sempre andata proprio nella direzione di rendere l’America stessa, insieme ai Paesi in via di sviluppo, dei luoghi safer, stronger, and more prosperous”.
Il presidente di AVSI Giampaolo Silvestri chiede al ministro Tajani di “condividere nelle sedi opportune l’impatto che sta avendo questa misura, in primo luogo sui beneficiari dei progetti e in seguito sulle organizzazioni come la nostra”, ma anche di “farsi portavoce delle nostre richieste”, con l’obiettivo ideale che “venisse cancellata la sospensione per i progetti già in corso di implementazione, ma se questo non è possibile almeno che siano garantiti tutti gli interventi salvavita e che siano più rapidi possibili i tempi della revisione per permettere la ripresa di tutte le attività al più presto”.
Gli Stati Uniti si uniscono al consenso di Ginevra contro l’aborto
Durante la sua prima settimana in carica, l’amministrazione del presidente Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti hanno ripreso a far parte della Geneva Consensus Declaration, una coalizione di nazioni unite a sostegno di politiche pro-life e pro-women.
Gli Stati Uniti sono stati un membro fondatore della Geneva Consensus Declaration (GCD), istituita nel 2020 durante il primo mandato di Trump, Iinsieme agli Stati Uniti, Brasile, Egitto, Ungheria, Indonesia e Uganda.
Secondo l’Institute for Women’s Health (IWH), un sostenitore chiave della GCD, l’alleanza è stata forgiata per “proteggere la salute e il benessere delle donne in ogni fase della vita, affermare che non esiste un diritto internazionale all’aborto, difendere la famiglia come fondamento di ogni società sana e proteggere il diritto sovrano delle nazioni a sostenere questi valori fondamentali attraverso la politica e la legislazione nazionale“.
Oggi, 40 nazioni membri sono firmatarie della dichiarazione.
Valerie Huber, presidente dell’IWH e ideatrice del GCD, ha affermato: “Sapevamo che i paesi sostenevano questi valori prima del GCD, ma quando i paesi si uniscono, l’impatto si moltiplica”.
Nel 2021, nove giorni dopo il suo insediamento, l’ex presidente Joe Biden aveva ritirato gli Stati Uniti dal GCD.
Ma nel suo secondo mandato da presidente, entro le prime 100 ore della sua presidenza, Trump ha riconfermato gli Stati Uniti nel GCD, diventando la 40a nazione ad aderire all’alleanza.
Huber, che ha prestato servizio nella prima amministrazione Trump come prima rappresentante speciale per la salute globale delle donne, ha avviato il GCD per fare una dichiarazione politica pro-famiglia e pro-donne e una partnership nazione-nazione.
In un comunicato stampa dell’IWH, Huber ha affermato: “Rientrando nella GCD, il presidente Trump invia un messaggio audace che gli Stati Uniti sono al fianco delle nazioni sovrane per difendere le reali esigenze di salute delle donne dalle tattiche coercitive dei potenti globali”.
“Il ritiro dell’amministrazione Biden dal GCD ha travisato e minato l’impegno della coalizione a promuovere la salute e il benessere delle donne in ogni fase della vita. Nonostante gli incessanti sforzi dei critici per smantellarlo e screditarlo, l’IWH celebra il fatto che il GCD non solo è sopravvissuto, ma è prosperato negli ultimi quattro anni, espandendo la sua adesione e la sua influenza”, ha affermato.
Huber ha detto che dopo la diffusione della notizia del rientro dell’America, ha ricevuto comunicazioni da più Paesi entusiasti di essere nella stessa coalizione degli Stati Uniti e desiderosi di entrare in contatto con la nazione.
FOCUS DIPLOMATICI VATICANI
I cambi di ruolo nelle nunziature
Nel grande rimpasto delle nunziature, spicca il trasferimento di monsignor Paul Butnaru dalla Sezione per i Rapporti con gli Stati alla nunziatura apostolica in Canada. Butnaru è stato l’officiale della Segreteria di Stato che ha accompagnato il Cardinale Matteo Zuppi in tutte le sue missioni come inviato del Papa per la pace in Ucraina – missioni che sono state mirate soprattutto all’aiuto umanitario. Butnaru era a Kyiv, Mosca, Washington e Pechino, e conosce nei dettagli quanto stabilito. Sebbene il trasferimento sia parte di una routine, resta il fatto che una eventuale ulteriore missione del Cardinale Zuppi sarà senza uno dei suoi “membri fissi”.
Monsignor Antons Prikulis fa il percorso inverso, dal Canada alla Seconda Sezione della Segreteria di Stato.
Monsignor Ionut Paul Strejac viene trasferito dalla Nunziatura Apostolica in Sud Sudan a quella in Albania, che al momento non ha nunzio, visto che l’arcivescovo Bonazzi è andato in Pensione.
Monsignor Cheong Da Woon lascia la nunziatura apostolica in Lituania e va alla Prima sezione della Segreteria di Stato, mentre monsignor Laurenţiu Dancuţa prende il suo posto in Lituania, arrivando dalla nunziatura apostolica in Costa Rica.
La Prima Sezione della Segreteria di Stato accoglie anche monsignor Carlo Maria Donati, in arrivo dalla nunziatura apostolica in Nigeria, dove viene sostituito da don Paterne Hervé Hubert Koyassambia-Kozondo, che lavorava finora nella nunziatura apostolica in Paraguay.
Lo sostituisce in Paraguay don Felipe Fabiane, arrivato dalla nunziatura apostolica in Zimbabwe. Luca Caveada passa dalla nunziatura negli Usa a quella in Romania, e il suo posto a Washington viene preso da monsignor Andrea Piccioni, che finora ha lavorato nella Seconda Sezione della Segreteria di Stato.
Alla seconda sezione arriva, direttamente dall’Uruguay, monsignor Stephen Kelly, mentre in Uruguay va monsignor John John Kallarackal, finora nella nunziatura di Germania.
Przemysław August Lewinski passa dalla Nunziatura Apostolica in Cuba alla Rappresentanza Pontificia nella Repubblica Federale di Germania, e a Cuba va, proveniente dal Ciad,
Matjaž Roter.
Monsignor Ratislav Zummer viene trasferito in Ciad (era in Perù), monsignor Giuseppe Quirichetti viene spostato in Perù dalla missione presso le Nazioni Unite a New York, mentre monsignor Natale Albino va dalla nunziatura in Israele alla Seconda Sezione.
Don Nicola Di Ponzio prende il posto di monsignor Albino in Israele, monsignor Maher Chammas viene spostato dal Ghana alla Repubblica Democratica del Congo, monsignor Amavi Mensan Abel Toglo va dallo Zambia al Bangladesh e Christopher Seiler viene trasferito alla nunziatura in Bulgaria dalla nunziatura apostolica in Angola.
FOCUS MONACO
L’arcivescovo Gallagher a Monaco, gli incontri
Dal 26 e 28 gennaio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato in visita nel Principato di Monaco per la Festa di Santa Devota. Il “ministro degli Esteri” vaticano era accompagnato da monsignor Simon Kassas. Arrivato a Monaco il 26 gennaio, Gallagher è stato accolto da Marie Catherine Caruso-Ravera, direttrice delle relazioni diplomatiche e consolari del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione; dall’arcivescovo di Monaco Dominique-Marie David; dall’arcivescovo Martin Krebs, nunzio apostolico; da Philippe Orengo, ambasciatore del Principato di Monaco presso la Santa Sede.
Nel pomeriggio del 26 gennaio, Gallagher è s tato ricevuto in udienza privata dal Principe Sovrano Alberto II di Monaco, in una udienza in cui sono state sottolineate le buone relazioni bilaterali esistenti e si è fatto riferimento al contributo storico della Chiesa cattolica alla vita del Principato.
Secondo una comunicazione, “nel prosieguo della conversazione ci si è soffermati su alcune questioni di interesse comune, come la salvaguardia dell’ambiente, l’aiuto umanitario e lo sviluppo integrale dei popoli. Infine, sono state prese in esame alcune problematiche che interessano la comunità internazionale, quali la pace e la sicurezza nel mondo”.
Il Principe, insieme alla principessa Charlene, ha anche partecipato alla processione di Santa Devota.
Nella sera del 26 gennaio, Isabelle Rosabrunetto, Direttrice Generale del Dipartimento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, ha organizzato una cena in onore dell’arcivescovo Gallagher. Nella cena, sono stati trasmessi i saluti di Isabelle Berro-Amadei, primo ministro ad Interim e ministro delle relazioni estere e della cooperazione, assente perché ad Auschwitz per le celebrazioni dell’80° Anniversario della liberazione del campo di concentramento.
Il 27 gennaio, dopo la celebrazione eucaristica, il Principe e la Principessa hanno organizzato a Palazzo Grimaldi un pranzo ufficiale in onore dell’arcivescovo Gallagher, al termine del quale il principe Alberto ha consegnato a Gallagher la medaglia di Santa Devota, Patrona del Principato, della Famiglia Principesca e dell’arcidiocesi di Monaco.
Gallagher a Monaco, l’incontro con il clero
Il pomeriggio del 27 gennaio ha incontrato sacerdoti, responsabili dei servizi diocesani, religiosi e religiose nella cappella della Misericordia dell’Arcivescovado locale.
L’incontro con i sacerdoti ha avuto luogo dopo la Messa celebrata al mattino nella cattedrale dell’Immacolata concezione. Parlando con il clero, Gallagher ha sottolineato come “di fronte alle guerre in corso e alla “minaccia sempre più concreta di una guerra mondiale” cui spesso fa riferimento Papa Francesco, l’attuale Anno Santo “vuole essere una risposta spirituale ai mali temporali che affliggono tanti Paesi”.
Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede ha sottolineato che la Santa Sede, con la sua azione diplomatica, “guarda con compassione alle sofferenze del mondo, le affronta con empatia, ascolta i bisogni e propone soluzioni innovative per risolvere i conflitti, che si tratti di Ucraina, Medio Oriente, Caucaso o Yemen”.
Gallagher ha fatto anche riferimento a varie situazioni che si vivono in Africa, menzionando in particolare Sudan, Sahel, Corno d’Africa, Mozambico, est della Repubblica Democratica del Congo.
Il presule ha detto che la diplomazia pontificia non punta solo a gestire la crisi, ma sviluppa anche principi come pace, fraternità, multilateralismo, salvaguardia del creato, regolamentazione dei flussi migratori, un’economia equa, la lotta alla tratta e alla difesa dei diritti umani.
Gallagher ha anche richiamato la necessità di “garantire la libertà religiosa, una delle condizioni minime per vivere in modo dignitoso”, senza la quale “la vera pace rimane fuori portata”.
Parlando degli appelli di Papa Francesco per la pace, Gallagher ha notato come “l’essenziale non è l’efficacia immediata di questi appelli, ma l’atto stesso di dare un nome alle guerre e ai conflitti, in modo che non sprofondino nell’oblio e che le vittime possano beneficiare dell’attenzione e della solidarietà mondiale” perché “dietro le statistiche ci sono vite umane e destini distrutte”.
Affrontando la questione migratoria, Gallagher ha chiesto di non trasformare il mare Nostrum (il Mediterraneo) in un cimitero, e ha esortato all’accoglienza di quei “fratelli e sorelle in umanità che bussano alle nostre porte”, spesso portando con sé “talenti ed energie”. Una ospitalità “basata sul rispetto delle leggi e degli equilibri sociali e culturali”, ha aggiunto l’arcivescovo, deve guardare anche alla collaborazione con i Paesi d’origine dei migranti per consentire ai loro abitanti di “vivere con dignità nella propria terra, come cittadini liberi e realizzati”.
Gallagher ha infine messo in luce che nessun essere umano si deve sentire “in colpa per il fatto di esistere e nessun anziano o malato sia privato della speranza o rifiutato”, e che anche per loro opera la diplomazia della Santa Sede, come “un vettore di solidarietà”, “una forza di azione morale”, “una bussola che guida le coscienze”.
Tra le azioni concrete da fare, il “ministro degli Esteri” vaticano ha citato il sostegno alla cancellazione del debito estero dei Paesi più poveri, la promozione della giusta transizione ecologica, il sostegno ad uno sviluppo integrale accessibile a tutti e una politica internazionale di disarmo.
Gallagher a Monaco, la Messa per Santa Devota
Nell’omelia della Messa celebrata in occasione di Santa Devota, l’arcivescovo Gallagher ha chiesto di denunciare le violazioni della dignità religiosa, “che va promosso ovunque, e per il quale altri, prima di noti e per noi, hanno pagato con la vita”.
Uno di questi è appunto Santa Devota, prima torturata e poi martirizzata nel 304 dopo aver rifiutato di obbedire all’imperatore.
Nell’omelia, Gallagher richiama la vita della santa, e sottolinea che il suo esempio è ancora attuale, considerando che “in diversi Paesi affermare la propria fede cristiana può portare ad accuse di blasfemia contro una religione dominante, portare a discriminazioni nell’accesso a un lavoro, a una posizione, a una promozione, o anche alla proprietà”.
È il caso – ha detto il ministro degli Esteri vaticano – “di tante terre dove “non è tanto la fede cristiana ad essere in pericolo – la storia ha dimostrato che anche nei Paesi in cui si è tentato di sradicarla, essa resiste e si rafforza di fronte agli attacchi – quanto piuttosto la libertà religiosa ad essere seriamente minacciata”.
Gallagher ha chiesto di resistere alla tentazione che i nostri cuori siano invasi dall’odio, e ha ricordato che “Dove c’è orgoglio, c’è sempre guerra, sempre voglia di sconfiggere gli altri, di credersi superiori. Senza umiltà non c’è pace e senza pace non c’è unità”.
Gallagher ha dunque chiesto a tutti i fedeli di “vivere pienamente la propria fede”.
FOCUS SIRIA
Il cardinale Gugerotti in Siria: gli incontri, le parole, la speranza
Dal 23 al 29 gennaio, il Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, è stato in Siria per portare la vicinanza del Papa alla popolazione siriana.
Al termine del viaggio, il 29 gennaio, Gugerotti ha parlato di “grande emozione e commozione personale” nell’aver visto e sperimentato di persona “le drammatiche difficoltà della vita quotidiana di questo popolo: la povertà diffusa, la mancanza di acqua ed elettricità, la mancanza di riscaldamento, l’incertezza per il futuro”.
Il Cardinale Gugerotti ha sottolineato che si sta lavorando per evitare l’esodo dei cristiani, fortissimo di fronte al processo di transizione in corso, perché “la presenza cristiana, che è già minima, rischia di sparire definitivamente laddove, invece, sta la culla della cristianità”.
Durante il suo viaggio, Gugerotti ha toccato Aleppo, Homs, Damasco, e ha avuto incontri con centinaia di giovani, i quali – ha detto il cardinale – “si sentono siriani, innanzitutto, e come tali vogliono accettare la sfida della costruzione di un nuovo tessuto sociale”.
Durante la missione, Gugerotti ha incontrato anche i rappresentati delle Chiese cristiane, chiedendo loro di “di essere una sola voce, pur nella diversità delle loro tradizioni, delle loro istituzioni, delle loro gerarchie, perché altrimenti si rischia l’assoluta irrilevanza. Qui la voce cristiana – ed è la ragione per cui abbiamo visitato anche i capi delle Chiese ortodosse – in questo momento deve essere unita per le esigenze fondamentali, per quelle che sono le richieste comuni a coloro che segnano la transizione o che subentreranno alle forze di transizione”.
Durante il viaggio, l’Unione Europea ha annunciato che avrebbe avviato un processo di alleggerimento progressivo delle sanzioni. La notizia ha raggiunto il cardinale Gugerotti a Homs, il cui vescovo siro cattolico, Jacques Mourad, era un monaco di Mar Mousa, rapito dai jihadisti nel 2015.
Il cardinale Gugerotti era arrivato a Homs dopo due giorni di visita ad Aleppo dove ha potuto incontrare i fedeli di diverse Chiese cattoliche, a partire da quelli latini nella Chiesa di san Francesco e successivamente quelli caldei presso la cattedrale, retta dal vescovo Antoine Audo, per un incontro con i membri delle organizzazioni umanitarie e caritative della Siria.
Parlando ai fedeli, il porporato aveva affermato: “La giustizia è la carità e la carità è la giustizia. Il cuore si stringe nel vedere quale violenza è stata esercitata ovunque, anche fuori del Paese, per ridurre la Siria e il suo popolo in tali condizioni di povertà. Papa Francesco mi ha mandato qui anche per ringraziare tutti quelli che hanno riconosciuto Gesù nei poveri e nei disprezzati. Io non so dirvi come sarà la Siria in futuro, ma posso dirvi – ha concluso il porporato – che lavare le ferite di Cristo è la politica e la strategia della Chiesa”.
Ad Aleppo, Gugerotti ha incontrato clero, le religiose ed i religiosi del Paese presso la Cattedrale melkita, e anche l’arcivescovo armeno ortodosso di Aleppo, Magar Ashkarian.
“Nel corso del colloquio fraterno e cordiale – si legge su Vatican Media – l’arcivescovo Ashkarian ha potuto condividere le preoccupazioni e le attese per gli sviluppi politici e sociali del Paese, ribadendo la necessità di una Siria in cui tutti i cristiani possano sentirsi cittadini a pieno titolo. Di ritorno a Damasco l’inviato del Papa avrà ancora l’occasione di ascoltare i bisogni e le necessità delle organizzazioni caritative e umanitarie cattoliche, prima di lasciare l’amata Siria e fare ritorno in Vaticano per riferire a Papa Francesco le istanze e le aspettative della popolazione e delle Chiese locali”.
Il 25 gennaio, Gugerotti ha presieduto la celebrazione per la festa della conversione di San Paolo.
Damasco era la terza città del mondo arabo, dove c’erano oltre 300 mila membri appartenenti ad una decina di confessioni diverse, e ora sono 3 mila.
Parlando con i fedeli di rito latino nella chiesa di San Francesco, Gugerotti ha affermato:
“La nuova Siria è ancora in gestazione. Ma quando nascerà avrà bisogno di una buona levatrice e questo è un compito che spetta ai cristiani”.
A conclusione della celebrazione eucaristica nella chiesa dei francescani l’inviato del Papa ha incontrato i familiari di un sacerdote rapito nel 2012 e poi scomparso. La stessa sorte toccata a un prete greco ortodosso che viaggiava insieme a lui. È stata la madre del religioso a raccontare in lacrime la disperazione di chi non può neppure piangere il corpo del proprio figlio. Per lei l’unica speranza di una nuova Siria è quella di una tomba su cui deporre un fiore. A ulteriore testimonianza del dolore sofferto dalla popolazione locale in questi anni anche l’incontro con le sorelle di una religiosa di Aleppo colpita a morte da un missile agli inizi della guerra.
Durante il viaggio, il prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali ha incontrato anche l’ambasciatore d’Italia, Stefano Ravagnan, e l’Alto commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi. Dall’8 dicembre – ha sottolineato il capo dell’Unhcr – i rifugiati hanno ricominciato a ritornare in Siria, ad oggi almeno 210 mila quelli rientrati dai Paesi limitrofi, mentre circa 600mila sfollati interni sono potuti tornare alle proprie case. “Ora – dice l’Alto commissario – è il momento per la comunità internazionale di assumersi dei rischi per favorire il processo di transizione e la normalizzazione del Paese”.
FOCUS ROTA ROMANA
Il Cardinale Parolin celebra la Messa di inaugurazione dell’anno giudiziario della Rota Romana
Il 31 gennaio, in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario della Rota Romana, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha celebrato la Messa nella Cappella Paolina.
Riflettendo sul mistero del Regno di Dio, il Cardinale Parolin ha detto che quello che c’è sulla terra è “fermento in atto, seme che germina nascosto con forza ed efficacia infallibile. E noi possiamo offrire la nostra umile collaborazione a questa crescita, aprendoci all’azione dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori, rimuovendo gli ostacoli, vivendo nella fiducia rassicurante che Dio opera in noi notte e giorno”.
Il cardinale ha notato che “la storia del Regno di Dio non può essere valutata dai nostri insuccessi”, né – ha aggiunto – “le nostre pigrizie riusciranno ad ostacolare il cammino del Regno, né la nostra frenetica agitazione lo agevolerà, se non saremo accompagnati dalla grazia divina che segretamente lavora negli animi, e se non saranno rette, limpide ed oneste le nostre intenzioni”.
Parolin ha aggiunto che la Chiesa “ben sa che questo Regno cresce nei giorni luminosi e tranquilli e nelle notti e oscure delle persecuzioni o nell’avvilente grigiore dell’indifferentismo”, con una forza “intrinseca e invincibile”, un piccolo granello di senape che, con la resurrezione di Cristo, diventa “così cattolicità, universalità, non solo e non tanto in senso spaziale (quantunque anche in questo), ma secondo la dimensione della profondità, che è quella dello spirito, poiché ha sollecitato e coinvolto lo spirito umano e si è sviluppato come l’immensa pianta di Dio alla cui ombra possono trovare riparo e conforto tutti gli uomini di buona volontà che cercano con sincerità e onestà la verità, e son desiderosi di pace e intendono praticare la legge dell’amore”.
Il porporato poi si sofferma sull’invito al “fiducioso abbandono a Dio”, secondo una attesa che “non è mai vana”, perché “la mietitura certamente verrà e – ricordiamolo – fisserà per sempre ciò che nel tempo si è liberamente scelto: l’accettazione o il rifiuto dell’amore”.
Il cardinale sottolinea la necessità di esercitare le virtù di pacatezza e pazienza, quest’ultima “nell’eccezione etimologica – viene dal verbo patior, e non significa solo accuratezza e attenzione, peraltro doverose, nello studio degli Atti, bensì capacità di farsi carico, cioè di compassione nei confronti del caso che avete “prae manibus”.
Una pazienza che – aggiunge Parolin – “nasce dalla consapevolezza che quello giudiziario, nella Chiesa, è un ministero di verità, un servizio prestato alle anime in vista di un bene superiore che si spera di conseguire, compatendo, comprendendo l’imperfezione altrui che si è chiamati a giudicare e, che assai spesso, non è dissimile dalla nostra e rifuggendo sempre da qualsivoglia animosità, faziosità, personalismi o atteggiamenti e posizioni preconcette”.
FOCUS AFRICA
Il nunzio in visita in Namibia per presentare le credenziali
L’arcivescovo Henryk Jagodziński ha svolto la scorsa settimana una visita in Namibia, a seguito dell’insediamento del Cardinale Stephen Brislin come arcivescovo Metrpolita di Johannesburg il 25 gennaio.
Il nunzio era chiamato a presentare le credenziali, anche se la sua nomina è dello scorso agosto, e a partecipare alla partecipazione della plenaria della Conferenza Episcopale della Namibia.
La cerimonia di presentazione delle credenziali si è svolta il 31 gennaio.
Dopo un momento cerimoniale e l’esecuzione dell’inno nazionale, il nunzio è stato accompagnato dal presidente.
“Eccellenza – ha detto Jagodziński – ho l’onore di consegnare a Vostra Eccellenza la lettera di richiamo del mio predecessore e la lettera con la quale Sua Santità Papa Francesco mi accredita come Nunzio Apostolico nella Repubblica di Namibia.”
Dopo le foto ufficiali, il nunzio e il presidente hanno avuto un breve colloquio molto cordiale. Quindi, c’è stata la firma del libro d’onore, e l’incontro con i giornalisti. Delineando le sue priorità come nunzio in Namibia, il nunzio ha sottolineato che il compito principale della Chiesa Cattolica è la salvezza delle anime, e che questa è la sua missione più importante, ma anche che la Chiesa non dimentica il benessere fisico delle persone, impegnandosi nell’istruzione e nell’assistenza sanitaria. In Namibia la Chiesa gestiasce molte scuole, ospedali e centri sanitari.
L’arcivescovo ha poi messo in luce che è in corso l’anno giubilare, e fatto riferimento alla diplomazia della speranza richiesta da Papa Francesco nel discorso di inizio anno al Corpo diplomatico, e all’esortazione alla cancellazione del debito.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, il nunzio ha partecipato al tradizionale scambio di auguri di Capodanno con il presidente, in una cerimonia in cui c’era anche la presidente eletta Netumbo Nandi-Ndaitwah.
Dopo il saluto ufficiale agli ospiti, ha preso la parola per prima la Decana del Corpo Diplomatico, l’Ambasciatrice dell’Angola. Successivamente, ha parlato il Presidente uscente, Nangolo Mbumba.
Una parte importante dell’evento è stata l’incontro personale tra il Presidente e i rappresentanti delle missioni diplomatiche. La serata si è conclusa con una cena ufficiale, durante la quale ho avuto nuovamente l’opportunità di conversare sia con il Presidente attuale che con il suo successore.
FOCUS AMERICA LATINA
Nicaragua, prosegue la repressione dei cristiani
Trenta suore clarisse sono state prelevate dai loro conventi in Nicaragua, in quello che è solo l’ultimo attacco alla Chiesa nel Paese. La sorte delle religiose, prelevate nella notte tra il 28 e il 29 gennaio dai monasteri di Managua, Matagalpa e Chinandega, è ancora incerta.
Nel maggio 2023 le autorità di Managua avevano proceduto allo scioglimento dell’Associazione suore clarisse francescane e di altre nove realtà e organizzazioni. Diverse congregazioni religiose di suore sono state parzialmente o totalmente espulse dal Nicaragua negli ultimi anni, in particolare dopo le controverse consultazioni del novembre 2021, in cui Daniel Ortega è stato rieletto per un quinto mandato, il quarto consecutivo.
Provvedimenti analoghi sono stati adottati anche nelle ultime ore. Il governo nicaraguense ha infatti cancellato lo status giuridico di altre 10 associazioni che operavano come organizzazioni no profit, portando il numero totale di ong vietate dal dicembre 2018 nel Paese centroamericano a più di 5.600.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede all’ONU di New York, il rispetto della legge umanitaria internazionale
Lo scorso 28 gennaio, la Santa Sede ha partecipato al Palazzo di Vetro di New York a un dialogo informale interattivo su “Preservare la dignità umana in un conflitto armato: promuovere l’aderenza alla Legge Umanitaria Internazionale”.
La Santa Sede ha rimarcato che l’adesione alla Legge Umanitaria Internazionale è “radicata nell’bbligo morale di garantire rispetto per la persona umana”, in quanto le regole della Legge Umanitaria Internazionale non sono proposizioni astratte, ma sono chiare salvaguardie che devono mitigare le sofferenze causate dai conflitti.
La Santa Sede ha notato che i morti civili non devono mai essere ridotti a meri “danni collaterali”, e che il blocco di aiuti umanitari in zone di conflitto e i crescenti attacchi al personale umanitario non può essere trascurato, perché queste azioni “espongono civili innocenti al rischio di una sofferenza non detta e li priva di necessità basiche come cibo, acqua e cure mediche”.
La Santa Sede ha ribadito l’importanza di fornire assistenza umanitaria e di assicurare la protezione del personale umano”, ed esorta la comunità internazionale a rispettare, sostenere e promuovere il Diritto Umani Internazionale in ogni circostanza.
La Santa Sede all’OSCE, risposta all’International Holocaust Remembrance Alliance
Il 30 gennaio, monsignor Richard Gyhra, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’OSCE, ha parlato al Consiglio Permanente dell’Organizzazione dopo l’intervento del presidente dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto.
Gyhra ha ricordato che quest’anno si ricorda l’80esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz Birkenau, e affermato che “il ricordo degli eventi passati non aiuta solo ad evitare che si rifacciano gli stesssi errori, ma permette anche alla memoria di essere base e ispirazione per future decisioni dirette alla pace.
Gyhra ha notato anche che “è evidente che le manifestazioni di antisemitismo continuino a crescere a Est e Ovest di Vienna”, e sottolinea che la Santa Sede è “preoccupata da questa tendenza e reitera la sua inequivocabile posizione contr nuove e vecchie forme di antisemitismo”.
Infine, si chiede di educare “le generazioni presenti e future a una migliore comprensione delle ragioni che hanno portato alla Shoah e altre innumerevoli atrocità”, perché questo è “un antidoto a questa spirale di odio che ci troviamo tristemente a testimoniare”.
La Santa Sede all’OSCE, l’inaugurazione del nuovo segretario generale
A seguito dell’installazione del nuovo segretario generale dell’OSCE, monsignor Richard Gyhra, rappresentante della Santa Sede a Vienna, ha preso la parola.
Nel suo intervento, Gyhra ha notato come “nonostante abbia una varietà di strumenti a sua disposizione, l’organizzazione continua ad affrontare sfide nel superare impasse di vario genere, con sfide che dipendono, secondo Gyhra, dall’assenza di un bilancio unificato tutto controllato e verificato, “urgentemente richiesto per assicurarsi l’effettiva funzionalità dell’OSCE”.
Il rappresentante della Santa Sede nota che la frammentazione e la divisione tra i membri, denunciate anche da Papa Francesco nel suo discorso di inizio anno al corpo diplomatico, “non solo rischiano di mettere a rischio la credibilità e l’autorità della nostra organizzazione, ma pongono anche una genuina minaccia alla sua esistenza”, sebbene il successo dell’organizzazione nel raggiungere consenso sulla nomina delle quattro posizioni apicali e della presidenza di turno del 2026 “mettono in luce la sua costante capacità di superare le divisioni” e sottolineano che “ci può essere progresso quando c’è un impegno genuino alla collaborazione al compromesso”.
La Santa Sede chiede dunque di recuperare lo spirito di Helsinki, che diede vita all’organizzazione, cosa che richiederà “pazienza e la volontà di impegnarsi con tutti”.
La Santa Sede a Ginevra, il Srvizio Interreligioso
Come ogni anno, la Missione della Santa Sede presso varie organizzazioni internazionali a Ginevraha organizzato il suo Servizio Interreligioso annuale, per la sedicesima volta, in collaborazone con la diocesi. Questo ha avuto luogo lo scorso 30 gennaio, ed ha avuto il tema del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2025: “Rimetti i nostri debiti e donaci la pace”.
Nel suo discorso introduttivo, l’arcivescovo Ettore Balestrero, nunzio e osservatore permanente della Santa Sede a Ginevra, ha posto il servizio nel contesto dell’anno Giubilare e ha incoraggiato i presenti a guardare avanti alle varie sfide che affrontano il mondo in questo tempo.
Il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha riflettuto sul messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace, notando come la giustizia riparativa e il restaurazione della dignità sono essenziali per dare “nuova speranza” al mondo in questo anno Giubilare.
In particolare, Koch si è riferito a tre misure concrete proposte dal Papa perché questa nuova speranza sia una realtà durante il Giubileo: la cancellazione del debito, stabilimento di un fondo mondiale per sradicare la fame e il rispetto per la vita dal concepimento alla morte naturale.
Il capo del dicastero ecumenico vaticano ha anche sottolineato l’importanza di riconoscere la debolezza della condizione umana “per essere aperti alla pace che solo Dio può dare e così poter essere abilitati ad agire come operatori di pace”.
All’evento c’erano circa 300 persone, incluso il direttore generale delle Nazioni Unite a Ginevra e molti ambasciatori. Dopo l’intervento di Koch, hanno fatto seguito gli interventi di leader da comunità cristiane, ebree, musulmane e buddiste, che hanno parlato del messaggio del Papa a partire dalle loro tradizioni e credenze.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link