Elmasry, i segreti sospesi dell’affare di Stato

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Mettere il segreto di stato sul caso Elmasry chiuderebbe la vicenda. Ma tenerla aperto, per Meloni e il suo governo, è un investimento a resa sicura: la base si galvanizza per le botte da orbi ai giudici e i sondaggi vedono FdI guadagnare consensi su consensi, mentre le contromisure delle opposizioni, sin qui, si sono limitate all’invettiva, senza riuscire a incidere davvero.

NELLA TARDA mattinata di ieri, Giulia Bongiorno, la parlamentare leghista scelta come avvocata di tutti i membri del governo indagati dalla procura di Roma, si è recata a palazzo Chigi per incontrare il sottosegretario Alfredo Mantovano. La visita è durata un quarto d’ora, giusto il tempo per fare un rapido punto della situazione, in vista degli inevitabili passaggi formali. Il tribunale dei ministri, infatti, proprio in virtù della mossa del procuratore di Roma Francesco Lo Voi, dovrà lavorare sul caso e gli indagati sarebbero intenzionati a produrre una memoria difensiva. A quel punto il tema del segreto di Stato diventerà centrale: invocarlo porrebbe in automatico fine a ogni tipo di indagine e l’unica arma che rimarrebbe in mano alla procura per andare avanti è quella di fare ricorso alla Corte costituzionale. Difficile che accadrà, anche perché al momento gli elementi che hanno fatto sentire Lo Voi in dovere di inviare una comunicazione d’iscrizione nel registro delle notizie di reato a palazzo Chigi consistono nella paginetta di esposto compilata dall’avvocato Luigi Li Gotti e nei relativi allegati, cioè un paio di articoli di Repubblica. Troppo poco.

MARTEDÌ le conferenze dei capigruppo di Camera e Senato torneranno a discutere dell’informativa del governo sul caso e qualsiasi cosa si dirà in quella sede finirà con l’ingrossare il fascicolo. Nella stessa giornata Mantovano andrà al Copasir, ma per parlare della diffusione di un documento dell’Aisi ai giornalisti di Domani denunciati dal capo di gabinetto di Meloni. Un caso spinoso perché l’errore della procura è evidente: la carta riservata non doveva finire nel fascicolo messo a disposizione delle parti. È un’altra storia, anche se rientra nell’assalto che la destra sta portando avanti da giorni contro Lo Voi, tra voli di Stato utilizzati per tornare a casa sua a Palermo, pratiche al Csm e agguati mediatici (come Mantovano che in tv diffonde su di lui veri dettagli che dovrebbero restare riservati per ragioni di sicurezza). Sul caso Elmasry, in tutto questo, restano sospesi diversi punti. Se l’espulsione e il rimpatrio sono già stati spiegati da Piantedosi in Parlamento come questione di «sicurezza nazionale», gli aspetti da approfondire riguardano ciò che è accaduto tra sabato 19 e martedì 22 gennaio, cioè dall’arrivo dell’aguzzino in Italia al momento in cui la Corte d’appello di Roma lo ha scarcerato. In realtà, però, ci sarebbe anche un passaggio precedente: il 6 gennaio, la prima tappa europea del tour del capo della polizia libica è stata all’aeroporto di Fiumicino, dove ha fatto scalo prima di ripartire per Londra.

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SI TRATTA di un dettaglio che smonta in partenza la teoria del complotto secondo cui mezzo mondo si sarebbe messo d’accordo per lasciare che il ricercato arrivasse a Torino in modo da mettere in difficoltà Meloni. Il governo, infatti, era stato di certo informato per tempo di quello che stava accendo. Venerdì 18 gennaio, quando la Corte penale Internazionale ha preso la decisione di spiccare un mandato d’arresto per il capo della polizia giudiziaria di Tripoli, subito si è preoccupata di mandare un funzionario ad avvisare l’ambasciata italiana dell’Aja. Lì il fascicolo con i capi d’accusa e tutto il resto è stato preso da un magistrato di collegamento. Il giorno successivo, nel pomeriggio, a Torino, Elmasry era stato fermato dalla Digos che lo ha identificato e ha prodotto un rapporto. A notte fonda, infine, è scattato il blitz dell’arresto. Lunedì 21 all’esecutivo è di sicuro arrivato un terzo avviso, quello della Corte d’Appello di Roma che aveva chiesto al ministero della Giustizia come intendesse procedere: l’arresto era stato «irrituale» proprio per il mancato coordinamento con via Arenula, che tuttavia avrebbe potuto sanare l’errore formale con una riga scritta. Non lo ha fatto e non ha dato indicazioni nemmeno martedì 22, quando alle 16 è uscita la nota per la stampa in cui Nordio veniva definito impegnato a valutare il «complesso carteggio» e poi a sera è avvenuta la scarcerazione ed Elmasry è stato rimandato a casa su un volo di Stato. L’ultima scusa sul perché di questa «inerzia» l’ha data ieri il vicepremier Tajani: «Non era semplice, c’erano quaranta pagine in inglese da tradurre».

FATTO STA che il mandato d’arresto della Cpi non è stato eseguito. Ieri, interpellato sul punto, il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, ha ricordato che «come da conclusioni del Consiglio europeo del 2023» tutti gli stati parte devono garantire piena cooperazione con L’Aja, «anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti». L’Italia non lo ha fatto. Non era mai successo in Europa.



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