Buongiorno. Ancora giustizia. Giustizia come tema dominante, terreno di scontro, chimera eterna fatta di pezzi diversi come il mostro della mitologia greca: verità ideali e parziali, strumentalizzazioni presunte o effettive. Dopo la breve stagione in cui tutte le curve tifavano per lei, da più di 30 anni la magistratura è l’istituzione più divisiva, ciclicamente accusata di interferenze indebite (a volte anche da sinistra) e perfino di eversione (più spesso da destra).
Ora sembra prossimo il cortocircuito. Tra le ambiziose e controverse riforme imbastite dal governo Meloni, quella della giustizia appare la meno condannata all’inconcludenza, anche se superare tutti gli ostacoli (l’opposizione dell’Associazione magistrati e di una parte del Paese che si presume non trascurabile) non sarà semplice.Â
In questo conflitto perenne, ogni spunto è una battaglia. Districarsi tra fatti oggettivi e propaganda non è semplice, anche perché gli eventi non danno tregua. Siamo ancora nel pieno del caso Almasri – il generale libico accusato di crimini contro l’umanità  e ricondotto in patria, la successiva iscrizione dei vertici del governo nel registro degli indagati per «favoreggiamento» e «peculato» decisa dal procuratore capo di Roma Lo Voi, la veemente reazione della presidente del Consiglio – ed ecco che riesplode quello dei migranti trattenuti nei centri costruiti dall’Italia in Albania: ieri la Corte d’Appello di Roma non ha convalidato il fermo di 43 persone, rimandando ancora una volta all’atteso pronunciamento della Corte di Giustizia europea sulla validità delle norme varate dal governo italiano in materia di rimpatri. Il governo lo vede come l’ennesimo ostacolo indebito all’attuazione delle sue politiche, l’opposizione come la prova definitiva del fallimento del piano-Albania.
Ha detto Fiorenza Sarzanini a Otto e mezzo su La7: «Anche questo scontro era abbastanza prevedibile. La scelta del governo di spostare la competenza alle Corti d’Appello era evidentemente inutile, un ulteriore tassello di questa sfida.
Abbassare i toni? I toni non si potranno abbassare mai se la politica non smetterà di usare la giustizia come una clava, o come forma di rivalsa verso l’avversario o come forma di incitamento. Perché è chiaro che Meloni in questo momento sta sfruttando l’onda contro i magistrati, che in Italia vengono vissuti come quelli che vogliono condizionare la vita delle persone. Meloni sta guadagnando consenso, non a caso oggi ha postato che lei va avanti perché ha il consenso dei cittadini. La giustizia però è una cosa seria, è un’altra cosa, sfruttarla in questo modo è un danno per tutti».
«Su Almasri bastava mettere il segreto di Stato ma la premier non l’ha fatto. Perché anche il caso Almasri è stato in qualche modo usato nella propaganda contro la Corte penale internazionale. Qui non c’era un ostaggio da scambiare – perché è chiaro che noi dovevamo riportare a casa Cecilia Sala, e bene ha fatto il governo a trattare con l’Iran, a liberare Abedini e a ridarglielo. Noi siamo ricattati dalla Libia perché se non davamo Almasri ci mandavano 100 mila migranti in più? Poniamo il segreto di Stato e glielo riportiamo. Metterlo su un aereo di Stato, con lui che arriva in favor di telecamera e viene rilasciato in trionfo, mi sembra troppo. Ma non credo che sia incapacità . Perché questo governo quando deve fare le cose bene le fa, come appunto nel caso Sala. Qui c’era da andare contro la Cpi, perché la Cpi non ha fatto arrestare Almasri – come secondo me poteva – in Germania, e ha aspettato che arrivasse in Italia. C’era insomma un’altra contrapposizione che si voleva evidenziare. Una settimana prima il ministro degli Esteri Tajani aveva detto che se Netanyahu venisse in Italia noi non lo arresteremmo, anzi gli daremmo l’immunità . È chiaramente una sfida alla Cpi. Ma noi della Cpi siamo fondatori. Allora usciamone».
Scrive da parte sua Massimo Franco: «Il rumore di fondo non si placa. E ognuno tiene il punto, tra governo e magistratura. E in ritardo si fanno sentire anche le opposizioni, additando “il vittimismo” di Giorgia Meloni; e chiedendole di andare in Parlamento a spiegare il pasticcio del generale libico riportato nel suo Paese nonostante un mandato di cattura della Corte penale internazionale. Ma c’è molto di non detto, da parte di tutti. Forse perché non sempre è possibile guardare dentro l’intera area grigia che ammanta il principio di sicurezza nazionale, e operazioni coperte pure nel passato e con altri governi. L’impressione è che la vicenda di Osama Almasri sia diventata un caso solo per la sua gestione approssimativa e confusa (…). L’imbarazzo è palpabile, nonostante tanti aspetti ancora poco chiari. Ma alla fine rischiano di farsi male tutti, e di far male all’Italia. I sondaggi, al momento, tendono a premiare Giorgia Meloni».
Proviamo quindi ad azzardare un paio di punti sui cui i lettori del Corriere possano accordarsi idealmente, a prescindere dai loro orientamenti:
- Il governo ha fatto bene a rimpatriare Almasri, come aveva fatto bene a rimpatriare Abedini: lì si trattava di salvare un’italiana, qui di evitare che altri italiani in Libia diventassero a loro volta ostaggi, se non vittime di esecuzioni, e anche di scongiurare altre rappresaglie nella forma di nuove ondate di migranti organizzate ad arte. Perché bisogna ricordare senza ipocrisie – come ha fatto in questi giorni Goffredo Buccini qui e qui – che queste regole d’ingaggio con la Libia (tu mi trattieni i migranti, io ti pago e non guardo come lo fai) le ha stabilite nel 2017 un governo guidato dal Pd con un memorandum rinnovato nel 2020 dal governo Conte 2 e nel 2023 dal governo Meloni, che ha ereditato e condiviso l’impianto, replicandolo di fatto con l’Algeria. Tutte cose che le opposizioni sanno bene ma fingono di non sapere.
- Il governo ha fatto male a non apporre il segreto di Stato sull’affare Almasri, cosa che avrebbe scongiurato qualsiasi inchiesta; a non assumersi in questo modo la responsabilità politica della scelta, perché di decisione politica si è trattato, come Giovanni Bianconi ha spiegato fin dall’inizio della vicenda; a non chiamare l’opposizione più responsabile a condividere il senso vero (e le radici profonde) di questa scelta, come nel caso di Cecilia Sala; ad approfittare dell’inchiesta avviata dal procuratore Lo Voi per cambiare discorso e scatenare una nuova polemica contro il presunto complotto dei magistrati di sinistra per rovesciare Meloni, con ciò fingendo che Lo Voi sia di sinistra quando ha tutt’altra storia, e poi usando contro di lui la macchina del fango attraverso il Tg1, insinuando che quella di Lo Voi sia una vendetta personale contro il sottosegretario Mantovano che gli ha tolto i voli di Stato, e così contraddicendo peraltro tutto l’impianto polemico (se è vendetta personale di un magistrato per niente «comunista», non c’entra niente il presunto complotto «comunista»).
Benvenuti alla Prima Ora di sabato 1° febbraio, che si occuperà anche d’altro ma essenzialmente di migranti.
Migranti in Albania, il nuovo stop
La scelta dei giudici, le puntate precedenti, le reazioni: punto per punto.
- Ancora un no È stata stavolta la Corte d’Appello di Roma a non convalidare il fermo dei 43 bengalesi ed egiziani soccorsi nei giorni scorsi nel Mediterraneo e trasferiti dalla nave Cassiopea della Marina nel centro albanese di Gjader. I migranti torneranno dunque in Italia (sbarcheranno stasera a Bari: qui le loro storie, raccontate da Fabrizio Caccia).
- Il richiamo all’Europa Ancora una volta i giudici italiani si sono rivolti alla Corte di giustizia europea perché chiarisca se un Paese possa essere considerato sicuro per i migranti da rimpatriare dopo che la loro richiesta d’asilo venga respinta, «qualora, in tale Paese, vi siano una o più categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale designazione».
- Gli stop precedenti I primi trasferimenti di migranti in Albania sono stati vanificati a ottobre e novembre dalla sezione immigrazione del tribunale di Roma, che non ha convalidato i trattenimenti disposti dalla questura della Capitale, e dal Tribunale di Bologna. Anche nella prima pronuncia, il 18 ottobre, i giudici hanno sostenuto «l’impossibilità di riconoscere come Paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera».
- Il decreto del governo La seconda decisione dei giudici romani è dell’11 novembre, dopo che il governo aveva nel frattempo emanato un decreto per definire la nuova lista di Paesi sicuri. Ma in quel caso i magistrati hanno sospeso il giudizio sulla convalida del trattenimento di 7 migranti rimettendo tutto nelle mani della Corte di giustizia europea, cui hanno chiesto di chiarire la compatibilità , definita «dubbia», del decreto del governo con le norme europee. La stessa richiesta ai giudici europei era stata fatta il 29 ottobre dal Tribunale di Bologna.
- Qual è il punto controverso? Il punto è che la Corte europea si è già pronunciata il 4 ottobre, affermando che un Paese è da considerare sicuro solo se lo è per tutte le categorie, minoranze comprese. Lo ha fatto basandosi sulla direttiva europea del 2013. Il Parlamento europeo ha già approvato un nuovo Regolamento che entrerà in vigore nel 2026 e che modifica il concetto di Paese sicuro, introducendo il concetto di «sicurezza parziale». Ma fino al 2026 resta in vigore la direttiva del 2013. Ora si attende una pronuncia, si spera definitiva, della Corte europea, in un’udienza fissata per il 25 febbraio.
- Nuovo organismo, stessi giudici È il paradosso che si è verificato ieri. A decidere è stata la Corte d’Appello e non la sezione del tribunale specializzata sull’immigrazione, soppressa dal governo con una riforma che assegna alle Corti di Appello le valutazioni sui trattenimenti e che i magistrati hanno contestato duramente per le carenze negli organici. Proprio per queste carenze, spiega Fulvio Fiano, il presidente della Corte d’appello di Roma (che deve gestire tutto il Protocollo Italia-Albania) ha applicato al nuovo compito gli stessi giudici che prima si occupavano di immigrazione nella soppressa «sezione protezione internazionale». Sono i magistrati già attaccati da Elon Musk («questi giudici devono andarsene»). Manca solo Silvia Albano, finita sotto scorta per le minacce di morte ricevute dopo non aver convalidato i primi trattenimenti in Albania.Â
- La reazione della premier Monica Guerzoni la racconta così: «Giorgia Meloni è più infuriata che mai e non darà alle opposizioni la soddisfazione di mettere i sigilli ai centri di Shenjin e Gjader. La premier va avanti, perché è sempre più convinta che “il governo è nel giusto“». «A caldo, ha affidato a fonti di governo il suo “grande, profondo stupore” per la decisione di quei magistrati della Corte d’appello a cui aveva consegnato per decreto l’onere di decidere del destino dei profughi dopo le sentenze sfavorevoli al governo». Ma a Palazzo Chigi e al ministero dell’Interno «la decisione di sospendere il giudizio in attesa del verdetto della Corte di giustizia Ue è stata letta come un segnale di debolezza dei magistrati».Â
- Le reazioni dell’opposizione Elly Schlein, Pd: «I diritti non possono essere modificati con stratagemmi come quello di spostare i giudizi dai tribunali per l’immigrazione alle Corti d’Appello, nel tentativo del governo di scegliersi i giudici. Continuano a perpetuare politiche fallimentari che violano i diritti umani». Giuseppe Conte, 5 Stelle: «Errare è umano, perseverare è una prerogativa del governo Meloni. Hanno partorito un decreto flussi sicuri, hanno spostato la competenza dei giudici verso le Corti d’appello, hanno riportato in Libia il ricercato Almasri e ci hanno subissati di annunci vuoti utili solo alla propaganda». Matteo Renzi, Italia viva: «Meloni dovrà pagare di tasca propria per questo assurdo spreco di soldi pubblici».Â
- La preoccupazione di Mattarella In molti si chiedono perché, in questi giorni di fuoco, il presidente della Repubblica non abbia ancora parlato. Lo spiega Marzio Breda: «La risposta è riassunta nell’immagine dello sfavillio che rischia di accendere esplosioni a catena nella “stanza” (cioè nei Palazzi del potere, che sono tanti) quando è piena di gas». Il capo dello Stato, comunque, non si aspettava una simile saturazione: «Una prova di forza così aspra era imprevedibile, per lui, dopo l’incontro di martedì pomeriggio sul Colle, durante il quale la premier lo aveva informato della comunicazione giudiziaria a suo carico che le aveva fatto recapitare il procuratore capo di Roma. Certo, nel faccia a faccia Meloni si era espressa con i toni veementi che le sono propri e che Mattarella ben conosce. Gli aveva anticipato il suo personale sdegno, accompagnato da un battagliero “non starò ferma“. Ma non aveva minimamente accennato agli attacchi mediatici che stava per scatenare. Per capirci: nessun riferimento alla tambureggiante autodifesa studiata apposta per dilagare su video e social. E tantomeno aveva parlato del blocco del Parlamento che sarebbe derivato dal rifiuto dei ministri (e di lei stessa) coinvolti nella vicenda a presentarsi a riferire davanti alle Camere».Â
- I dazi di Trump contro l’Europa Oggi scattano quelli del 25% contro Canada e Messico e del 10% contro la Cina.  «Ma li imporrò sicuramente anche alla Ue», avverte il presidente americano. La corrispondenza di Viviana Mazza e «cosa ha in mente Donald» spiegato da Federico Rampini.
- Lo stop all’asse delle destre in Germania Non è passata in Parlamento la legge sulla stretta anti-immigrazione voluta dal leader della Cdu Friedrich Merz, favorito alle prossime elezioni del 23 febbraio, e appoggiata dalla Afd, il partito cripto-nazista: un asse che aveva rotto un tabù della politica tedesca, dando spazio e legittimità al partito più estremista. Particolarmente controverso era il divieto dei ricongiungimenti familiari. Decisivo, racconta Mara Gergolet, il no alla legge espresso dalla ex cancelliera Angela Merkel, antica rivale di Merz. «Ma ora il tabù è più fragile», spiega Barbara Stefanelli nell’editoriale.
- Hamas pronta a liberare tre uomini Il punto di Greta Privitera sulla tregua a Gaza, dove riapre il valico di Rafah.
- Caso Sara Pedri Assolti l’ex primario Saverio Tateo e la sua vice Liliana Mereu: la cronaca di Matteo Riberto.
- Caso Natisone Indagati per omicidio colposo plurimo tre vigili del fuoco e un operatore della sala emergenze sanitarie per la morte per annegamento di Patrizia Cormos, Bianca Doros e Christian Molnar nella piena del fiume, il 31 maggio 2024: la cronaca di Alessio Ribaudo.
Letture per il fine settimana
- La morte di Fabio Postiglione e un giro in tangenziale a Milano: le riflessioni di Aldo Cazzullo sul nostro collega e amico, su noi del Corriere sconvolti dalla sua tragedia, su noi milanesi che rischiamo continuamente di essere uccisi e di uccidere.
- La Terra dei fuochi raccontata da Roberto Saviano (tra poco sul sito).
- Mark Zuckerberg e Bill Gates raccontati da Martina Pennisi e Velia Alvich.
- Oscar Farinetti intervistato da Angela Frenda (tra poco sul sito).
- Il nuovo leader siriano è già un dittatore? Se lo chiede Andrea Nicastro (tra poco sul sito).
- Di quanto saremmo sottozero se non ci fosse il Pnrr? Risponde Ferruccio de Bortoli.
- I pericoli della «non» crescita spiegati da Daniele Manca.
- Social e regole, l’insofferenza contro l’Europa: l’analisi di Paolo Ottolina.
- Il poker della Nato e l’apertura polacca: il punto diplomatico di Paolo Lepri.
- Rita Pavone intervistata da Giovanna Cavalli.
- Un po’ di gossip: gli aggiornamenti di Candida Morvillo sugli ex Ferragnez.
- Il punto sul calciomercato, che chiude lunedì.
Il Caffè di Gramellini
Scommetti sul cuore
Se è vero che nelle piccole storie si celano a volte i grandi significati, lasciate che vi racconti di quel signore spagnolo che ha appena perso oltre quattro milioni di euro per avere scommesso contro la sua squadra del cuore. È andata così: un tizio che vive ad Albacete e tifa per l’Albacete entra in una ricevitoria di Albacete per giocare la schedina. La compila senza esitazioni, per bloccarsi solo davanti alla partita che lo coinvolge di più: Albacete-Almeria. Nella serie B spagnola l’Almeria è prima in classifica e non perde da quattordici partite. A cose fatte, e fatte molto male per lui, l’uomo ha ammesso di avere dato retta alla testa, che gli ha suggerito la soluzione più logica: scommettere sulla favorita. La stessa soluzione, per inciso, che gli avrebbe proposto l’intelligenza artificiale, dopo aver processato in un nanosecondo i numeri e le statistiche a disposizione.
Immagino che, mentre la mano del tifoso dell’Albacete scriveva «2» sulla schedina, il suo cuore avrà sanguinato, ma del resto lui aveva già scelto di non ascoltarne le ragioni. Mal gliene incolse, però, perché ha azzeccato tutti i risultati tranne quello della sua squadra, che battendo la prima in classifica gli ha fatto perdere la bellezza di quattro milioni e trecentomila euro. Morale? Per gli scettici, nessuna. Per me, questa: la mente va sempre consultata, ma non sempre obbedita. Esiste qualcos’altro, dentro di noi. Qualcosa che sbaglia di rado, quando ci parla con la voce della passione.
Grazie per aver letto Prima Ora, buon weekend e buon Febbraio.
(gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs.it, atrocino@rcs.it)
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