Questi giorni di rinnovata polemica tra politica e magistratura hanno ricordato a qualcuno i tempi di Silvio Berlusconi, sono state rispolverate persino le sue classiche espressioni di “giustizia ad orologeria” e di “persecuzione giudiziaria”. Ma paragonare le vicende giudiziarie che colpirono Silvio Berlusconi, a partire dall’avviso a comparire che lo raggiunse a Napoli nel 1994, con quelle attuali, ben più modeste, dell’avviso di indagine a Giorgia Meloni è del tutto fuori luogo.
Nel novembre del 1994, l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi stava presiedendo un vertice internazionale sul contrasto alla criminalità, quando il Corriere della Sera pubblicò a tutta pagina la notizia di un avviso a comparire (entro 24 ore!) emesso dalla Procura di Milano per una vicenda di corruzione a ufficiali della Guardia di Finanza che aveva già portato a numerosi provvedimenti di perquisizione, sequestri di documenti, arresti, tra i quali dirigenti Fininvest e lo stesso fratello del presidente del consiglio, Paolo Berlusconi (si pensi che questa estate Giorgia Meloni e la destra hanno tanto strepitato, gridando al complotto, solo per una ipotesi, non verificata, di una inchiesta nei confronti della sorella Arianna!).
Ora, invece, è stata la stessa presidente del consiglio, Giorgia Meloni, a rendere pubblico, via social, con tono vittimistico e scandalizzato, di aver ricevuto un semplice atto con il quale la Procura di Roma le comunicava che, a seguito di un esposto, era stata iscritta nel registro degli indagati, insieme ad altri membri del governo, per il rilascio del libico Osama Almasri inseguito da un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale per torture ai migranti. Un’indagine che, riguardando possibili reati ministeriali, sarà esaminata dal Tribunale dei ministri, con tutte le garanzie previste per i membri del governo, compresa la necessaria autorizzazione a procedere da parte delle Camere.
L’avviso a comparire nel 1994 a Silvio Berlusconi fu il principale elemento scatenante una crisi politica che portò in pochi mesi la Lega di Umberto Bossi ad uscire dal governo, alle dimissioni di Berlusconi e alla caduta del suo primo governo. La rottura con la Lega causò inoltre la sconfitta del centrodestra, presentatosi diviso, alle successive elezioni politiche del 1996, vinte dalla coalizione di centro sinistra guidata da Romano Prodi. Berlusconi dovrà (e saprà) attendere sette lunghi anni per tornare, con le elezioni del 2001, al governo del Paese.
In questi giorni, a Giorgia Meloni, è accaduto esattamente il contrario, ha ricevuto la solidarietà di tutta la maggioranza e di tutti i partiti del centrodestra e la sua posizione politica, anche agli occhi della pubblica opinione, è uscita rafforzata. Mentre l’avviso a comparire danneggiò Silvio Berlusconi nel pieno della sua attività di governo, con la manovra finanziaria all’esame del Parlamento, il piccolo avviso di indagine è servito a Giorgia Meloni per superare un momento di oggettiva, plurima, difficoltà (e per non andare a risponderne in Parlamento). Difficoltà dovute allo stesso caso del rilascio di Almasri, al rinvio a giudizio della ministra Daniela Santanchè e ad uno strano caso di spionaggio familiare, da parte dei servizi segreti che fanno capo a Palazzo Chigi, proprio del capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Gaetano Caputi.
La reazione di Giorgia Meloni all’avviso di indagine è stata pressoché simile a quella che ebbe Silvio Berlusconi, ma le due vicende non sono assolutamente comparabili. E le accuse rivolte in questi giorni dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al procuratore di Roma che ha emesso l’avviso d’indagine, Francesco Lo Voi e allo stesso avvocato (con un passato politico di destra) che ha presentato l’esposto, Luigi Li Gotti, sono state gravi, minacciose ed ingiustificate.
Peccato, peccato innanzitutto per Giorgia Meloni, che si è sempre vantata in questi anni di avere iniziato a fare politica per uno spirito legalitario dopo le barbare uccisioni dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si trova ora su posizioni barricadiere nei confronti dei magistrati e persino degli avvocati, come Li Gotti, che hanno difeso i pentiti, voluti proprio da Giovanni Falcone, che hanno dato un grande contributo nella lotta alla mafia. E peccato ancora per Giorgia Meloni che, per una volta, aveva iniziato la settimana con una bella dichiarazione per la ricorrenza del Giorno della Memoria, nella quale riconosceva le responsabilità e la complicità del fascismo nello sterminio nazista degli ebrei, e l’ha finita dimostrando tutto il suo cinismo politico e la sua vera cifra, di un abile leader politico al quale manca assolutamente il senso dello Stato.
Una mancanza di senso dello Stato confermata anche dalla polemica meschina ed irresponsabile innescata per la mancata concessione dei voli di Stato al Procuratore Capo di Roma nei suoi spostamenti (voli che, sia detto per inciso, sono certo Silvio Berlusconi e Gianni Letta avrebbero senza dubbio, e opportunamente, concesso). Peccato pure per la maggioranza, per i presunti moderati, a partire da Forza Italia, che hanno perso l’ennesima occasione per distinguersi da Giorgia Meloni e che, per difenderla, assecondando paragoni assurdi, hanno finito anche per offendere la memoria di Silvio Berlusconi. Le dichiarazioni peggiori sono venute, come sempre, proprio da Antonio Tajani, coordinatore forzista e ministro degli Esteri, che ha prima delegittimato la Corte penale internazionale (istituita proprio a Roma) e poi ha parlato di un atto di ripicca della magistratura per il disegno di legge sulla separazione delle carriere (ma che c’azzecca?).
Peccato, infine e soprattutto, per la politica e per il Parlamento italiano, che si sono visti negare la possibilità di discutere nella sede propria (il Parlamento, appunto) di un caso inequivocabilmente ancora da chiarire come quello del rilascio di Almasri. A conferma che anche l’opposizione deve essere fatta in Parlamento e non nelle aule giudiziarie, con gli esposti in Procura.
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