Il ministro Paolo Zangrillo: «Askatasuna va chiuso subito, Lo Russo pensi alle periferie»

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di
Gabriele Guccione

Il ministro, ospite del Corriere Torino, annuncia un evento sull’automotive: «Ad aprile gli stati generali dell’Auto»

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«Il sindaco Stefano Lo Russo dovrebbe avere come priorità le periferie della città, non il recupero di Askatasuna». Non le manda certo a dire, Paolo Zangrillo, 63 anni, senatore, ministro per la Pubblica amministrazione, coordinatore di Forza Italia in Piemonte. Ospite della redazione del Corriere Torino, l’esponente del governo Meloni si dice «sbalordito» del progetto di legalizzazione del centro sociale messo in piedi dalla giunta torinese di centrosinistra.

Ministro, perché Askatasuna la preoccupa così tanto?
«Io condivido parola per parola le riflessioni della procuratrice generale Lucia Musti, che in modo molto lucido ha invitato a non sottovalutare gli atti di violenza che da mesi ormai accompagnano le manifestazioni di piazza».




















































Il progetto di recupero dell’immobile di corso Regina Margherita non nasce forse con l’intento di restituire alla legalità un luogo della città lasciato a se stesso da trent’anni?
«La storia degli ultimi anni ci conferma che attorno ad Askatasuna esiste un coerente contesto di violenza che ha portato il Piemonte a essere un punto di riferimento per l’antagonismo nel nostro Paese: quello non è un centro culturale».

Andrebbe sgomberato?
«Di fronte alla reiterazione della violenza occorre avere il coraggio di alzare le mani e prendere atto che c’è un problema e va superato subito».

Lo Russo ha più volte ricordato che non spetta a lui ordinare lo sgombero, anzi ha detto che se la polizia e l’autorità giudiziaria intendono procedere «non devono chiedermi il permesso, possono farlo quando vogliono». Perché il governo, di cui lei fa parte, non ordina lo sgombero?
«Il primo cittadino non ha il potere di sgomberare, è vero. Ma se Lo Russo si muove nella direzione di un dialogo con quella realtà, diventa difficile per le istituzioni non fare i conti con la sua posizione».

Oltre sei mesi fa iniziava il secondo mandato in Regione del governatore Alberto Cirio. Quale è il suo giudizio sulla giunta regionale?
«Bisogna essere onesti, è ancora presto per esprimersi. Con questa vittoria il presidente Cirio si è assunto la responsabilità, insieme a tutti noi, di dimostrare che la fiducia che i cittadini piemontesi ci hanno ribadito è ben riposta. Non avremo alibi nel giustificare eventuali fallimenti, è una responsabilità importante e Alberto ne è consapevole».

Alla luce della situazione della sanità piemontese, alle prese con le liste di attesa, i conti che non tornano, gli ospedali che cadono a pezzi, non le sembra di eccedere con la generosità nel suo giudizio?
«Non sono generoso, io ho assoluta consapevolezza della necessità di intervenire in modo forte e determinato su alcuni problemi. Non ci nascondiamo di fronte alla difficoltà: davanti a noi abbiamo quattro anni e mezzo e il tempo per poter dimostrare di sapere rispondere agli impegni presi. Cirio dedica una parte significativa del suo tempo proprio alla sanità, sia per risolvere il problema delle liste di attesa sia per mettere ordine alle strutture. Non sono temi che si risolvono con la bacchetta magica, ci vogliono tempo e risorse, e occorre fare i conti con gli equilibri di bilancio».

È vero, come vocifera qualcuno, che Cirio potrebbe lasciare prima del tempo la Regione per un incarico a Roma, magari candidandosi alle Politiche nel 2027?
«Questo andrebbe chiesto a lui, ma non penso».

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Uno dei grandi problemi della sanità è quello della mancanza di personale. Lei, da ministro della Pubblica amministrazione, ha in mano la contrattazione dei dipendenti pubblici: state pensando a qualche misura contro la fuga di medici e infermieri dal sistema sanitario pubblico?
«Noi lavoriamo per cercare di garantire a chi opera nella sanità un posto di lavoro che sia considerato adeguato. Dieci giorni fa siamo arrivati vicini alla firma del rinnovo del contratto degli infermieri. Riconoscevamo loro un aumento del 6,8% e una indennità mensile di 520 euro lordi per chi lavora nei pronto soccorso. Cgil e Uil hanno rifiutato di firmare. C’è una parte di sindacato che fa politica anziché gli interessi dei lavoratori».

Il Piemonte fa i conti non solo con i problemi della sanità, ma anche con la crisi dell’industria dell’auto. Da ex manager Fiat, lei pensa che il piano presentato da Stellantis sia «soddisfacente», come ha detto la presidente Meloni?
«Finalmente, dopo una fase di frizioni, si è avviato con l’azienda un dialogo costruttivo. Il governo ha interesse a favorire questo dialogo. E Stellantis ha manifestato una disponibilità autentica a riavviare le interlocuzioni, tant’è che John Elkann verrà a riferire in Parlamento».

Le questioni aperte sull’impegno del gruppo negli stabilimenti italiani, a cominciare da Mirafiori, restano molte, però.
«A inizio aprile Forza Italia organizzerà proprio a Torino un evento per discutere del futuro dell’industria dell’auto. È nostra intenzione raccogliere un parterre il più ampio e internazionale possibile».

Archiviati gli anni dell’amministrazione 5 Stelle, secondo lei Cirio e Lo Russo stanno ripristinando il «Sistema Torino»?
«Non mi trattengo dal criticare Lo Russo quando assume posizioni inaccettabili come quella su Askatasuna. Ma riconosco che in questi anni si è instaurato un dialogo tra Comune e Regione che fa molto bene al Piemonte. Ragionare su un Sistema Torino capace di superare i conflitti è positivo. Soltanto se si è capaci di fare squadra si portano a casa i risultati».

Si avvicinano le elezioni comunali a Torino, nel 2026: il centrodestra sarà in grado di schierare una candidatura competitiva?
«Torino per il centrodestra è sempre stata una città difficile, non lo nego. Ma io penso che oggi ci siano le condizioni — visto il traino nazionale e regionale — per giocare una partita il cui risultato non sia già scontato all’inizio della campagna elettorale».

A chi spetterà indicare il nome del candidato? A Fratelli d’Italia?
«Il nome verrà fuori da una analisi e da una riflessione attenta con l’obiettivo di proporre una candidatura non in base all’appartenenza partitica, ma alla competenza e alla solidità».

Un anno e mezzo fa moriva Berlusconi e Forza Italia è ancora viva. Un ricordo personale?
«Quando mi propose di lasciare il mio lavoro di manager per entrare in politica, io ero refrattario. Gli dissi: “Io non so fare politica, non l’ho mai fatta”. E lui mi rispose: “Ti accorgerai presto che c’è poco da imparare dai politici”. Anche se poi anche lui ha imparato ad apprezzare la politica vera».

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1 febbraio 2025 ( modifica il 1 febbraio 2025 | 07:12)

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