Chissà , forse davvero il mondo era davvero più colorato, nella musica, quando le volute di erba Jane avvolgevano le ebbrezze conclamate della Summer of Love californiana, e la tavolozza dei Beatles, dei Kinks e di tanti altri aveva fatto schizzare via il color fumo di Londra, che preferiva essere Swingin’ piuttosto che bigia. Chissà . Forse è solo nostalgia canaglia, e di nostalgie non bisognerebbe vivere né tanto meno sopravvivere, ma il sospetto resta forte, se metti sul piatto o nel lettore un disco di Donovan o dei Mamas & Papas. O, e qui arriviamo al cuore della questione, di Margo Guryan. Eroina e poetessa delle tavolozze più accese applicate alla musica, anche suo malgrado. Perché certe figure sono destinate a diventare leggenda, anche se rivendicano normalità … Tant’è che lei rifiutò a oltranza di finire prigioniera del meccanismo stritolatore disco/concerto/altro disco, e così via.
DIRAMAZIONI
Margo Guryan costruì, forse senza neppure rendersi conto della portata di quanto stava facendo, mano a mano che accumulava canzoni, un capolavoro colorato che a tutt’oggi è oggetto di periodica riscoperta: Take a Picture. In primis per Sunday Morning, il singolo che venne ricantato da legioni di interpreti (da non confondere col brano omonimo dei Velvet Underground). Per validi motivi la riscoperta, non certo solo perché è bello e comodo campionare spezzoni di qualcuno che ha fatto qualcosa di significativo, e poi lanciare lenza e amo verso l’ignaro ascoltatore che sta al gioco. La storia di oggi ci racconta che, cinquantasei anni dopo la timida ma perentoria apparizione nei negozi di dischi di Take a Picture, è da poco uscita la fresca, rugiadosa raccolta Like Someone I Know. A Celebration of Margo Guryan, con parte dei proventi devoluti a favore di servizi di salute riproduttiva accessibili. La pubblica Sub Pop, etichetta specializzata nel variopinto ed affollato reame dell’indie rock nelle più svariate diramazioni, ma con un occhio di riguardo qui a quegli interpreti (e soprattutto a quelle interpreti) che mezzo secolo dopo si sono ritrovati e ritrovate a calzare come un guanto le medesime atmosfere di Margo. Dunque un «sunshine pop» increspato di brezze sostanziose di folk, psichedelia e jazz, sognante e corposo al medesimo tempo, e, soprattutto, proposto da voci che abbiano in comune con Margo Guryan una caratteristica di fondo: il modo di cantare «breathy», come dicono gli anglosassoni, quel porgere le parole gentilmente come se uscissero da un sospiro accennato. Il disco ripercorre dalla prima canzone all’ultima l’intero Take a Picture, con Tops, Rahili, Clairo, June McDoom, Munya e Kalnau, Frankie Cosmos e Good Morning, Katie Bollinger, Pearl & The Oyster, Bedouine e Sylvie, Empress Of, Barrie, Margo Price. L’originale è l’originale e non si discute, ma questa nutrita pattuglia di indie folk rocker statunitensi e canadesi non sbaglia un colpo, e il disco può essere un ottimo viatico per andare alla scoperta della magnifica Margo per chi non la conosca.
Un’occhiata alla bio della signora Guryan, nata nel 1937 a New York, evidenti origini armene, aiuta a capire la storia. Lei al sunshine pop ci arrivò tardi, per folgorazione da parte di una canzone dei Beach Boys. In realtà arrivava da tutt’altri mondi, era una pianista dall’età di sei anni, stimolata dal fatto di avere due musicisti dilettanti in casa come i genitori, ambedue pianisti. Fu poi una studentessa di musica classica, insegnante Margaret Chaloff, madre del grande baritonista jazz, Serge. Infine era diventata una specialista di jazz, innamorata del suono di Bill Evans, di Ahmad Jamal, di Monk. Nei suoi corsi di studi s’era trovata accanto a Ornette Coleman e Don Cherry, aveva avuto come insegnanti Bill Evans, Gunther Schuller, Max Roach, John Lewis. Scopre ben presto che, più che suonare (ed esibirsi: odia essere su un palco), a lei piace comporre per gli altri. E che aggiungere parole e versi alle musiche le viene facile come bere un bicchiere d’acqua. Un suo brano, nel 1962, I’m on My Way for Saturday finisce in un disco importante di Harry Belafonte, lei a venticinque anni si trova tra le mani un bell’assegnone da 1500 dollari. Una sera, al leggendario Storyville, riesce a entrare di soppiatto per ascoltare il Miles Davis Quintet.
Nell’intervallo il pianista che doveva riempire il vuoto tra i due set è irrintracciabile. Margo si ritrova volente o nolente al piano, e non sapendo improvvisare sciorina una dopo l’altra le sue musiche di composizione senza mai alzare gli occhi dalla tastiera e presentare i brani. A un certo punto arriva il tocco sulla spalla, e la mitica voce cavernosa di Miles, rientrato in sala per il secondo set: «Yeah, baby», le dice.
Poi succede che un amico, il pianista jazz e autore di canzoni David Fishberg le faccia ascoltare God Only Knows dei Beach Boys: folgorazione immediata. Musica leggera, ariosa, e in realtà sottilmente complessa. Compra il disco, lo ascolta mille volte, poi si mette al piano ed esce fuori Think of Rain, primo brano del futuro Take a Picture. Margo Guryan ha capito: nella musica popular sta succedendo qualcosa di importante, paragonabile a quanto avviene nel jazz con Davis e Coleman. Si mette ad ascoltare Mamas & Papas, Simon & Garfunkel, Harry Nilsson (per il quale in futuro scriverà ). L’intuizione è quella giusta, anche su melodie semplici si può intessere grande musica. E lei, arrangiatrice di se stessa da sempre, sa cosa può cavare fuori da un arrangiamento, o come rapportarsi con un arrangiatore vero.
«UN DIVERTIMENTO»
Le session di registrazione per Take a Picture, parole sue, diventano «un divertimento», il contrario secco delle sfinenti liti da studio che macerano la creatività di tante celebrate rockstar: in studio ha accanto John Hill, musicista vero e arrangiatore sopraffino. Nasce il capolavoro sunshine pop, con tanti segreti dentro e tessiture strumentali sopraffine: Thoughts, tutta costruita su frasi da due parole, Someone I Know, imbastita sulla linea melodica di Jesus Joy of Man’s Desiring di Johann Sebastian Bach, ma come un contrappunto nota per nota e con un testo adagiato comodamente sullo stesso contrappunto. Sunday Morning fa il botto, innumerevoli le versioni riprese che tentano di replicarne il fascino, e anche un brano come Think of Rain si impone: lo incide perfino Astrud Gilberto. Le canzoni di Guryan finiscono anche nel repertorio di Carmen McRae, splendida voce puramente jazz. A quel punto, con un disco così solare e potente, immediatamente comunicativo e facile da ascoltare ma tutt’altro che banale, e con una vocina che innamora al primo ascolto, logica di mercato vorrebbe che Margo Guryan battesse il ferro pop finché caldo. Ma lei odia il palcoscenico, la promozione di se stessa e la logica da concerto, non si sente un entertainer, e non lo è. Vuole avere a che fare con la matita e i pentagrammi, scrivere musica e produrre quella degli altri, e così sarà .
Si trasferisce a Los Angeles, riprende a studiare seriamente musica classica con Howard Richman, diventa a propria volta insegnante. Nel 2001, per la gioia di chi ha memoria delle avventure colorate intessute di sitar, tromboni, pianoforti di Take A Picture esce 25 Demos, prove di canzoni sconosciute e mai uscite, una versione rafforzata esce come Thoughts sul mercato inglese. Già nei Novanta il nome della compositrice con la voce come un sussurro per vie misteriose era diventata nuovo oggetto di culto, con il rinforzo di una straordinaria avventura: scrive, esegue e incide Le Chopsticks Variations, quattordici variazioni per pianoforte, anche in ragtime e boogie woogie, sul celebre valzer scritto nel 1877 dalla compositrice Euphemia Allen con lo pseudonimo Arthur De Lulli. Il vecchio amico ed ex insegnante Gunter Schuller grida al miracolo: «Un piccolo Mikrokosmos alla Bartók americano, ma molto più divertente». Margo muore nel 2021 a ottantaquattro anni nella sua casa di Los Angeles: una signora tranquilla, saggia e stimata che passa il suo tempo informandosi, leggendo e facendo giardinaggio.
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