Quello che succede a Roccaraso non è una novità, né un’emergenza: è il sintomo di una trasformazione della domanda turistica, in corso da tempo

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C’è un paese abruzzese di 1.400 abitanti che negli ultimi giorni ha fatto il giro delle maggiori testate giornalistiche, locali e nazionali. La storia che Ansa, Messaggero, Il Tempo, La Repubblica e altri raccontano è quella dell’assalto di Roccaraso (ne abbiamo parlato QUI) che, nel fine settimana del 26 gennaio, è stato invaso da migliaia di turisti. Le testate riportano che 220, 260 o forse più pullman provenienti dalla Campania hanno scaricato circa 10.000 turisti nel comune montano, creando una situazione caotica e surreale. Un “boom di turisti”, “migliaia di aspiranti sciatori” hanno trasformato la località montana “in un luogo infernale” creando code e traffico intenso lungo la strada statale 17 e “un rientro in città da incubo”.

 

Di fronte a questa situazione grave, il Sindaco di Roccaraso Francesco Di Donato ha dichiarato l’urgenza di “un importante intervento da parte delle autorità preposte, un massiccio spiegamento di forze dell’ordine”. Insieme a lui, altre voci istituzionali hanno convenuto sulla “necessità di uomini e mezzi” e nella scorsa settimana a L’Aquila è stato convocato più volte il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza per fronteggiare la situazione. Si sono incontrati alcuni Sindaci del territorio – tra cui, il presidente della Provincia e Sindaco di Castel di Sangro, Angelo Caruso, il Sindaco di Roccaraso, Francesco Di Donato e il Sindaco di Pescocostanzo, Roberto Sciullo – con il questore de L’Aquila, i comandanti provinciali dei Carabinieri e della Guardia di finanza, rappresentanti della Polizia stradale e di Anas.

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Nel corso delle riunioni sono state prese alcune decisioni per contenere il numero di visitatori nei fine settimana della stagione invernale. È stato deciso di potenziare i controlli sulla circolazione stradale e di inasprire le multe per l’abbandono dei rifiuti. Inoltre, ogni Comune si è impegnato ad adottare ordinanze per regolamentare l’afflusso di pullman. Vediamo due esempi.

 

Nel centro urbano di Roccaraso non potranno accedere i pullman turistici, ma sarà consentito il transito di massimo 100 pullman – questo fine settimana a targhe pari – pre-autorizzati tramite una piattaforma gestita dalla Questura. Una volta scaricati i turisti in un piazzale all’ingresso del centro urbano, i pullman defluiranno verso la vicina Castel di Sangro, dove si parcheggeranno in attesa di andare a recuperare i turisti a fine giornata. Pescocostanzo, invece, farà entrare nel centro urbano solo pullman autorizzati: cinque in tutto, un numero che il Sindaco ha stabilito in relazione alla capacità logistica e di carico del territorio comunale.

 

Mentre quindi la zona si prepara ai prossimi fine settimana di fuoco con regolamentazioni più o meno contenitive e il consistente dispiegamento di “uomini e mezzi”, sembra utile fare una riflessione più generale.

 

Quello che succede a Roccaraso e nel comprensorio sciistico dell’Alto Sangro non è né una novità, né tanto meno un’emergenza. Se è sicuramente vero che, negli ultimi tempi, l’escursionismo mordi e fuggi ha preso nuove dimensioni, in zona il turismo ha origini antiche e nasce prevalentemente intorno all’industria sciistica. Dietro alle immagini dei fiumi umani nel corso di Roccaraso, code chilometriche sulla SS17 e rifiuti abbandonati a fondo pista, c’è una situazione complessa che non si risolve con l’intervento di “uomini e mezzi”, ma interrogando il modello turistico che gli attori locali e sovra-locali stanno costruendo, da decenni. Cosa c’è oltre le retoriche emergenziali e le soluzioni muscolari che, in questo come in simili casi, popolano il dibattito? Quali questioni si pongono nel caso di “Roccaraso presa d’assalto”?

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La regione degli Altopiani maggiori d’Abruzzo – in cui ricadono Roccaraso, Pescocostanzo, Rivisondoli e gli altri paesi “presi d’assalto” – è un’area montana lambita dal Parco della Maiella a est e dal Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise a sud-ovest, attraversata dal fiume Sangro e dalla Strada Statale 17. Un’area segnata dall’emigrazione e dalla ricostruzione post-bellica che, a partire dagli anni Cinquanta, ha iniziato a diventare una destinazione turistica. In quegli anni, a Roccaraso inizia a svilupparsi il cuore del comprensorio sciistico dell’Alto Sangro per la borghesia napoletana e romana. Gruppi immobiliari e imprenditori investono: compaiono seconde case, hotel, ristoranti e mitologiche feste nelle discoteche dei residence, in cui i paesani si intrufolano dalle finestre. Questa prima forma di turismo lascia segni evidenti nel paesaggio: alberghi multipiano, villette a schiera, cartelli per bonifiche da eternit e impianti sciistici.

 

Attualmente, il comprensorio dell’Alto Sangro conta 140 chilometri di piste e 32 impianti, rappresentando la più grande realtà sciistica del centro-sud Italia, al livello di diverse stazioni alpine: una vera e propria “Cortina d’Ampezzo del Sud” che si distingue per essere popolare e conveniente. Lo studio della piattaforma Preply – che ha analizzato le località sciistiche più cercate su Google e il costo degli skipass giornalieri – fa emergere che “Roccaraso, con 5600 ricerche, rappresenta il fiore all’occhiello del centro-sud Italia (…), perfetta per chi desidera godersi la neve senza allontanarsi troppo dal centro Italia”. In altri termini, il comprensorio offre un buon rapporto qualità-prezzo: con 52 euro al giorno, “offre un’atmosfera familiare e piste per tutti i gusti”. 

 

Quello che rende popolare Roccaraso sono anche i servizi di intrattenimento che, negli anni, l’hanno resa sempre di più meta di visite giornaliere slegate dalla pratica sportiva e medio-basso spendente. Questa forma di escursionismo cerca dj-set e apertivi a bordo pista, giochi sulla neve con bob, slittini, palette e motoslitte, come quelle di Rita De Crescenzo.

 

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L’influencer napoletana – 1,7 milioni di follower su TikTok, 400mila su Instagram, business woman e cantante ai matrimoni – in alcuni recenti video ha mostrato la Roccaraso low cost: dall’affitto delle motoslitte, al primo approccio alla neve del figlio. Rita De Crescenzo ha incoraggiato i follower a passare il weekend a Roccaraso e, pochi giorni dopo, migliaia di escursionisti hanno raggiunto la località. La pubblicità – diretta o indiretta – dell’influencer napoletana si salda all’offerta di decine di agenzie che, da tempo, offrono gite domenicali a Roccaraso, in cui la neve fa da sfondo: “Bus da Napoli-Secondigliano, andata e ritorno euro 30 con colazione”.

 

In altri termini, quello che si sta verificando negli ultimi fine settimana a Roccaraso e nei paesi limitrofi è il sintomo di una trasformazione della domanda turistica, in corso da tempo: da un turismo di seconde case medio-alto spendente, a un turismo di massa medio-basso spendente. Non si tratta, come alcuni sostengono, del passaggio da una forma di turismo “migliore” o “più sostenibile” a una “peggiore” o “meno sostenibile”, ma di una trasformazione che giustappone diverse domande e offerte, pratiche e immaginari, che presentano diverse opportunità e esternalità, limiti e contraddizioni.

 

Proviamo a indicare brevemente alcuni di questi aspetti – consapevoli che si tratta di un ragionamento complesso che merita ricerche e approfondimenti – per andare un po’ oltre la narrazione mainstream dell’assalto a Roccaraso. È importante cioè comprendere che questa industria turistica si inscrive, da decenni, in una media montagna caratterizzata da spopolamento, popolazione anziana, scarsi servizi e un mercato del lavoro schiacciato sul settore terziario, generando questioni complesse.

 

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Da una parte, è giusto che il turismo montano sia sostenibile dal punto di vista economico, accessibile a visitatori medio-basso spendenti esclusi dai 52 euro di ski-pass giornaliero. Dall’altra, la fruizione di massa è insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Quale tipo di accesso alla montagna è offerto da questi pacchetti, quale idea di montagna è implicata in questi approcci alla neve?

 

Questi flussi dai caratteri distopici sostengono un’idea di montagna come “playground per i fruitori urbani” – come scrive Mauro Varotto – e creano problemi concreti alla circolazione locale per chi quotidianamente percorre la SS17 che, oltre alle piste, collega la zona dell’Alto Sangro ai principali centri urbani, snodi e servizi.

 

Ancora, il turismo d’élite porta guadagni ad albergatori, agenzie immobiliari, ristoratori e commercianti, e il turismo di massa li porta alle agenzie di viaggi e agli esercizi commerciali che riescono a rispondere alla domanda, senza soccombere al caos. Tuttavia, i profitti e – in prospettiva, gli investimenti – generati da entrambe le forme di turismo quanto beneficiano gli attori locali e quanto reti di imprenditori con interessi esogeni? Qual è la qualità del lavoro generato dall’una e l’altra forma di turismo? Un paese può reggere i suoi esercizi commerciali con flussi intermittenti, legati ai meccanismi promozionali più o meno imprevedibili delle agenzie turistiche e delle Rita De Crescenzo sui social?

 

Le questioni che emergono sono tante, più di queste, e scavano nelle contraddizioni delle economie turistiche in montagna, legandosi a doppio filo alla crisi climatica. Negli ultimi anni, nel comprensorio dell’Alto Sangro sono state promosse iniziative per la destagionalizzazione del turismo e la costruzione di offerte alternative agli sport invernali che tuttavia continuano a essere centrali. Infatti, sono stati realizzati nuovi impianti da sci e cabinovie, sono state allargate le piste e si è investito su miglioramenti tecnologici per l’innevamento artificiale. Se lo sci non è l’unica attrattiva su cui si punta, l’economia del territorio è fortemente legata alla neve, mentre ogni estate si superano i livelli di siccità di quella precedente. Come dice il Sindaco Di Francesco, “al sistema neve continuiamo a credere, è trainante. Viviamo di questo”.

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Difronte alla “presa di Roccaraso”, più che le chiamate di uomini e mezzi, serve ragionare in modo approfondito sul modello turistico che è stato costruito, sui problemi di natura ambientale e sociale che pone e su quali siano gli obiettivi degli attori locali rispetto a questi scenari.

 

Più in generale, quello che sta accadendo nell’Alto Sangro permette di comprendere le diverse forme di turismo che insistono sulla media montagna appenninica: le potenzialità e i limiti, i conflitti e le contraddizioni dei processi territoriali che queste forme di turismo innescano, in modi diversi a seconda dei flussi che intercettano. Processi territoriali complessi che lasciano segni tangibili sul territorio e su chi ci vive, che non dovrebbero dipendere da quanta neve fa o dalle vacanze di Rita De Crescenzo.





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