Pare un bollettino di guerra – a rischio di sconfitta – il rapporto dell’Associazione Italiana Editori sul mercato del libro nel 2024, presentato ieri a Venezia a chiusura del seminario della Scuola Librai della Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri. Dopo anni di comunicati ispirati, anche in fasi dure come la pandemia, a un solido ottimismo di bandiera, colpisce leggere i titoli dei vari capitoli del rapporto, a cominciare dai primi due, Il mercato italiano è quello che in Europa nel 2024 ha avuto risultati meno positivi e Nel 2024 sono state comprate 2,5 milioni di copie in meno rispetto al 2023. In effetti, i grafici restituiscono un quadro sconfortante, anche se, visti da vicino, i dati riservano alcune sorprese: certo, il calo delle vendite di libri registrato in Italia (-1,5% rispetto al 2023) rispecchia una situazione di crisi, soprattutto se accostato agli eccellenti risultati della penisola iberica (+9,8% in Spagna e +8,8% in Portogallo). Ma non si può dire che altrove il mercato sia fiorente, dalla Francia (-0,3%) al Regno Unito (-0,6%) e pure alla Germania, dove le vendite crescono di uno sparuto 0,9%. Per non parlare dell’Irlanda: qui il calo è stato del 5%, ben maggiore di quello italiano, a smentita dell’affermazione contenuta nel titolo.
CERTO, IL MERCATO IRLANDESE è più piccolo del nostro, ma è difficile non chiedersi perché il rapporto Aie, di solito improntato a un generale – e talora eccessivo – autocompiacimento, scelga adesso di mettere in evidenza soprattutto i risultati negativi. Scrivere che «nel 2024 sono state comprate 2,5 milioni di copie in meno rispetto al 2023» ha un impatto più forte in confronto al dato percentuale, un -2,5%, indubbiamente preoccupante, ma meno «evocativo». Così come «la minor spesa dei lettori di oltre 23 milioni di euro» si traduce in un calo dell’1,5%, non imprevedibile, considerando le difficoltà che le famiglie italiane affrontano ogni giorno, a dispetto dei proclami della presidente del consiglio.
E proprio a Giorgia Meloni, o meglio al ministro della cultura Alessandro Giuli, più sensibile del suo predecessore alle angustie dell’editoria italiana, pare rivolgersi il rapporto. Nell’analisi dell’Aie, infatti, le flessioni del mercato vengono ricondotte a due misure della gestione Sangiuliano: la sostituzione della 18app (i 500 euro dati ai neodiciottenni per acquisti culturali, una bella invenzione del governo Renzi, poi imitata in molti paesi europei) con le più restrittive carte Cultura e Merito, e l’assenza nel 2024 dei fondi per le biblioteche. Qui Giuli si è già mosso, ripristinando il finanziamento, ma è probabile che i toni cupi dell’Aie abbiano come principale obiettivo il ritorno anche della 18app in tutto il suo fulgore.
Detto questo, il settore dell’editoria è in chiara difficoltà, soprattutto per i marchi più piccoli. Se infatti per i grandi gruppi il fatturato è stabile (-0,1%), per le case editrici che hanno un venduto tra uno e cinque milioni di euro, il colpo è pesante: -9,5% (o -13,2% in termini di copie).
QUANTO ALLE LIBRERIE (indipendenti e soprattutto di catena), vanno meglio, con un aumento complessivo di 8,8 milioni di euro, che non compensa però il calo di 26,3 milioni delle vendite online. Già, perché un altro movimento – forse il più importante – di cui tenere conto per capire cosa succede nel mondo del libro, è il progressivo disinteresse su questo versante di Amazon, ovvero «il maggior player mondiale dell’e-commerce», secondo la secca definizione del rapporto Aie. A questo disinvestimento sono in larga parte dovute le fatiche dei piccoli editori e la flessione nelle vendite del catalogo (cioè, non delle novità), né c’è da sperare che la tendenza si inverta. Il libro, così facile da impacchettare, è stato una buona testa di ponte per l’e-commerce, ma oggi si può tranquillamente accantonare, visto che – eccezione iberica a parte – il tasso di lettura cala quasi ovunque, in particolare per la letteratura più «letteraria», come ha notato ieri Felicitas von Lovenberg di Piper Verlag in un incontro su Costanti e variabili del mestiere di editore.
A resistere, per ora, è solo la narrativa (+3,2% quella italiana, +0,9% quella straniera), ma cala tutto il resto, dai fumetti (-5,5%, effetto sicuro dell’abolizione della 18app) alla manualistica (-4,1%), alla saggistica specialistica (-5,1%) e a quella generale (-2,0%). In aiuto di questo segmento arriva però adesso il Premio Strega che, dopo il varo della sezione dedicata alla poesia, annuncia la nascita di un riconoscimento ai testi non narrativi.
Sapremo presto (la presentazione si terrà l’11 febbraio) i dettagli del nuovo premio, ma per capire se il potere salvifico del marchio Strega contrasterà le avversità del settore, dovremo aspettare di più.
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