«Solo l’unità nazionale ci darà la libertà e l’indipendenza»

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È andato avanti per non più di un’ora il saluto pubblico di Zakariya Zubeidi, e del suo compagno di detenzione Ammar Mardi, ieri al Centro degli Espatriati di Al Bireh (Ramallah). Mentre ancora decine di persone affluivano verso il tendone con i due prigionieri palestinesi liberati giovedì in cambio di tre ostaggi israeliani, si è sparsa la voce dell’arrivo imminente di camionette israeliane. In cinque minuti sono andati tutti via. Zubeidi è salito su un’auto che in pochi attimi è sparita verso il centro di Ramallah. Certo aveva voglia di parlare più a lungo l’ex prigioniero palestinese, il più noto assieme alla parlamentare Khalida Jarrar fra i 400 detenuti scarcerati finora da Israele in cambio di 10 ostaggi a Gaza.

COMUNQUE, tra un abbraccio ad amici e sostenitori e foto con bambini che gli hanno portato mazzi di fiori, Zubeidi qualcosa è riuscito a dichiarare ai giornalisti locali e internazionali. «La libertà per il popolo palestinese è strettamente collegata alla sua indipendenza, alla realizzazione del loro Stato indipendente», ha detto davanti a telecamere e microfoni. Intorno tante persone comuni e militanti della base del partito Fatah – che nelle settimane passate hanno contestato «l’operazione di sicurezza» (15 morti) compiuta dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen a Jenin, poi teatro di una invasione (18 morti), ancora in corso, dell’esercito israeliano – premevano per riprendere il rito dei saluti e degli abbracci al celebre prigioniero tornato libero.

«Israele attacca i palestinesi ovunque, a Gaza come in Cisgiordania, è una aggressione senza sosta al nostro popolo che va avanti da decenni», ha aggiunto. Quindi ha lanciato un appello all’unità nazionale palestinese: «Se non saremo uniti, non riusciremo a realizzare i nostri diritti e il nostro Stato, dobbiamo lottare insieme», ha affermato in evidente riferimento alla frattura, mai ricucita in 18 anni, tra Fatah e il movimento islamico Hamas. Su questo punto abbiamo rivolto una domanda all’ex ministra della salute ed ex ambasciatrice palestinese a Roma, Mai Keile, in piedi accanto a Zubeidi: «La nostra ambizione come palestinesi è raggiungere l’unità nazionale – ci dice – sono in corso negoziati in Egitto (tra Fatah e Hamas). Dopo questa guerra e la distruzione di Gaza da parte di Israele la riconciliazione deve essere raggiunta, non ci sono alternative».

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ZAKARIYA ZUBEIDI ieri appariva molto provato. A Ramallah sono andati avanti fino a notte i festeggiamenti in strada in suo onore e degli altri detenuti liberati da Israele. Zubeidi non ha parlato o, forse, semplicemente non ne ha avuto il tempo, delle condizioni in carcere peggiorate dopo la sua clamorosa evasione dalla prigione israeliana di massima sicurezza di Gilboa, assieme ad altri cinque palestinesi. «Scavò con un cucchiaio per mesi» ci ha ricordato un palestinese.

«Terrorista molto pericoloso» per Israele, che lo ha arrestato più volte e condannato a pene elevate – avrebbe organizzato sparatorie contro militari e civili israeliani, come quella a Beit Shean – Zubeidi, 49 anni, di Jenin, è una delle figure più emblematiche della generazione palestinese tra la prima e la seconda Intifada. Da bambino aveva fatto parte del Teatro di Arna Mer, la donna ebrea (sposata a un palestinese) che scelse di dedicare parte della sua vita ai piccoli del campo profughi di Jenin, distante pochi chilometri ed eppure così lontano dalla sua città Haifa. Appare anche nel film I bambini di Arna del regista Juliano Mer-Khamis, figlio di Arna, assassinato nel 2011.

Dopo la «passeggiata» di Ariel Sharon sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme che nel 2000 accese le polveri della seconda Intifada, Zubeidi entrò nelle Brigate dei Martiri di Al Aqsa di cui a Jenin diventerà il comandante. In quel periodo ebbe una relazione finita sui giornali israeliani con una pacifista ebrea, Tali Fahima. La frequentazione con uno dei capi della resistenza palestinese, costò a Fahima il carcere per «collaborazione con il nemico».

IL TEATRO SAREBBE rimasto sempre una passione per Zubeidi che dopo l’amnestia del 2007 – fu rimosso dalla lista dei ricercati di Israele – si dedicò alla «resistenza culturale» attraverso il Freedom Theatre nel campo profughi di Jenin. Ma le porte del carcere restarono sempre aperte per lui. Prima lo arrestò per sei mesi senza accuse l’Autorità nazionale palestinese. Poi, revocata nel 2011 l’amnistia, fu arrestato da Israele. Liberato nel 2018 fu di nuovo detenuto per due «attacchi armati» dissero i giudici.

Infine, nel 2021 la fuga da Gilboa lo fece diventare un mito per la sua gente. Ora di nuovo la libertà che, avrebbe detto a suoi amici, è convinto non durerà a lungo.



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