Con la sentenza 30803/2024 la Corte di Cassazione ha spiegato in che modo è possibile ottenere una pensione più alta eliminando dal computo i contributi degli anni più “sfavorevoli”.
I giudici confermano, è possibile ricalcolare la pensione escludendo periodi contributivi sfavorevoli: hanno accolto il ricorso di un cittadino, sancendo il diritto alla riliquidazione della pensione attraverso la “neutralizzazione” di anni contributivi meno favorevoli.
Scopriamo i dettagli della vicenda e le implicazioni sulla riliquidazione degli assegni pensionistici.
Il caso
La vicenda ha avuto inizio con la decisione del Tribunale di Lecce, che aveva respinto la richiesta di di ricalcolare la pensione di vecchiaia, a partire da febbraio 2010, escludendo i contributi versati negli anni 1997, 1998, 1999 e 2001, considerati economicamente penalizzanti. La Corte d’Appello di Lecce, nel febbraio 2022, ha confermato il rigetto, sostenendo che la riforma del d.lgs. n. 503/92 avesse eliminato la possibilità di neutralizzare tali periodi.
Secondo i giudici di secondo grado, la riforma aveva esteso il periodo di calcolo della retribuzione pensionabile a tutta la carriera lavorativa, attenuando l’impatto di anni con salari più bassi e impedendo, di fatto, l’esclusione di determinati periodi.
Il ricorso in Cassazione
Il ricorrente ha contestato questa interpretazione, sostenendo che la neutralizzazione fosse ancora applicabile, anche dopo la riforma del 1992. Il ricorso si fondava su due motivi:
- la violazione delle norme sul calcolo pensionistico
- e l’errata interpretazione sull’obbligo di includere periodi sfavorevoli ai fini del raggiungimento della pensione di anzianità.
L’Inps non ha presentato difese scritte, limitandosi al deposito di una procura.
Cassazione: si può ottenere una pensione più alta eliminando anni “sfavorevoli”
La Suprema Corte ha accolto il ricorso stabilendo un principio di grande rilevanza per il calcolo pensionistico. Secondo la Cassazione, la neutralizzazione dei periodi contributivi con retribuzioni ridotte è legittima nei casi in cui la pensione venga calcolata, anche solo parzialmente, con il sistema retributivo. Questo principio trova fondamento in precedenti giurisprudenziali, come le sentenze n. 11649/2018 e n. 29667/2022, che hanno chiarito come la neutralizzazione serva a evitare che anni di bassa retribuzione influenzino negativamente l’importo finale della pensione, soprattutto quando tali periodi non sono più necessari per soddisfare i requisiti contributivi minimi.
La Corte ha ribadito che il diritto alla neutralizzazione non viene meno a seguito delle riforme pensionistiche degli anni ’90. In particolare, ha sottolineato che la pensione di anzianità, una volta raggiunta l’età prevista per la pensione di vecchiaia, deve essere ricalcolata secondo le regole più favorevoli di quest’ultima. Questo significa che i lavoratori possono richiedere l’esclusione dei periodi lavorativi penalizzanti, a condizione che il ricalcolo non comprometta il raggiungimento dei requisiti contributivi.
La Cassazione ha evidenziato come la neutralizzazione risponda a un principio di equità e ragionevolezza, garantendo che il trattamento pensionistico rispecchi il reale valore della carriera lavorativa del beneficiario. L’obiettivo è evitare che brevi periodi di difficoltà economica o contrazioni salariali compromettano in modo sproporzionato l’importo della pensione.
Conseguenze della sentenza
La sentenza n. 30803 del 2024 rappresenta un’importante conferma del principio di neutralizzazione, riaffermando la sua validità anche dopo le riforme introdotte negli anni ’90. Questo verdetto può avere un impatto significativo su altri casi simili, fornendo un precedente giuridico solido per i lavoratori che ritengono di aver subito penalizzazioni ingiustificate a causa di contributi versati in periodi economicamente sfavorevoli.
Inoltre, la decisione potrebbe portare a un aumento delle richieste di ricalcolo delle pensioni presso l’Inps, con potenziali effetti sull’intero sistema previdenziale. I lavoratori che hanno avuto periodi di bassa retribuzione, ma che non sono più necessari ai fini del diritto alla pensione, potrebbero beneficiare di importi più elevati, contribuendo a una maggiore equità nel trattamento pensionistico.
Questa sentenza non solo rafforza il principio di giustizia nel calcolo delle pensioni, ma rappresenta anche un’importante guida interpretativa per futuri contenziosi in materia previdenziale.
Il testo della sentenza
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