In tema di viticoltura, una delle cose che spesso ti insegnano è che più foglie ha una pianta e più tenderà a soffrire in condizioni di caldo o siccità estremi. Vero, più la superficie foliare aumenta più una vite dovrà spendere energie per reagire, ora aumentando la traspirazione per rinfrescarsi, ora chiudendo gli stomi per trattenere le proprie riserve d’acqua.
E se questo stress potesse essere ridotto, insegnando alla pianta a utilizzare meglio gli strumenti che ha a disposizione nel terreno? È quanto evidenzia una ricerca condotta dall’Università di Padova in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e la University of California Davis e pubblicata sulla rivista scientifica Italus Hortus. Lo studio si è sviluppato nell’arco di due anni e ha coinvolto due vigneti di Chardonnay di due territori diversi del Veneto, a cui è stato somministrato, solo su parte della superficie, un preparato del brand Resonant – divisione dedicata al vino dell’azienda SOP-Save Our Planet – chiamato Resonant Fortify White. Non si tratta esattamente di un fertilizzante. È un prodotto che agisce sull’interazione tra la pianta e i microrganismi presenti del terreno, stimolandola e migliorando così il processo di collaborazione che avviene tra le radici e il microbiota (cos’è? Ecco un articolo per approfondire il tema).
Proprio questa interazione sembra essere la chiave che permette alla pianta di reagire in maniera più efficace agli stress, alterando quella massima che sembrava inalterabile e permettendo anche una migliore resa vitivinicola. E i risultati si riscontrano anche in termini di caratteristiche dei vini al consumo, a giudicare da una serie di campioni realizzati esternamente alla ricerca, da vigneti di diverse zone d’Italia.
Come si aiuta una pianta a dialogare
All’interno del terreno, così come al di sopra della sua superficie, le piante svolgono numerose attività necessarie alla loro sopravvivenza. Tra queste attività, un ruolo particolare è riservato proprio al rapporto che si sviluppa tra le radici e i microrganismi presenti nel terreno attorno ad esse. Rapporto che è oggetto di studio costante. «Ci sono più microrganismi in un grammo di suolo che persone sulla terra e si stima che ad oggi si conosca soltanto il dieci per cento di quei microrganismi. Percentuale di un totale che ad oggi resta sconosciuto», dice Marco Poggianella, fondatore e ricercatore di SOP e di Resonant, aziende produttrici di tecnologie avanzate per l’agricoltura e la zootecnia. «Le piante selezionano e allevano i microrganismi. E lo fanno attraverso una cosa strepitosa che sono gli essudati radicali» spiega Poggianella. Si tratta di una parte della linfa prodotta dalle piante che, anziché concentrarsi nei frutti o più in generale nelle zone superiori della pianta, viene rispedita nelle radici e impiegata secondo le necessità per attrarre batteri e altri microscopici esseri viventi. «Questi sono in grado di fornire tutta una serie di benefici in una specie di mercato in cui io ti do qualche cosa e tu in cambio mi dai qualcos’altro. Una volta si pensava che, dopo aver compiuto la fotosintesi, la pianta sprecasse fino al quaranta per cento della linfa prodotta scaricandola nel terreno, ma non si trattava di uno spreco». Oggi infatti si è in gradi di osservare come le piante impieghino questa parte delle loro risorse per comunicare con il microbiota del terreno e, attraverso di esso, anche con le piante circostanti. Traendo in cambio altre sostanze e informazioni che le sono utili per reagire a ciò che le avviene intorno. È proprio su questa interazione che i prodotti di Resonant vanno a influire, inviando uno stimolo a cui la pianta reagisce – “risuona” – migliorando e incrementando la sua comunicazione con il microbiota.
Cosa mostra la ricerca
All’interno di due diversi vigneti veneti, uno situato in Valpolicella e uno sui Colli Euganei, sono state individuate diverse parcelle e, tra il 2023 e il 2024, ad alcune è stato somministrato il Resonant Fortify White, mentre ad altre no. Forse per capire meglio di cosa si tratta, il paragone più semplice è con un integratore, solo che è molto più avanzato di un integratore e funziona in maniera particolarmente specifica. Questo è pensato per stimolare le capacità di interazione con il microbiota delle varietà di vite a bacca bianca.
Dal germogliamento fino a tutte le altre fasi di sviluppo delle piante, è stata raccolta un’enorme quantità di dati che, una volta elaborati, hanno mostrato una maggior crescita vegetativa, con uno sviluppo più completo e uniforme dei germogli e del fogliame.
Tuttavia, al contrario di quanto ci si possa aspettare, all’arrivo di ondate di calore e di siccità, la pianta ha saputo sfruttare meglio i propri strumenti di difesa, abbassando la temperatura delle proprie foglie. «Nelle parcelle trattate, alla termografia abbiamo rilevato foglie più scure e più fredde, perché più ricche di linfa e in grado di rinfrescarsi con più efficacia», ha detto il professor Franco Meggio dell’Università di Padova, tra i professionisti che hanno lavorato alla ricerca. «In termini di resa e qualità, abbiamo registrato un +16 per cento di produzione per vite in entrambi i siti, oltre a un’apa (l’azoto prontamente assimilabile, ndr) superiore del sessanta per cento rispetto alle zone non trattate», vale a dire una più efficiente capacità da parte della pianta di assorbire e assimilare ciò che ha a disposizione.
Modificare una regola
Lo studio, intitolato “Responses on vegetative growth, yield and quality with the application of Resonant® Fortify White fertilizer in Vitis vinifera L. cv. Chardonnay” è stato pubblicato sulla rivista scientifica Italus Hortus e in sostanza cambia una prospettiva. «Normalmente si tende a diminuire l’apparato foliare per ridurre il rapporto tra chioma e costi per la pianta – dice Meggio – Invece, in questo caso, nonostante la situazione di stress, la pianta sta meglio. Si tratta dello stravolgimento di un canone, il rapporto tra vigoria e capacità di resistenza agli stress può essere riscritto», afferma il professore. In sostanza, anziché vedere la pianta come un insieme di superfici, più o meno esposte al calore e più o meno da mantenere, questo studio contribuisce a mostrarla come un organismo che vive di un sistema di relazioni. Senza interlocutori, dialogo e scambi di sostanze utili, la pianta affronta in maniera peggiore le sfide a cui è sottoposta.
Ma cosa succede poi nel calice? Quando il nostro corpo è alle prese con temperature troppo alte o con la mancanza d’acqua, anche le nostre capacità peggiorano. Allo stesso modo, nel momento in cui una vite si trova in una condizione di stress, anche i grappoli ne risentono e i risultati si riflettono sul vino che ne viene prodotto. Per affiancare la ricerca, Resonant ha condotto, in collaborazione con l’istituto di San Michele all’Adige, alcune prove di vinificazione da vigneti di altre zone d’Italia (Alto Adige, Lago di Garda e Toscana), in cui si è lavorato come in quelli oggetto dello studio: alcune parcelle con stimolazione e altre senza. Le uve sono state vendemmiate lo stesso giorno per evitare differenze nello stato di maturazione. Mettendo a confronto i campioni di vino delle diverse parcelle, sia in termini di analisi di laboratorio che di assaggio, il risultato si sente eccome. Le piante a cui è stato somministrato il preparato portano nel calice vini dai profumi più netti, acidità più intense, alcol più bilanciato e, nel caso del sangiovese, tannini più levigati. Sostanze queste, che tendono ad essere prodotte in quantità maggiore proprio in condizioni di stress idrico e termico.
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