«Non fermeremo le nostre attività»

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da Gerusalemme 
Roberto Cetera 

Mercoledì scorso sono entrate in vigore le due nuove leggi approvate dalla Knesset che proibiscono all’Unrwa (l’agenzia delle Nazioni Unite che fin dal 1949 è incaricata di assistere i circa sei milioni di rifugiati palestinesi presenti in Palestina, in Libano, Siria e Giordania) di continuare la propria opera assistenziale nei territori occupati della Palestina (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est). Le ragioni sostenute da Israele riguardano tanto le avvenute infiltrazioni di Hamas tra i circa 30.000 impiegati dell’agenzia, quanto la stessa persistenza dello status di rifugiato che secondo Israele non dovrebbe trasmettersi di generazione in generazione. Di conseguenza la sede di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est è stata sgombrata, e il personale straniero con status diplomatico ha dovuto lasciare il paese alla volta di Amman, dove già si trovava il commissario generale, il diplomatico svizzero, Philippe Lazzarini, e dove ora si trova il portavoce, Jonathan Fowler.

Dottor Fowler, cosa accade ora all’Unrwa? L’operatività dell’agenzia è definitivamente interrotta in Palestina?

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Le nostre attività continuano in Cisgiordania. Abbiamo un mandato delle Nazioni Unite a cui non possiamo venir meno. Nella Cisgiordania c’è una popolazione di circa 900.000 rifugiati che risiedono in 19 campi. Curiamo 96 scuole con 46.000 studenti, e abbiamo 43 cliniche che provvedono all’assistenza sanitaria di circa 700.000 pazienti ogni anno. Queste sono già delle buone ragioni per rimanere dove siamo, ma anche se ovviamente nutriamo delle preoccupazioni circa le decisioni assunte dal governo israeliano, abbiamo un mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite da rispettare, ed è un mandato che va avanti da 75 anni.

Cosa vi preoccupa in particolare?

Per esempio ancora non sappiamo se ci sarà consentito di attraversare i checkpoint per rifornire di medicinali i nostri ospedali e cliniche. Ma non abbiamo alcuna intenzione di fermare la nostra attività. Sarebbe irresponsabile ed immorale lasciare tutta questa gente senza alcuna forma di assistenza.

Cosa succede adesso alle vostre sedi e al vostro staff locale?

Anche questo non è molto chiaro. Per effetto delle due leggi israeliane la nostra sede di Gerusalemme est è stata chiusa. Abbiamo provveduto a spostare insieme allo staff anche tutta la documentazione che ci è necessaria per continuare il nostro lavoro. Ma voglio precisare che al momento non c’è un ordine di evacuazione dall’edificio, o di sua confisca, perché è un edificio che gode dello status di immunità diplomatica che è proprio degli edifici occupati dalle Nazioni Unite. E lo stesso vale per la nostra clinica e le scuole di Gerusalemme. D’altronde non c’è alcuna ipotesi alternativa all’assistenza sanitaria che lì forniamo. Lo stesso vale per gli edifici dell’Unrwa nella Cisgiordania occupata. Il problema è che la legge prevede il divieto per qualsiasi “Israeli official” di intrattenere rapporti con il personale della nostra agenzia. Questo ad esempio potrebbe creare problemi nell’organizzare la mobilità degli studenti. A Gaza la situazione è tragicamente diversa, perché i nostri edifici sono stati trasformati in rifugi per la popolazione sfollata. Ad oggi 270 membri dello staff dell’agenzia sono stati uccisi a Gaza. Un numero impressionante che non ha precedenti nella storia delle Nazioni Unite fin dalla loro creazione. Ma è fuori di dubbio che l’agenzia e le Nazioni Unite non intendono abbandonare al loro destino tanto i propri impiegati che la popolazione sofferente a Gaza.

E il vostro personale con status diplomatico?

Si tratta di circa 50 funzionari, me incluso, che non hanno avuto il rinnovo del visto diplomatico, in contemporanea all’entrata in vigore della legge. Io sono stato l’ultimo a lasciare Gerusalemme proprio alla scadenza del permesso. Ora lavoriamo principalmente da Amman in Giordania.

Israele intende sostituire i vostri servizi assistenziali ai rifugiati palestinesi con altre organizzazioni umanitarie?

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Al momento non ci è stato comunicato alcunché in tal senso. Sicuramente vi sono molte altre organizzazioni che lavorano efficacemente in Israele e Palestina, ma nessuna è in grado di erogare i servizi su larga scala che finora Unrwa è stata in grado di fornire, in campo sanitario, educativo, della sicurezza sociale, della raccolta dei rifiuti, ecc. In ogni caso un’alternativa ad Unrwa non agirebbe attraverso un mandato della comunità internazionale espresso dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Al momento nulla è stato chiarito in dettaglio dalle autorità israeliane, e questo crea un grave pregiudizio alla popolazione.

Quali sono le reazioni a questo stato di fatto da parte delle Nazioni Unite?

Le Nazioni Unite hanno riaffermato l’inderogabile ruolo e presenza di Unrwa stante il mandato affidatole. Il segretario generale dell’Onu, António Guteress, è stato molto chiaro nel sostenere che non spetta all’Onu individuare una possibile alternativa all’Unrwa, che non è sostituibile. A Gaza avevamo fino al 7 ottobre uno staff di 13.000 persone, impiegate soprattutto nel campo educativo, ora almeno 5.000 sono irraggiungibili perché sfollati come il resto della popolazione, e questo pregiudica la nostra rete logistica di sostegno alle popolazioni civili. Il sistema delle Nazioni Unite è perentorio nel sostenere la continuità operativa della nostra agenzia, e richiederà il congelamento se non la revisione di questa legge, interpellandone anche la costituzionalità. Da questo punto di vista sarà molto importante il sostegno che riceveremo dai governi e dalla comunità internazionale.



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