Quanti stipendi non pagati per dimissioni per giusta causa?

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Dimissioni per giusta causa per omesso pagamento dello stipendio: a cosa ha diritto il lavoratore dipendente?

Come previsto dall’articolo 2119 del Codice civile, quando il datore di lavoro commette un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro, il dipendente può dimettersi per giusta causa senza preavviso. Può farlo sia se il contratto è a tempo indeterminato sia prima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato. La Cassazione si è più volta pronunciata nel senso di ritenere che l’omesso versamento della retribuzione integra una giusta causa di dimissioni. Dall’altro lato la stessa Corte ha sottolineato che la condotta incriminata del datore deve essere caratterizzata da “gravità”. Sicché il semplice ritardo nel pagamento di una mensilità non può giustificare il recesso del dipendente. Di qui una domanda piuttosto frequente: quanti stipendi non pagati sono necessari per dare le dimissioni per giusta causa?

La giurisprudenza è orientata nel riconoscere la giusta causa solo quando il pagamento non regolare degli stipendi è reiterato (tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 23 maggio 1998, n. 5146; Corte appello Milano 18 gennaio 2019, n. 1788). Vediamo quante mensilità non pagate occorrono per poter dare le dimissioni per giusta causa.

Dimissioni per giusta causa per omesso pagamento stipendio

Non esiste un numero fisso di mensilità non pagate che determina automaticamente la giusta causa. Tuttavia, la giurisprudenza e alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) forniscono indicazioni utili.

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Giurisprudenza

La Corte di Cassazione ha affermato che il mancato pagamento delle retribuzioni costituisce giusta causa di dimissioni, in quanto rappresenta un grave inadempimento del datore di lavoro. In particolare, la sentenza n. 21438 del 19 luglio 2023 sottolinea che il mancato pagamento delle retribuzioni è un inadempimento grave, che in quanto tale giustifica le dimissioni volontarie del lavoratore che è rimasto non pagato.

Diverse sentenze dei tribunali confermano che il mancato pagamento di più mensilità costituisce giusta causa di dimissioni. Ad esempio, il Tribunale di Chieti ha affermato che il mancato pagamento di una «congrua parte della retribuzione» dovuta al lavoratore costituisce giusta causa di dimissioni (sentenza n. 142/2017). Il Tribunale di Velletri ha riconosciuto la giusta causa in caso di mancato pagamento di tre mensilità (sentenza n. 1701/2017).

Il Tribunale di Roma ha stabilito che il mancato pagamento di diverse mensilità integra gli estremi della giusta causa (sentenza n. 1101/2019 e n. 10722/2019).

Contratti collettivi

Alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro – i CCNL – prevedono espressamente che il mancato pagamento della retribuzione per un certo numero di mensilità costituisce giusta causa di dimissioni. Ad esempio, il CCNL per i dipendenti degli Istituti e Aziende di Servizi Fiduciari stabilisce che il mancato pagamento per almeno tre mensilità costituisce giusta causa.

Altri CCNL, come quello per il settore olistico e multisettoriale, prevedono che un ritardo superiore a 90 giorni nel pagamento della retribuzione costituisce giusta causa.

Entro quanto tempo bisogna dare le dimissioni?

Tuttavia, il lavoratore non può posticipare le proprie dimissioni al punto da apparire tollerante nei confronti dell’inadempimento protratto del datore di lavoro nel pagamento della retribuzione dovuta. Le dimissioni per giusta causa devono essere, infatti, presentate in tempi brevi, in modo da apparire connesse ai fatti che le giustificano. Tale tempestività va intesa in senso relativo, in quanto può verificarsi anche se il recesso avviene dopo un periodo ragionevole necessario al lavoratore per valutare la situazione o per constatare un eventuale miglioramento (Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 2020, n. 6437; Cass. civ., sez. lav., 11 dicembre 2018, n. 31999; Tribunale Milano, sez. lav., 21 settembre 2023, n. 2710).

Casi concreti decisi dalla giurisprudenza

È stata riconosciuta la giusta causa in sede di dimissioni a un dipendente a cui non erano state corrisposte sette mensilità (Corte d’Appello di Milano, 18 gennaio 2019, n. 1788, citato) e in un caso in cui il lavoratore non aveva percepito due stipendi e aveva ricevuto solo parzialmente un’altra mensilità (Cass. civ., sez. lav., 8 agosto 1987, n. 6830).

Al contrario, in una fattispecie in cui il datore di lavoro aveva corrisposto, per un lungo periodo, una retribuzione inferiore a quella dovuta, non è stata riconosciuta la giusta causa. Ciò è avvenuto perché il dipendente, pur agendo con decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento degli arretrati, non aveva manifestato una volontà chiara di dimettersi né fornito elementi in giudizio che comprovassero come il protrarsi della condotta datoriale incidesse in modo immediato sul soddisfacimento delle sue esigenze e di quelle della sua famiglia (Cass. civ., sez. lav., 8 agosto 2022, n. 24432).

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Cosa spetta al dipendente in caso di dimissioni per giusta causa per omesso pagamento stipendio

Il lavoratore che si dimette per giusta causa ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, come previsto dall’articolo 2119 del Codice Civile (Cass. sent. n. 41731/2021). Inoltre, ha diritto a percepire l’indennità di disoccupazione (NASpI). Trovi tutto ciò che serve sapere in proposito nell’articolo “Chi dà le dimissioni volontarie ha diritto alla Naspi?“.

Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore dimissionario tutte le spettanze dovute, comprese le retribuzioni arretrate, il trattamento di fine rapporto (TFR) e l’indennità sostitutiva del preavviso. Inoltre, se il suo comportamento risulta illecito potrebbe essere esposto a richieste di risarcimento danni da parte del lavoratore.

Consigli utili

È necessario formalizzare le dimissioni per giusta causa per iscritto, specificando i motivi e allegando eventuali prove del mancato pagamento. È utile anche rivolgersi a un legale o a un sindacato per ricevere assistenza.

Il dipendente che si dimette per giusta causa si trova, però, in una posizione svantaggiosa. Difatti, dopo una dimissione improvvisa, il datore di lavoro potrebbe trattenere l’indennità sostitutiva del preavviso dalle ultime retribuzioni, mettendo in dubbio la validità della giusta causa. Di conseguenza, il lavoratore dovrà rivolgersi al tribunale in funzione di Giudice del Lavoro per reclamare sia il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso sia la corresponsione delle retribuzioni e di tutte le indennità connesse, tra le quali, se prevista dal contratto collettivo, anche il riconoscimento dell’indennità supplementare.

È compito del dipendente fornire le prove delle circostanze che hanno motivato le sue dimissioni, così che il giudice possa accertare se queste configurino una giusta causa di dimissioni. Solo se il giudice riconoscerà ufficialmente la presenza di una giusta causa, tramite sentenza, il datore di lavoro sarà obbligato a versare l’indennità sostitutiva del preavviso (Cassazione, 5 agosto 2021, n. 22365).

Soluzioni alternative alle dimissioni

Pertanto, è consigliabile esplorare altre possibili azioni per la tutela dei diritti del lavoratore prima di optare per la soluzione drastica delle dimissioni per giusta causa, dato che la giustificazione di tali dimissioni richiede la dimostrazione di una grave inadempienza non sempre facilmente provabile. È dunque fondamentale far risultare espressamente il mancato protratto pagamento degli stipendi, contestandolo formalmente al datore di lavoro. Per esplorare queste soluzioni alternative, leggi “Datore di lavoro non paga lo stipendio: cosa fare?” e “Che fare se il datore di lavoro ritarda il pagamento dello stipendio“.



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