Questa legge sulla partecipazione non s’ha da fare

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Una legge pericolosa, oltre che inutile. È quella proposta dalla Cisl con una raccolta firme, calendarizzata alla Camera con un testo base emendato dalle Commissioni parlamentari, dal titolo “La partecipazione al lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”. Meglio conosciuta come legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori.

La Cgil si è già pronunciata contro e il segretario generale Maurizio Landini ha già preso posizione. Ma alcuni media, alcuni giornali, hanno scritto: come è possibile che il sindacato si opponga? Come mai non vuole che i lavoratori partecipino all’impresa? Sarebbe una cosa buona, no?

Niente di più dei contratti collettivi

E invece no, non lo è affatto. Almeno non per come è scritta e per quello che prevede. “Il problema di fondo è che in tutto il testo si ravvisa un rischio: che venga disconosciuta la funzione di rappresentanza sindacale del lavoro come controparte – spiega Vincenzo Bavaro, giurista, docente di diritto del lavoro all’università di Bari Aldo Moro –. E lì dove c’è qualche elemento apparentemente riconoscibile, come la partecipazione organizzativa, quanto previsto è molto meno di ciò che è contemplato nella contrattazione collettiva. Come nel caso dei diritti di consultazione e delle commissioni paritetiche”. In pratica: quanto previsto dalla legge è molto meno ed è più debole di quanto non sia già presente in molti contratti collettivi di lavoro.

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Quale partecipazione?

Lo stesso concetto di partecipazione dei lavoratori, così come lo intende e lo promuove la proposta, è ambiguo ed è opposto rispetto a quello che è ed è sempre stato, almeno storicamente: più è alta e più c’è conflitto, più i lavoratori reclamano diritti e scioperano (quindi partecipano) e più si contrappongono all’impresa. Se partecipare significa prendere una parte, quella del lavoratore non è quella dell’impresa. Se partecipare significa avere voce in capitolo nelle scelte aziendali, questo è sempre accaduto quando c’è stata la massima conflittualità.

Articolo 46 della Costituzione

Riflessioni filosofiche, troppo astratte, dite? Può darsi. Ma sono proprio quelle che si trovano alla base delle leggi. La proposta nasce dal dettato dell’articolo 46 della Costituzione, che recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Quindi fermo restando il sistema capitalistico e l’iniziativa economica privata, il nostro ordinamento costituzionale riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare nella gestione delle aziende. Come? La proposta contempla quattro declinazioni: partecipazione economica, gestionale, consultiva e organizzativa.

Partecipazione economica

“In tutte e quattro le forme di partecipazione non c’è un ruolo primario dato alla rappresentanza sindacale – prosegue il professor Bavaro –. Se poi analizziamo le singole forme, solo una presenta qualche elemento di novità. Ma andiamo con ordine. Nella partecipazione economica e finanziaria si fa espresso riferimento al profitto, o addirittura anche alla proprietà. È pienamente legittimo: le cooperative in fin dei conti, con i soci lavoratori, sono un esempio di partecipazione alla proprietà, ciascun socio lavoratore è anche comproprietario. Nel caso della proposta, però, si ipotizza una partecipazione agli utili e al capitale della società, con una non meglio precisata attribuzione di azioni in sostituzione dei premi di risultato”.

Troppe ambiguità

Ma se i premi di risultato dipendono dalla qualità del lavoro delle persone, utili e quote azionarie attengono ad altri fattori legati alle dinamiche aziendali: un modo per dare più soldi ai lavoratori in funzione alle prestazioni finanziarie della società.

“C’è un altro elemento di ambiguità – afferma Bavaro –. Si tratterebbe di una sorta di beneficenza che l’azienda fa ai singoli lavoratori: decide se concedere la partecipazione e a quali condizioni, mentre il premio di produzione è frutto di una contrattazione. Non solo. Prendiamo un impiegato dell’Enel: nessuno gli impedisce di comprare le azioni con i suoi risparmi, ma nessuno direbbe che lui ha una partecipazione finanziaria dell’azienda”.

Partecipazione gestionale

È un novità che la proposta di legge introduce. La partecipazione gestionale, così come è disegnata al momento, non rafforza però la dimensione collettiva e sindacale del lavoro come controparte, ma punta a un coinvolgimento dei singoli senza un effettivo potere. Perché? Si ipotizza la presenza eventuale e non obbligatoria di un rappresentante dei lavoratori all’interno di organi come il consiglio di amministrazione. Nessuna garanzia sui numeri, né su chi può far parte di questi organi, né sul coinvolgimento o il ruolo della rappresentanza sindacale.

“Non si tratta di una modifica vera e propria perché ha solo un valore simbolico – spiega il docente – ed è lasciata al buon cuore delle aziende, le quali possono aprire alla presenza dei lavoratori negli organi di governo. Può essere pericolosa per la contrattazione collettiva? In linea generale no, ma a una condizione, e cioè che siano espressione dei rappresentanti dei lavoratori”.

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Partecipazione organizzativa e consultiva

Infine, la partecipazione organizzativa e quella consultiva. La proposta di legge prevede elementi molto inferiori rispetto a quelli che sono già presenti in molti contratti collettivi. È una specie di gioco al ribasso. La presenza dei lavoratori nelle commissioni paritetiche, per esempio, è già prevista da trent’anni.

“E la norma non stabilisce un obbligo – aggiunge Bavaro –. Le aziende che vogliono, possono promuoverne l’istituzione. E se l’azienda non vuole? Non succede niente. Non ha nessun senso! I diritti di consultazione e informazione sono già ampiamente disciplinati nei contratti collettivi firmati dalle organizzazioni più rappresentative. Quindi, mi sarei aspettato che la proposta rendesse questi diritti vincolanti e per tutti”.

Anche nel campo della partecipazione organizzativa non viene introdotto alcun obbligo ad avere un rappresentante dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, ma si stabilisce che gli statuti possono prevederlo se vogliono. “Un’ultima nota – conclude Bavaro – c’è la tendenza a non voler garantire un sostegno alla migliore contrattazione collettiva, sottoscritta dalle organizzazioni più rappresentative, ma si apre anche al variegato e frammentato mondo dei sindacati meno rappresentativi”.



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