“Tenete l’Amarone lontano dal Ripasso”. La parola d’ordine del Consorzio è segmentare il mercato



L’Amarone faccia l’Amarone; il Ripasso si occupi della fascia mediana dei Millennials; al Valpolicella il compito di conquistare i palati più giovani. I cento anni del Consorzio vini della Valpolicella hanno dato una nuova consapevolezza allo stesso ente di tutela: le tre denominazioni sono tre possibilità distinte per imporsi sul mercato. Ma ad un patto: distinte devono essere anche le destinazioni, sia in termini di Paesi, sia di fasce di consumatori. La parola d’ordine la pronuncia il presidente Christian Marchesini da Amarone Opera Prima: «Segmentazione», perché come spiega al Gambero Rosso: «sovrapponendosi sui mercati si rischia di confliggere». Una concorrenza interna che non farebbe bene a nessuna delle denominazioni tutelate dallo stesso consorzio. Bisogna, quindi, sfruttare il vantaggio – che è quasi un unicum in Italia – di avere tre vini che riflettono i differenti gusti lungo tutto l’arco della vita.

Amarone e Ripasso: una poltrona per due

A definire i tre vini ci pensa il responsabile dell’Osservatorio Uiv Carlo Flamini: «L’Amarone è e deve essere il vino icona, il Ripasso l’esploratore, mentre il Valpolicella l’occasionale». In particolare, Flamini definisce la convivenza tra Amarone e Recioto, attraverso un’immagine esemplificativa: «una poltrona per due. Infatti, lì dove, il primo è più libero dalla concorrenza del Ripasso riesce a fare meglio, con un prezzo medio che spunta un +25%. Per questo è importante che si smarchi», è il consiglio del responsabile dell’Osservatorio che, poi, incalza: «Tenete l’Amarone lontano dal Ripasso. Per diventare un vero vino icona deve andare oltre l’Europa, in paesi solo suoi, come la Cina, gli Stati Uniti o il Giappone. Al momento, invece, otto mercati su dieci sono in comune con Ripasso e Valpolicella, tra cui anche la prima piazza di riferimento: la Svezia».

Il Valpolicella alla conquista dei giovani consumatori

Tra le priorità dell’Amarone, quindi, non c’è necessariamente l’abbassamento del grado alcolico fino ad un minimo di 14 gradi consentiti dal disciplinare («C’è chi ci prova ma i cambiamenti climatici spingono in senso inverso», dice Marchesini), piuttosto l’acquisizione dello status di vino symbol insieme alle più grandi denominazioni internazionali. Per tutto il resto c’è il Valpolicella, a cui resta forse il compito più importante in questo momento storico: parlare ai giovani. Per farlo, però, anche la Doc ha bisogno di uscire fuori dal ruolo di ancella degli altri due, per poter conquistare nuovi palati. Ne è consapevole il presidente Marchesini che, infatti ribadisce che «Il Valpolicella ha tutte la certe in regola per conquistare i mercati meno esplorati del Sud Est asiatico, ma buone possibilità potrebbero aprirsi anche in Brasile, grazie al trattato di libero scambio con il Mercorsur».

Il difficile rapporto con l’enoturismo

L’altra mossa per rendere l’Amarone davvero iconico è quella di legarlo sempre più al territorio e soprattutto alla città di Verona. «D’altronde – rivela Marchesini – il 18% del nostro patrimonio vitivinicolo ricade nel veronese: quasi un vigneto urbano». Tuttavia, per centrare l’obiettivo, c’è bisogno di investire più massicciamente nell’enoturismo legato alla città scaligera. «Diciamo la verità: le cantine lo hanno fatto poco in questi anni. Devono crederci di più». Certo il riconoscimento Unesco per la tecnica dell’appassimento proposto qualche anno fa, potrebbe tornare utile alla causa, ma il presidente del Consorzio non si fa troppe illusioni: «Dal canto nostro la pratica è completa, ma adesso la decisione deve essere politica e probabilmente ci sono altre idee sulla candidatura da presentare. Ma vedremo».

E se Verona entrasse nel nome Amarone?

Il responsabile dell’Osservatorio prova a dare degli spunti per legare l’Amarone alla città: «Verona, 19esima città italiana per presenze turistiche, deve essere il gancio di tutto. Il brand scaligero va utilizzato per marchiare con ancora più forza il legame della Valpolicella e dell’Amarone e soprattutto per attrarre turismo elitario. Il riferimento dovrebbe essere inserito sotto Amarone per far diventare il nesso chiaro a tutto il mondo. Al momento, invece, la cosa sorprendente è che gli unici a usare il riferimento geografico sono i vini dell’Igt Verona (che non ricadono sotto la tutela del Consorzio; ndr). Su questo punto vi invito a riflettere», conclude Flamini.
Un invito a creare una Doc Verona o qualcosa di simile? Una possibilità che al momento il Consorzio esclude, ma mai dire mai. I vini di metodo possono essere prodotti in tutto il mondo, quelli di territorio no.



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