Dazi, l’UE ostenta fermezza. Ma il fronte è diviso

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Il vertice informale dei leader Ue a Bruxelles è nominalmente sulla Difesa – ma a rubare la scena sono i (minacciati) dazi di Donald Trump. La sessione della mattina è stata infatti dedicata ai rapporti tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti – relazione speciale quando si tratta di aspetti militari – e in questo contesto i 27 hanno fatto il punto sulla situazione. 

Germania, Olaf Sholz (Ap Photo)

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La strategia della fermezza

“È emerso un forte consenso: i dazi tra gli Usa e l’Ue sarebbero dannosi per entrambe le parti”, nota una fonte europea. Un argomento che difficilmente potrebbe convincere Trump, che valuta un balzello del 10% flat. 

Parigi e Berlino suonano la carica, rispolverando la tradizionale affinità strategica: siamo pronti a ribattere colpo su colpo. “Una cosa è chiara: in quanto area economica forte, possiamo gestire autonomamente i nostri affari e rispondere ai dazi coi dazi”, dice il cancelliere tedesco Olaf Scholz arrivando al summit, organizzato nel centro della capitale belga. “È ciò che dobbiamo fare e lo faremo”. “Se sarà attaccata” da un punto di vista commerciale, gli fa eco Emmanuel Macron, “l’Europa dovrà farsi rispettare e reagire”.  

Il presidente francese Emmanuel Macron

Il presidente francese Emmanuel Macron (Afp)

La posizione Italiana

Nella geografia delle alleanze europee di fronte al ciclone Trump, Giorgia Meloni, al momento, è la leader che può giocarsi la carta più solida: quella dell’amicizia con il presidente americano – unita al fatto che governa la terza economia dell’Ue. 

Da settimane la premier italiana predica il pragmatismo nei rapporti con gli Stati Uniti: Roma ha già evocato la strategia del ‘buy american‘ per arrivare a un’intesa. Ma con il susseguirsi degli attacchi da Washington il richiamo alla prudenza di Meloni rischia di essere meno ascoltato. Nelle principali cancellerie europee cresce la consapevolezza che solo una riposta netta e compatta agli eventuali dazi americani può avere efficacia. 

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È stata la prudenza la stella polare che ha guidato Meloni al tavolo dei leader europei. Con Washington serve il dialogo, l’Europa non può infilarsi in un cul de sac con un “muro contro muro” con Trump, è il ragionamento che Meloni ha fatto ai suoi omologhi. Ad allarmare Roma è la crescente tentazione di rispondere per le rime alle minacce che emerge nelle cancellerie di Parigi, Berlino ma anche Madrid. Meloni si è seduta al tavolo dei 27 con una consapevolezza: se sfuggire ai dazi americani per l’Italia non è impossibile – Trump, in teoria, potrebbe decidere di colpire i beni di Paesi che considera avversari, risparmiando i governi ‘amici’ come Italia e Regno Unito – l’eventuale contrattacco di Bruxelles, con l’imposizione di dazi ai prodotti Usa, coinvolgerebbe tutte e 27 le capitali. 

Nessuno può sfilarsi tra i Paesi dell’Unione, anche perché è una decisione che, trattati alla mano, spetta solo alla Commissione. 

Meloni

Meloni (Ansa)

Anche il Canada parla con Bruxelles

Ma sulle politiche dei dazi Usa la discussione va oltre il vecchio Continente. l primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha telefonato al presidente del consiglio europeo Antonio Costa per informarlo della sua reazione alle tariffe di Trump. “Entrambi i leader – ha affermato un funzionario – hanno sottolineato l’importanza delle relazioni bilaterali Ue-Canada e hanno confermato la loro determinazione a continuare a lavorare insieme in tutti gli aspetti della cooperazione in termini di relazioni interpersonali, commerciali e investimenti”. Trudeau, insomma, cerca la sponda europea. Anche perché il capitolo difesa (specie dal punto di vista industriale) ora potrebbe intrecciarsi alla strategia Ue su come ridurre lo squilibrio dell’interscambio Usa-Ue. 

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Justin Trudeau

Justin Trudeau (AP)

Il capitolo Nato, ipotesi spese militari fuori dal patto di stabilità

Sulla questione dazi rientra anche, come elemento di trattativa con gli Usa anche il bilancio della Nato. I 27 sanno che dovranno comunque spendere di più per la difesa e chi tra loro fa anche parte dell’Alleanza atlantica va incontro ad un target ben superiore al 2% l’anno (il Canada peraltro è fra gli alleati che non ha ancora raggiunto la fatidica soglia). 

Le armi, dunque, possono rientrare nel valzer degli accordi. Per convincere i riottosi c’è l’ipotesi di mettere le spese militari fuori dai limiti imposti dal Patto di stabilità. Sul punto però si prospetta uno scontro con Parigi, che sta spingendo da mesi gli acquisti ‘made in Europe’ per rafforzare la base industriale del vecchio Continente. Una visione che mal si allinea con l’idea trumpiana  e su cui molti alleati europei sono scettici, perché hanno le catene del valore legate a quelle americane. “Convincerò tutti i leader europei a non introdurre restrizioni che possano limitare o eliminare la possibilità di spendere denaro europeo per gli armamenti americani”, dice il primo ministro polacco, Donald Tusk: “Gli armamenti americani e le migliori relazioni possibili con Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Norvegia, per quanto riguarda la difesa, devono essere al centro della nostra attenzione”. 

Donald Tusk

Donald Tusk (European Union)

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I conti di Rutte: la guerra dei dazi non conviene a Trump

Nessuna barriera dunque tra alleati Nato. Che poi è ciò che va ripetendo il segretario generale Mark Rutte da mesi. 

“Sono certo che i dazi non avranno impatto sulla nostra deterrenza”, ha sottolineato ricevendo il premier Keir Starmer (per lui pure una cena con i 27, primo giro di tavolo di un primo ministro del Regno Unito dalla brexit). Rutte si è detto certo che si potrà trovare un’intesa con gli Usa, anche perché dal 2022 ad oggi il surplus commerciale “è salito” a loro favore. “Vale 180 miliardi di dollari, vendono più loro a noi che il contrario”, ha evidenziato con nettezza. Trump a parte, i 27 hanno avuto molto da discutere su che direzione dare alla difesa comunitaria, sinora appannaggio semi-esclusivo dei paesi membri. Oltre al ‘made in Europe’ bisogna capire su quali macroprogetti puntare e dove trovare i quattrini: la notizia è che persino i più frugali – ad esempio la Finlandia – valutano opzioni creative. “Siamo aperti ad ogni soluzione sui finanziamenti, abbiamo bisogno di risorse comuni, siamo pronti a discuterne”, ha detto il premier Petteri Orpo

 Mark Rutte (Nato)

Mark Rutte (Nato) (Nato – Reuters)

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