“I cattolici non possono andare in ordine sparso”. Intervista a Mons. Toso. — Il Domani d’Italia

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Da molto tempo Mons. Mario Toso, Vescovo di Faenza-Modigliana, è impegnato nell’opera di interpretazione e divulgazione della Dottrina Sociale della Chiesa. Nei vari passaggi dell’intervista emerge la ricchezza di motivazioni che accompagna la ricerca di valide mediazioni culturali e politiche, con l’auspicabile obiettivo di fornire al Paese una nuova classe dirigente.

 

C’è un forte dibattito attorno ad un rinnovato protagonismo dei cattolici nella vita politica italiana. Ma non mancano, al contempo, contraddizioni e perplessità su come e dove può avvenire questo nuovo protagonismo pubblico. Qual è la Sua opinione al riguardo?

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Si può affermare che il recente e rinnovato protagonismo dei cattolici ha una sua data di nascita, ossia la Settimana Sociale dei cattolici in Italia, svoltasi, nei mesi scorsi, precisamente dal 3 al 7 luglio 2024, a Trieste. Qui, indubbiamente, l’intervento di Sergio Mattarella, colto, ricco di riferimenti storici e teorici, estesi anche alla grande stagione del cattolicesimo democratico, ha dato una spinta e una motivazione notevoli a tale protagonismo. Lo ha sollecitato, ovviamente, assieme ad altri importanti fattori: la terza guerra mondiale a pezzi, il cambiamento geopolitico in atto, una non improbabile sconfitta dell’Occidente – a detta, ad esempio, di Emmanuel Todd, lucido ed acuto storico francese (a motivo del declino demografico, delle strutture familiari, della scomparsa della religione e del trionfo del nichilismo) – la crisi internazionale del mondo del lavoro in cerca di nuovi equilibri con l’IA, la questione ambientale, i flussi dei migranti, la crisi della democrazia, degli stessi partiti, il crescente astensionismo. Non a caso, Mattarella ha insistito sull’importanza della partecipazione, e ciò almeno per due motivi. Il primo perché la democrazia richiede l’impegno dei cittadini. Non basta il voto. Occorre prendersi cura più ampiamente della cosa pubblica. Il secondo perché, in tempi di astensionismo elettorale, con punte che superano il cinquanta per cento degli aventi diritto al voto, è un richiamo a tutti, certo, ma, in quel contesto, soprattutto ai cattolici, a una assunzione di ulteriori responsabilità. Il 18 gennaio scorso, sulla scia, si sono svolti due incontri organizzati da due componenti distinte interne al PD: uno a Milano, promosso dagli ex popolari con in testa Graziano Delrio e un altro ad Orvieto con i liberal democratici che fanno riferimento all’associazione Libertà Eguale. Dai pronunciamenti e da quanto è stato riferito da alcuni partecipanti il tutto si è svolto con l’obiettivo principale di un riposizionamento dei cattolici più che altro all’interno del Pd, in vista delle prossime elezioni, per sconfiggere la «destra», meno con l’obiettivo di riflettere intorno all’impegno in politica alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, rispetto alle grandi sfide in atto. A breve, a metà febbraio, si svolgerà un altro incontro, organizzato da Francesco Russo. Si tratta di una rete di alcune centinaia di amministratori locali, di matrice cattolica, che non avrebbe l’obbiettivo né di fondare un nuovo partito né di collocarsi in uno solo. L’obiettivo principale sarebbe quello di elaborare una politica nuova, capace di rispondere ai grandi problemi che si hanno davanti, interni ed internazionali, alla luce di un pensiero pensante, di un nuovo umanesimo trascendente e della rinnovata Dottrina sociale della Chiesa. Queste iniziative, assieme ad altre, che hanno avuto meno risonanza nei media o nei social, sembra costituiscano una fase nuova, che si spera non si riduca ad un fuoco di paglia, ma che continui e si consolidi, allargandosi sempre più all’associazionismo e alla società civile, nelle sue diverse articolazioni, per superare un crescente analfabetismo politico e democratico, vivendo la dimensione pubblica della fede. Naturalmente non mancano voci che affermano che esiste già uno schieramento, quello di centro destra, aperto all’impegno e al contributo dei cattolici. La Settimana sociale dei cattolici in Italia ha compiuto la sua seminagione e continuerà a farlo. Non sono sufficienti, però, due giorni perché germoglino cose nuove. Occorre attendere operosamente, pregando, formando ad una spiritualità incarnata, al discernimento sociale, elaborando una nuova cultura politica anche cattolica.

 

La stagione e la storia della Democrazia Cristiana appartengono, come ovvio, al passato. Eppure, anche da parte dei suoi storici detrattori, c’è una sorta di forte rimpianto per quella esperienza politica, culturale e di governo. Qual è il Suo giudizio su quella classe dirigente che, seppur fra alti e bassi, ha saputo ricostruire il nostro paese?

 

Non si sbaglia nel dire che, nonostante errori inevitabili, vi è una certa nostalgia di quei decenni, e non soltanto da parte dei cattolici. Sono stati anni di crescita complessiva per il Paese. Un’altra epoca. Era un’altra Italia. Non è difficile anche dire che, senza forse, c’era un’altra classe dirigente, e non soltanto politica, anche imprenditoriale. Però, la nostalgia non porta da nessuna parte. Neanche ci porta da qualche parte evocare i politici di allora. Ci serve, invece, comprendere che quelle personalità furono il risultato di una temperie storica, di un movimento collettivo, politico, culturale, valoriale, per cui il loro emergere, meglio le ragioni del loro emergere non vanno ricondotte esclusivamente alle loro qualità individuali, indubbiamente presenti. Adesso, non possiamo pensare di ricostituire quella temperie storica, certo, ma dobbiamo capire che non è molto utile muoversi in ordine sparso. È opportuno collegarsi, fare rete, ridare vita con forza a movimenti ampi, di tipo culturale, politico e valoriale, e vedere dove ci conduce e quali personalità fa emergere. Se, invece, si procede in ordine sparso, non si possono nutrire grandi speranze.

 

Come può decollare, all’interno dell’arcipelago cattolico contemporaneo, una rinnovata spinta all’impegno politico ed amministrativo? Esistono, cioè, luoghi e momenti che contribuiscono a formare una nuova ed autorevole classe dirigente cristianamente ispirata?

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Questa domanda, in realtà, è strettamente collegata alla precedente, quindi, consente di sviluppare ulteriormente la risposta precedente. È bene dire, anzitutto, dove non si forma una classe dirigente. Non si forma in laboratorio. Nessuna classe dirigente, nella storia, si è formata in laboratorio. Ad esempio, le scuole di formazione all’impegno sociale e politico sono importanti, importantissime, ma non bastano. In realtà, una classe dirigente si forma all’interno di un’esperienza storica complessa e articolata. E, nella formazione, incidono una serie di fattori: famiglia, scuola, imprese, corpi intermedi, università, valori, cultura, religione. Senza l’effetto positivo di questi fattori, ovvero senza l’effetto positivo di una serie di agenzie educative, pensare alla formazione di una classe dirigente adeguata, diffusa nella società, e capace di accompagnarla e di guidarla, sarebbe del tutto utopistico. L’educazione religiosa è fondamentale, perché trasmette un’apertura alla trascendenza, senza la quale la dimensione individuale rischia pesantemente di rimanere schiacciata su una mera dimensione utilitaristica e materialistica, tecnicista. Educa, in altri termini, ad andare oltre sé stessi, e a mettersi, pertanto, anche al servizio della cosa pubblica in modo eticamente corretto, alla luce di un compimento in Dio.

 

Pochi giorni fa abbiamo ricordato “l’appello ai liberi e forti” di don Luigi Sturzo. Il popolarismo di ispirazione cristiana continua, a Suo giudizio, ad essere un punto di rifermento per la qualità della nostra democrazia e la freschezza e credibilità del nostro sistema politico?

Alla sua domanda non si può che rispondere positivamente: il popolarismo rimane una sorgente inesauribile per dare forza e futuro alla democrazia. Soprattutto, in tempi, come i nostri, che sono tempi di populismo, tempi di degenerazione democratica. Il popolarismo si pone in aperta e totale contrapposizione con il populismo. Mentre quest’ultimo si declina e si manifesta nel segno di una politica conflittuale, urlata, ostile alla mediazione, il popolarismo pone al centro della propria azione una politica ragionata, fondata sulla mediazione con le altre forze politiche e culturali, quelle, naturalmente, rispettose della centralità della persona e della libertà. Se si guarda al popolarismo con lo sguardo esteso alla sua storia, infatti, vediamo, da un lato, che ha combattuto i totalitarismi, negatori, in quanto tali, della centralità della persona. Dall’altro, ha collaborato e ha attuato una mediazione fruttuosa con altre forze e culture politiche, rispettose di tale centralità, dando vita a momenti fondamentali della storia italiana repubblicana. Ha contribuito alla stesura della Costituzione, ed anche a una stagione di riforme significative nella prima metà della seconda parte del Novecento.



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