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Metalmeccanici, lavoratori della chimica, della gomma plastica, della farmaceutica, della ceramica e del vetro, modo e dell’energia. Tra due giorno, il 5 febbraio, si terrà una manifestazione a Bruxelles, sotto il Consiglio europeo, organizzata da IndustriAll Europe. Dall’Italia saranno presente delegazioni di Fim, Fiom, Uilm, Filctem, Femca e Uiltec. Al centro della manifestazione la richiesta di un piano industriale europeo. Ne abbiamo parlato con la segretaria generale di IndustriAll Europe Judith Kirton-Darling
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Principalmente su quali temi volete sensibilizzare la politica europea con questo sciopero?
Vogliamo sottolineare che la deindustrializzazione non è più una possibilità lontana ma una dura realtà per i lavoratori di tutta Europa. Questo a causa della mancanza di una chiara strategia e di un piano industriale europeo, di cattive decisioni aziendali e del ritardo negli investimenti. La ristrutturazione non sta avvenendo solo nei settori e nei segmenti tradizionali ma anche in quelli nuovi, acclamati come creatori di nuovi posti di lavoro. Ad esempio vengono colpiti sia i siti e i fornitori di motori a combustione interna, sia i siti e i fornitori di veicoli elettrici. Ciò indica la pericolosità della situazione attuale. Nessun paese può farcela da solo. Servono soluzioni europee.
Quanto è vicina l’Europa a cadere in un processo irreversibile di deindustrializzazione?
Moltissimo. Il danno sociale ed economico può durare decenni. In tutta Europa si stanno svolgendo scioperi e manifestazioni per lanciare l’allarme sulle drammatiche prospettive future. Molti paesi non hanno piani industriali nazionali e l’Unione Europea si è appena accorta dell’urgente necessità di averne uno. I lavoratori stanno sopportando i costi di una cattiva pianificazione aziendale e governativa e sono furiosi quando vedono che i limitati finanziamenti pubblici a disposizione delle aziende finiscono direttamente nelle tasche degli azionisti e nei dividendi, invece di essere investiti in strumenti e tecnologie di produzione orientati al futuro e alla decarbonizzazione. Dobbiamo mobilitarci ora prima che sia troppo tardi.
Quali sono le colpe dell’Europa?
È in atto uno sconsiderato auto-sabotaggio da parte dell’Ue che sta inasprendo le sue regole fiscali, tagliando le possibilità di investimento nel momento in cui ne abbiamo più bisogno, come ha affermato Draghi. Le multinazionali stanno perseguendo strategie di massimizzazione del profitto basate sulla compressione dei lavoratori e sulla deregolamentazione, mentre la carenza di manodopera e di competenze continua a danneggiare l’industria. Mentre la presidente von der Leyen ha esposto a Davos il progetto per il Clean Industrial Deal, abbiamo indetto la manifestazione per il 5 febbraio perché vogliamo la garanzia che questo sia un piano per la creazione di buoni posti di lavoro nell’industria.
Quali settori sono più esposti e quanti lavoratori sono potenzialmente a rischio?
Negli ultimi mesi si sono persi 110mila posti di lavoro nell’industria. In alcuni settori, come quello siderurgico e quello automobilistico, la situazione è ben peggiore che durante la crisi finanziaria globale. Tra il 2008 e il 2023 sono scomparsi 2,3 milioni di posti di lavoro nel manifatturiero, di cui quasi un milione dal 2019. Quest’autunno migliaia di aziende hanno minacciato la chiusura di stabilimenti, la riduzione della produzione e la dismissione dei siti. Una crisi che viene mascherata da contratti a breve termine e orari ridotti, che potrebbero creare fino a 4,3 milioni di posti di lavoro.
Ci sono delle crisi industriali nazionali che la preoccupano maggiormente per l’impatto che potrebbero avere?
La situazione dell’economia tedesca preoccupa tutti i lavoratori del settore manifatturiero in Europa. Questo a causa del grado di integrazione delle nostre catene di approvvigionamento e delle nostre economie. Non bisogna poi dimenticare la particolare crisi che colpisce l’industria automobilistica e la sua filiera in Italia.
Quali risposte si aspetta nel futuro prossimo e più lontano?
Il 26 febbraio la Commissione pubblicherà il Clean Industrial Deal. In questo quadro chiediamo alla Commissione Europea e ai governi nazionali di affrontare i problemi a breve termine senza perdere di vista le sfide a lungo termine. Soluzioni rapide e mal fatte non faranno altro che danneggiare ulteriormente l’industria europea. Vogliamo un vero piano industriale europeo, che non cerchi solo di seguire o scegliere tra la Cina o gli Stati Uniti. UN piano europeo che ci permetta di riprendere in mano il nostro destino attraverso investimenti, innovazione, ricerca e sviluppo.
Se ce ne sarà bisogno, come proseguirà la mobilitazione?
Ci stiamo mobilitando sulle richieste chiave. Ci auguriamo che almeno in parte vengano affrontate dalla Commissione nel Clean Industrial Deal. Tuttavia sono i leader nazionali ad avere il potere di portare avanti tali proposte. Abbiamo già concordato che la fase successiva dovrà guardare ai governi nazionali in vista del Consiglio europeo del 20 marzo. Le modalità della mobilitazione dipenderanno da come la Commissione darà risposte alle nostre istanze.
Secondo lei l’arrivo di Trump può trasformarsi in un’opportunità per l’industria europea oppure avrà solo conseguenze negative?
Con Trump sono molte le minacce per le democrazie e le economie europee Tuttavia la sua elezione rafforza il fatto che abbiamo bisogno di una maggiore sovranità industriale ed energetica in contesto geopolitico sempre più instabile.
Tommaso Nutarelli
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