in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 2 – ISSN 2499-846X
Corte di appello di Lecce, ordinanza del 29 gennaio 2025
Presidente dr.ssa Teresa Liuni, Estensore dr. Francesco Cacucci
Con ordinanza del 29 gennaio 2025 la corte di appello di Lecce ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell’art. 74, commi 1 e 4, d.P.R. 309/1990 “nella parte in cui, con specifico riferimento alla pena prevista dall’art. 74, comma 4°, DPR 309/90, per il “capo-promotore” di un’associazione finalizzata al narcotraffico avente disponibilità di armi e con un numero di associati superiori a dieci, prevede la pena fissa di 24 anni di reclusione”.
In particolare, la corte territoriale ha tratteggiato le circostanze che inducono a ritenere dubbia la conformità della previsione incriminatrice disciplinata dalla legge speciale con il canone di proporzionalità della risposta punitiva, nel precipitato di uguaglianza/ragionevolezza, ovvero di individualizzazione della pena e di finalizzazione rieducativa della medesima.
Per vero, nella disamina della rilevanza della questione, il giudice del secondo grado rimettente ha osservato come l’organo di prime cure avesse irrogato una pena-base pari ad anni 24 di reclusione, in ragione della qualità di capo-promotore rivestita dall’imputato, poi aumentata in conseguenza dell’applicazione della contestata recidiva, ovvero della circostanza aggravante di cui al comma 3 e al comma 4 dell’art. 74 T.U. Stup. ed infine ridotta nel rispetto del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p..
Ha tuttavia sottolineato come, nel caso di eventuale rigetto dei motivi di gravame dedotti nel corpo dell’atto di impugnazione di appello, non avrebbe alcuna possibilità di intervenire sul calcolo sanzionatorio, di modo da poterlo adattare e modulare al disvalore sociale del fatto ed alla personalità dell’imputato, quindi al caso concreto: la cornice edittale minima disposta dal legislatore imporrebbe di comminare una pena-base necessariamente determinata in anni 24 di reclusione.
Determinazione, quella di cui sopra, evidentemente fissa, se è vero, come è vero, che il quantum massimo di pena detentiva stabilita all’art. 23 c.p. è pari proprio ad anni 24 di reclusione.
Sicché, la questione è stata valutata non manifestamente infondata avuto riguardo soprattutto alla scelta a rime obbligate nella quale verserebbe l’organo giurisdizionale, a cui sarebbe preclusa ogni ulteriore valutazione in seno alla materia relativa alla dosimetria della pena, con buona pace degli elementi discrezionali indicati dall’art. 133 c.p..
Preclusione che inevitabilmente indurrebbe ad equiparare situazioni che fra loro possono essere oltremodo multiformi e variabili e che renderebbe, perciò, non proporzionata la pena sia sotto il profilo soggettivo, che sotto quello oggettivo.
La corte salentina ha reputato, quindi, doveroso rimettere gli atti alla Corte Costituzionale onde confrontarsi con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27, comma 1 e 3, Cost..
La corte di appello ha, per vero, rammentato come ampia sia la discrezionalità del legislatore nella determinazione della forbice edittale di una previsione incriminatrice; nondimeno, la medesima giammai può essere tanto estesa da tramutarsi in una manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, quale si avrebbe allorquando le pene inflitte si rivelino, appunto, sproporzionate rispetto alla gravità del fatto di reato ed alla personalità dell’imputato, ovvero, ancor di più, allorquando impedirebbero ogni spazio critico da parte dell’autorità giurisdizionale procedente.
Spazio critico che si rende a fortiori necessario sol che si pensi alla vasta “gamma di comportamenti riconducibili al tipo di reato, che si presta a ricomprendere fenomeni associativi dalle caratteristiche estremamente eterogenee e con ben diverso grado di pericolosità per i beni giuridici tutelati”; di contro, allo stato attuale vi sarebbe, ad esempio, una indiscriminata equiparazione della punizione per il capo-promotore di una associazione di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/1990 che commercia narcotico di tipo leggero, ovvero di tipo pesante, nel mentre non vi sarebbe alcuna disamina delle peculiarità e delle possibili diverse declinazioni dell’organigramma criminale (con conseguente differente disvalore sociale del fatto).
Di talché, il collegio territoriale ha evidenziato l’opportunità di una espunzione della circostanza aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 d.P.R. 309/1990 in relazione alla posizione del capo-promotore di un gruppo dedito al traffico di stupefacenti armato e con numero di associati superiore a dieci, di modo da avere a disposizione una cornice edittale il cui minimo è fissato in anni 20 di reclusione (ai sensi dell’art. 74, comma 1, d.P.R. 309/1990) ed il cui massimo invece in anni 24 (ai sensi dell’art. 23 c.p.); cornice edittale entro la quale l’organo giurisdizionale potrà estrinsecare il proprio convincimento in aderenza ai parametri oggettivi e soggettivi di cui all’art. 133 c.p..
Peraltro, l’invocato intervento si rende oltremodo necessario – a parere del giudice a quo – in considerazione dell’inefficacia degli effetti derivanti da un eventuale giudizio di bilanciamento della circostanza aggravante contestata con le circostanze attenuanti, ivi comprese le circostanze attenuanti generiche; giudizio che, proprio per la sua natura eventuale, non consente di sanare il vulnus correlato alla rilevata tensione fra la disposizione normativa censurata ed i citati dettami costituzionali.
Dettami oggetto di innumerevoli pronunce della Corte Costituzionale, che hanno riguardato non soltanto il settore squisitamente penale, ma hanno interessato anche la materia amministrativa, toccando financo quella concernente i procedimenti disciplinari dei magistrati.
Appare chiara, pertanto, la portata della questione di legittimità costituzionale appena passata al vaglio della Corte Costituzionale e si auspica che il Giudice delle Leggi possa intervenire al fine di contenere quella spinta eccessivamente sanzionatoria, retributiva e carcerocentrica – già solo attestata dal quantum della pena determinata dal legislatore –, in una prospettiva che, preme precisare, dovrà necessariamente essere euro-unitaria.
Non v’è chi non veda, infatti, come il principio di proporzionalità della pena, a cui l’ordinamento domestico dovrebbe fare continuo riferimento, tragga il proprio fondamento dalle Carte europee, nonché dagli insegnamenti restituiti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Ed ancora una volta, si crede, la Corte Costituzionale non mancherà di intraprendere la strada già tracciata del fitto ed intenso dialogo con le più alte giurisdizioni sovranazionali eurounitarie.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. F. Quarta, La pena fissa del capo-promotore dell’associazione di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/1990 nel rapporto con il principio di proporzionalità della pena: la corte di appello di Lecce solleva questione di legittimità costituzionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, 2
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