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Nel cuore dei Colli Tortonesi, quella zona di confine tra Liguria e Lombardia che si trova nel basso Piemonte, La Montemarzina porta avanti una tradizione centenaria legata alla frutticoltura. Situata a Montemarzino nella provincia alessandrina tra le Valli Curone e Grue, l’azienda è circondata da boschi, vigneti e frutteti che beneficiano di un suolo fertile composto da sabbia e argilla e di un microclima peculiare. Questa terra, punto di incontro tra tre regioni, è da sempre zona fertile per la produzione di eccellenze enogastronomiche. Tra queste spiccano il vino Derthona Timorasso, il formaggio Montebore e le Pesche di Volpedo, introdotte agli inizi del Novecento dal Cavaliere Guidobono come alternativa alla viticoltura dopo la filossera. Proprio su questa tradizione si basa La Montemarzina, con l’obiettivo di custodire il patrimonio agricolo della zona e renderlo fruibile in ogni stagione.
La Montemarzina: un’eredità agricola che valorizza le eccellenze del territorio
L’attività agricola della famiglia Davico ha origine negli Anni ’30 con il bisnonno Orazio, detto “il Moro”, che avviò la sua realtà agricola insieme alla moglie Piera, costituita dai vigneti del padre, campi seminativi e qualche albero da frutto, principalmente mele, pesche e albicocche. Negli anni, la coltivazione della pesca si affermò sempre più e la famiglia contribuì alla nascita del Consorzio di Tutela della Pesca di Volpedo nel 1992. Vent’anni dopo il nipote di Orazio, Fausto, decide di prendere in mano l’azienda agricola e di innovarla, aumentando la produzione delle Pesche di Volpedo, acquistando nuovi terreni e spostando il focus solo sulla frutticoltura. “Mio zio Fausto ha fatto una scelta completamente controtendenza, andando a sostituire campi seminativi e vigneti con frutteti, introducendo nuove varietà come albicocche, susine, pere, mele antiche, ciliegie di Garbagna e fragole”, racconta Marco Ravazzano a CiboToday.
L’evoluzione dell’azienda
L’azienda cresce e nel 2013 nasce una riflessione sulla stagionalità della frutta, una caratteristica tanto preziosa quanto limitante. Di qui l’intuizione di trasformare la frutta nata durante una cena al ristorante storico di Montemarzino. L’oste Giuseppe, sedendosi al tavolo con la famiglia, lancia la provocazione: “Allora, quand’è che ti metti a mettere ‘ste pesche nei barattoli? Sono troppo buone per mangiarle solo d’estate… e a me la roba buona piace mangiarla tutto l’anno”. Quelle parole accendono un’idea che ben presto coinvolge tutti: dare nuova vita ai frutti dell’azienda, guardando al passato e riscoprendo le antiche ricette di famiglia, quelle delle nonne che accendevano la stufa per cuocere le confetture. Così ristrutturano parte della cascina per creare uno spazio adatto alla trasformazione della frutta.
Nel 2015, con il laboratorio finalmente pronto, La Montemarzina avvia la produzione con le Pesche di Volpedo sciroppate e le prime confetture, segnando l’inizio di un nuovo capitolo per l’azienda. Nel mentre Marco, poco più che ventenne, conclude gli studi in ingegneria energetica e sceglie di dedicarsi completamente alla realtà di famiglia, affiancando lo zio nei frutteti e la mamma e la zia in laboratorio. E sempre nell’ottica in cui tutto viene fatto in famiglia, il compito delle etichette è stato affidato alla più piccola di casa, Giulia, cugina di Marco. Le ha disegnate quando aveva solo otto anni, mentre oggi sta studiando agraria con l’obiettivo di portare avanti l’azienda di famiglia.
La filosofia produttiva e la lavorazione artigianale
La Montemarzina basa il suo lavoro su un’agricoltura di lotta integrata, che privilegia metodi naturali per la cura delle piante e preserva la biodiversità del territorio. La raccolta avviene rigorosamente a mano a più riprese, selezionando solo i frutti giunti a perfetta maturazione. Per garantire la massima qualità, la trasformazione avviene immediatamente dopo la raccolta nel laboratorio aziendale, senza l’uso di conservanti o additivi. Una filiera chiusa, la cui produzione oggi comprende diverse tipologie di frutta sciroppata, confetture extra, composte e nettari, che è l’ultima novità di casa. Questi vengono realizzati con frutta estratta a freddo, unita ad acqua, poco zucchero per la conservabilità e il succo di limone, poi imbottigliati e pastorizzati.
E anche se adesso i nettari sono tra i prodotti più richiesti, le Pesche di Volpedo sciroppate rimangono il fiore all’occhiello della produzione. Fanno anche una piccola produzione di frutta sciroppata in cui viene aggiunto vino del territorio: la pesca gialla di Volpedo al vino Derthona, le pere al Monleale e la pesca bianca di Volpedo con il rosato. Le confetture, preparate con oltre il 70% di frutta, oltre alle classiche includono varianti aromatizzate, come l’albicocca con fiore di lavanda e la pera con cacao e nocciole piemontesi. A questi si aggiunge anche una produzione limitata di composte a base di verdure dell’orto per i formaggi.
Progetti futuri
L’ultima sfida della Montemarzina è quella di “guardare indietro per andare avanti”, dice Marco. Stanno cercando di recuperare la Pesca Guidobono (o “Waddel”), la prima varietà coltivata a Volpedo. Si tratta di un frutto dalla polpa bianca e dal profumo intenso, molto delicato. “Un frutto dimenticato che grazie all’aiuto di Riccardo, mastro birraio di Montegioco, siamo riusciti a riscoprire. Recuperate le gemme delle piante, abbiamo piantato alcune piccole piantine accanto alla chiesetta del Paese e ora attendiamo con impazienza di raccogliere”.
Oggi La Montemarzina rappresenta un punto di riferimento per la valorizzazione della frutta del territorio. I suoi prodotti vengono richiesti da importanti ristoranti della zona, come la famiglia Alciati, l’Osteria Billis, Anna Ghisolfi, e non solo. L’azienda, inoltre, ha aperto un piccolo spaccio dove i visitatori possono acquistare direttamente le conserve e conoscere da vicino il processo produttivo. Organizzano anche visite guidate nei frutteti, con degustazioni e aperitivi al tramonto. “Abbiamo la fortuna di avere un frutto che identifica un territorio, come la Pesca di Volpedo. Stiamo cercando di valorizzarla per promuovere anche gli altri frutti, in una terra che da 110 anni è una piccola ma significativa culla di frutticoltura”.
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