Il presidente della Repubblica, in occasione dei suoi dieci anni al Quirinale, è stato lodato per le sue capacità personali. Ma c’è molto di più nel ruolo che ha esercitato in questo periodo. E questo grazie alla Carta
Una notevole maggioranza di commentatori ha, talvolta alquanto ipocritamente, tessuto le lodi di Sergio Mattarella in occasione dei dieci anni della sua presidenza. Giustamente e opportunamente. Nei commenti l’accento è stato posto in maniera quasi esclusiva sulle sue qualità personali, sulle sue capacità e competenze politiche e sulla sua esperienza nelle istituzioni. Tutto vero.
Equilibrato e sobrio, dotato di altissimo senso dello stato, che ha mostrato come parlamentare, ministro, giudice costituzionale, la presidenza della Repubblica costituisce il degno completamento della sua prestigiosa carriera politica. Non ne è, però, in nessun modo, il termine. Infatti, da presidente, Mattarella si è inevitabilmente trovato a svolgere un compito impegnativo affrontando sfide impreviste e imprevedibili.
Altre ne verranno. Affermare che le risposte del presidente Mattarella siano tutte attribuibili alle sue qualità personali, mi sembra riduttivo, fuorviante, al limite anche sbagliato, con qualche preoccupazione per il futuro (presidente) che verrà.
Né notaio, né arbitro
Nell’impossibilità di tratteggiare qui l’operato di tutti i presidenti della Repubblica che si sono finora susseguiti, mi limito a sottolineare che, seppure con non poche diversità di stile, Oscar Luigi Scalfaro, Giorgio Napolitano e, per l’appunto, Sergio Mattarella con il loro operato hanno tutti smentito le definizioni troppo prevalenti del ruolo attribuito al presidente della Repubblica italiana.
No, nessuno di loro è stato un notaio e neppure un arbitro. No, nessuno di loro ha mai svolto il compito di (ri)equilibratore. Tutt’altro. Con la propria visione politica e istituzionale, ciascuno è stato (e, ovviamente, Mattarella continua a esserlo) un protagonista. Eppure, tutti hanno saldamente operato nei limiti della Costituzione, magari con qualche piccola forzatura, sfruttandone la sua effettiva flessibilità.
Enigmatico e problematico è il ruolo del presidente che i costituenti, non potendo rifarsi a precedenti, finirono per delineare non del tutto intenzionalmente, certamente con fortuna, ma anche per virtù. Grande è lo spazio, se si preferisce, la discrezionalità di cui può godere il presidente in quelli che sono i due momenti/atti più importanti in una democrazia parlamentare: la formazione del governo e lo scioglimento del parlamento.
Le capacità nel presente
La formazione del governo comincia con la nomina del presidente del Consiglio ad opera del presidente della Repubblica e continua con la nomina dei ministri su proposta del capo del governo, e quindi anche del rigetto, avvenuto meno raramente di quel che si pensa, di una o più candidature.
Lo scioglimento del parlamento viene legittimamente esercitato dal presidente quando il parlamento non è più in grado di dare vita e sostenere un governo che sia operativo. Altrettanto legittimamente, può, deve essere negato qualora esista una maggioranza parlamentare capace di esprimere un governo per l’appunto operativo. Sono tutte fattispecie presentatesi con Scalfaro, Napolitano e Mattarella, in particolare nella legislatura 2018-2022, quando molti, compresa la leader dei Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, gridavano contro i governi non eletti popolo.
Esercitando con competenza e fermezza entrambi i suoi considerevoli poteri costituzionali Mattarella ha garantito quel che era possibile in termini di stabilità politica e istituzionale che riflettesse i mutevoli equilibri parlamentari.
Credo sia più che corretto dedurne che le regole costituzionali, una vera bussola anche per tutti coloro che occupano cariche di rilievo, meritano parte delle lodi rivolte al presidente. Pertanto, è più che logico e necessario interrogarsi sui rischi che comporterà una riforma che, pur mantenendo la lettera di quei due poteri, ne elimini la sostanza.
I rischi nel futuro
L’elezione popolare del presidente del Consiglio toglie al presidente della Repubblica il potere reale della sua nomina. Lo scioglimento del parlamento affidato alla richiesta del presidente del Consiglio eletto dal popolo e “premiato” con seggi aggiuntivi, oppure dal suo successore scelto dentro la stessa maggioranza, risulta sostanzialmente sottratto al presidente della Repubblica.
Non ci sarà un altro Mattarella, ma, se fosse approvato il disegno di legge costituzionale sul premierato, neppure un presidente che avesse le sue capacità personali e politiche sarebbe in grado di metterle all’opera per il buon funzionamento della Repubblica.
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