Metalli negli abissi: la corsa ai noduli polimetallici e il futuro del mare

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I noduli polimetallici dei fondali marini, specie quelli a grande profondità negli oceani, sono ricchi di metalli quali manganese, rame, cobalto e nickel, tutti metalli usatissimi per le batterie a ioni di litio i quali scarseggiano sulla terra.

Già  il 21 luglio 2023, su Il Sole 24 Ore Sissi Bellomo scriveva in maniera assai preveggente  un importante articolo relativo alle miniere sottomarine, dal titolo “Metalli green dagli abissi, ora si rischia il Far West”.

L’articolo accendeva un faro circa una corsa contro il tempo per trovare un accordo internazionale per evitare lo sfruttamento selvaggio dei fondali oceanici: terre rare, cobalto, rame, nickel a 4000 metri di profondità in quantità inestimabile, miliardi di tonnellate di risorse minerarie, più di quelle estratte in tutta la storia dell’umanità.

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Regolamentazione e sfide attuali

Pur in presenza, fino dal 1982 di un organismo dell’ONU denominato International Seabed Authority (ISA) con il mandato di regolare le attività denominate come deep sea mining, nei fondali marini che si trovano fuori dalle acque territoriali degli Stati (circa il 60% del totale), aree classificate come “patrimonio comune dell’umanità”, i risultati concreti sono da decenni prossimi allo zero.

La scoperta di “ossigeno scuro”

La situazione già compromessa per l’assenza di un quadro definito di regole e di un corrispondente quadro completo del possibile impatto a fronte di un ecosistema degli abissi delicato e misterioso, popolato da migliaia di micro organismi in gran parte non ancora classificati, si è aggravata per la recente scoperta scientifica di “Ossigeno scuro nei fondali profondi” (deep sea dark Oxygen).

Recenti ricerche scientifiche indicano che i noduli in questione potrebbero già essere di per sé una sorta di batteria, la quale potrebbe giocare un ruolo molto importante negli ecosistemi profondi. Un gruppo di ricercatori ha infatti rilevato più alti livelli di Ossigeno su quelle zone dei fondali marini dove sono presenti i noduli polimetallici. La loro deduzione è che nel buio dei fondali marini, in assenza della luce del sole per il processo di fotosintesi, qualcosa d’altro ha da essere responsabile per la generazione di questi livelli di ossigeno, da loro denominato “Ossigeno scuro” (dark Oxygen). Andrew K. Sweetman, della Scottish Association for Marine Science, ha formulato l’ipotesi che i noduli stessi possano produrre una corrente elettrica capace di dividere l’Ossigeno dall’acqua dell’oceano.

Ipotesi di geo-batteria e implicazioni

I ricercatori che studiano l’ipotesi di “geo-batteria” sostengono che tale circostanza sollevi questioni urgenti a proposito dell’impatto di attività di deep sea mining su tali ecosistemi così poco conosciuti. In particolare, alcuni ricercatori sostengono che molte ricerche vadano condotte su tali ecosistemi marini profondi prima che le industrie del mining aumentino la scala di raccolta dei noduli polimetallici.

A fronte di ciò, la domanda di tali metalli è destinata a crescere in corrispondenza alla diffusione di veicoli elettrici che necessitano di batterie per funzionare.

Il dibattito sugli impatti del deep sea mining

Coloro che sostengono il deep sea mining di noduli polimetallici portano come argomento il fatto che il land-based mining sia assai peggiore sotto diversi profili, con ben documentati abusi di diritti umani, distruzione di habitat terrestri naturali e inquinamento ambientale. Inoltre, il danno potenziale della rimozione dei noduli deve essere valutato rispetto all’urgenza di eliminare combustibili fossili per scongiurare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici.

Peraltro, pare sorprendente che tale recente ricerca, pubblicata nel luglio 2024 su Nature Geoscience, sia stata finanziata in larga parte proprio dalla Metals Company (Canada), la società di deep sea mining pronta a iniziare una campagna di raccolta di noduli polimetallici su larga scala, dopo avere operato nel 2022 una campagna pilota nella Clarion-Clipperton Zone nell’Oceano Pacifico. Questa società ha pure annunciato a inizio 2024 di avere prodotto il suo primo solfato di cobalto a partire da depositi raccolti della dimensione di una mattonella.

La Metals Company ha messo in discussione i risultati della ricerca, affermando che la rivista Nature Geoscience avrebbe pregiudizi contro il deep sea mining e che produrrà una confutazione completa per correggere i risultati scientifici fin qui pubblicati dai ricercatori.

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Risultati degli esperimenti e reazioni

Naturalmente i ricercatori hanno reagito e continuato gli esperimenti. Sweetman e la sua equipe hanno usato camere particolari per isolare l’acqua attorno a una piccola zona del fondale marino e hanno misurato il tasso di Ossigeno.

La fauna oceanica presente avrebbe tipicamente dovuto consumare l’Ossigeno in tali camere poste sul fondale, dando come risultato finale una diminuzione di Ossigeno nel tempo. Invece i ricercatori hanno consistentemente misurato un aumento netto di Ossigeno nel tempo in tali camere.

Prospettive di ulteriori ricerche

Un altro ricercatore di biologia marina della Scottish Association for Marine Science, Danielle de Jonge, sempre parte della medesima equipe, afferma che tali risultati erano del tutto inattesi, al punto da far sospettare errori diversi nella conduzione dell’esperimento da parte dei ricercatori stessi.

Ma i risultati via via ottenuti continuavano a indicare la stessa cosa: aumento di ossigeno. A questo punto, apparve logico indagare come sorgente per la produzione di Ossigeno i noduli stessi. Altri ricercatori di biologia marina, come Craig Smith, professore emerito dell’Università delle Hawaii a Manoa, sostiene di ritenere validi i risultati ottenuti e che sia necessario procedere con ricerche più approfondite. Sweetman e gli altri sono d’accordo con lui.

E’ interessante riportare un dato: la più alta tensione elettrica misurata da un singolo nodulo è pari a 0,95 V. Ma l’idrolisi dell’acqua marina richiede un minimo di 1,5 V. L’equipe di ricercatori ipotizza che più noduli fra loro raggruppati potrebbero generare tensione elettrica di valore sufficiente per produrre l’idrolisi. Questo dato però per ora non è del tutto confermato.

Tra le tante altre cose sconosciute c’è la quantità di Ossigeno che i noduli possono aggiungere all’ecosistema del fondale e come essi potrebbero propagarla in modo consistente attraverso il fondale oceanico.

Implicazioni ecologiche e industriali

La Metals Company impiega un veicolo subacqueo unmanned per aspirare noduli e sedimenti dai fondali, attraverso un tubo metallico segmentato fino a una nave sulla superficie del mare. Dopo avere estratto i noduli, l’equipaggio della nave rilascia i sedimenti nell’oceano a una profondità intermedia. Il risultato di questa operazione modifica il fondale dell’oceano e i ricercatori temono che ciò costituisca un impatto negativo sul corrispondente ecosistema. Sweetman e i suoi ipotizzano che a questo punto i noduli producano meno Ossigeno quando ricoperti dalla ricaduta dei sedimenti precedentemente estratti.

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Il fondale marino è l’habitat naturale degli anemoni e dei cetrioli di mare, così come di tante altre piccole forme di vita, come i tardigradi, piccoli crostacei, vermi ispidi denominati policheti, isopodi marini che sono lontani cugini dei porcellini di mare. Le specie viventi variano nella Clarion-Clipperton Zone nel Pacifico, che copre un’area di oltre 4,5 milioni di chilometri quadrati. I ricercatori non possono escludere la possibilità che l’estrazione di un numero anche limitato di noduli polimetallici possa portare all’estinzione di molte delle specie viventi sopra citate.

Riflessioni per il futuro

Smith, che ha guidato 7 missioni di ricerca nella Clarion-Clipperton Zone nel Pacifico ed è a favore di una moratoria sulle attività di deep sea mining afferma: “Vale veramente la pena di affrettare tale vasta attività industriale in uno degli habitat più incontaminati e ricchi di biodiversità dell’oceano?”.

Deep sea mining (probabilmente necessario) e biodiversità (da salvaguardare) vanno messi in equilibrio, prima di procedere, con una visione internazionale e almeno linee guida condivise, purtroppo attualmente non esistenti.



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