Sudan, migliaia di morti e 10 milioni di sfollati: «Diplomazia e aiuti inesistenti»

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di Michele Farina

I racconti dal campo di Medici senza Frontiere. Ci sono molti fronti da Khartoum al Darfur. Sono già 25 milioni i denutriti nella carneficina tra
i generali.

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Cinque colpi di mortaio sulle bancarelle della verdura: in un Paese dove 25 milioni di persone soffrono la fame, colpire un mercato dove i civili vanno a procurarsi una cipolla, come gli animali che si avventurano alle pozze durante la stagione secca, è un delitto con pochi paragoni. È successo lo scorso sabato al mercato Shabrein di Omdurman, la città gemella della capitale Khartoum. I predatori delle Forze di Supporto Rapido, che combattono contro gli ex amici dell’esercito regolare, aspettavano che la gente si radunasse per provocare una strage: 60 morti e 160 feriti tra le cipolle e poche foglie d’insalata. Un proiettile è esploso a pochi metri dall’ospedale Al Nao, dove non proprio casualmente si trovava anche Christopher Lockyear, segretario generale di Medici Senza Frontiere: «Ho visto decine di feriti ammassati in ogni angolo — ha raccontato — il disperato tentativo di salvarli, l’obitorio zeppo di cadaveri. Un altro esempio di questa guerra senza tregua contro i civili».

Questa guerra senza tregua, che va avanti dal 15 aprile 2023 con decine di migliaia di morti e 10 milioni di persone senza casa, è come se avvenisse nei deserti di Marte. «Manca la volontà politica di dare una risposta umanitaria, anche di fronte a livelli estremi di sofferenza in tutto il Paese — dice al Corriere Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi di Msf in Sudan —. Per una crisi di tale portata, è inimmaginabile e inaccettabile: questa negligenza internazionale è scioccante».




















































Fosse su Marte forse la seguiremmo con più interesse. Vittorio come molti colleghi è abituato ai coni d’ombra. Ci siamo conosciuti 14 anni fa ad Abyei, puntino sperduto e conteso alla frontiera con il Sud Sudan. I suoi racconti oggi riguardano un intero Paese dimenticato, il terzo dell’Africa per estensione, alle prese con «la più grave crisi di sfollati al mondo: una persona su 5 costretta a fuggire per la guerra». Lì Msf opera in 11 dei 18 Stati, in aree controllate sia dalle Forze armate sudanesi che dalle Forze di supporto rapido: 1.500 operatori umanitari, di cui un centinaio internazionali e diversi italiani. Le loro équipe lavorano o danno supporto in 21 ospedali e 12 cliniche. Le linee del fronte sono molteplici e molto attive. «A Khartoum si combatte di quartiere in quartiere. El Fashir in Darfur è sotto assedio da nove mesi. A dicembre hanno cominciato a bombardare sui campi di Zam Zam e in altre zone: Jazira e Sennar, gli Stati-granaio del Paese». E dove non cadono le bombe, le persone muoiono lo stesso, soprattutto i bambini. Muoiono per i danni collaterali del conflitto, come la malnutrizione. «A noi non piace paragonare le crisi, ma si può dire che non c’è Paese al mondo dove ci sia più gente a rischio del Sudan».

La giunta militare con base a Port Sudan bombarda dal cielo. E nelle ultime settimane avanza a Khartoum e in altre zone. I miliziani reagiscono con ferocia. Attacchi indiscriminati da ambo le parti.

Non ci sono dazi che impedirebbero agli aiuti di passare il confine del Chad o entrare dal Mar Rosso. Ci sono lungaggini e infiniti check-point: un convoglio di Msf ci ha messo 55 giorni per arrivare in Darfur, quando prima bastava una settimana. Ma manca la volontà politica. Trent’anni fa, dopo una carneficina al mercato di Sarajevo, i raid della Nato contro gli assedianti serbi portarono ai primi negoziati. Dopo la mattanza di sabato al mercato di Omdurman, non si è alzato un solo alito di vento diplomatico. E una tregua tra cattivi sembra un lusso, una cena regale.

Per milioni di sudanesi il sogno è un giorno di pace, cibo per i figli, farmaci per non morire.

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3 febbraio 2025 ( modifica il 3 febbraio 2025 | 23:33)

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