Auto, la geopolitica della crisi: le fabbriche di Italia, Germania e Francia “svuotate” dall’Est Europa. E i produttori ora mirano all’Africa

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Lo spostamento da ovest a est prima. E ora fuori dall’Europa, con numeri sempre maggiori nei Paesi del Nord Africa mentre i cinesi si preparano a sbarcare negli Stati del Vecchio continente creando il cortocircuito definitivo. La ciliegina sulla tempesta perfetta che sta investendo i costruttori di auto è la tenaglia degli obiettivi climatici previsti per il 2035 e la minaccia di dazi sempre più imminenti che incombe dalla Casa Bianca. Così, oggi, la manifestazione di IndustriAll Europe a Bruxelles abbraccia tutta l’industria europea ma urla, innanzitutto, il problema del settore dell’automotive.

Lo spostamento verso est (e ora si va all’esterno)
Al di là dei problemi più recenti ci sono però i dati di lungo periodo – aggiornati al 2023 – a dimostrare come l’Europa, nonostante un mercato interno che fatica eppure in qualche maniera progredisce, vive una crisi profonda, soprattutto nella triade storica di Paesi costruttori. Secondo i dati Oica elaborati dalla Fiom-Cgil, Italia, Germania e Francia sono gli Stati a soffrire maggiormente, mentre nell’ultimo quarto di secolo sono cresciuti a dismisura Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria. Ora però ai confini dell’Europa si ingrossano sempre di più le produzioni della Turchia e, soprattutto, si stanno creando una spazio importante Marocco e Algeria. Ma qual è la geografia del peso delle 104 fabbriche di veicoli installate in Europa?

Una storia sbiadita
La specificità italiana – strangolata dall’unico costruttore presente, Stellantis – sta facendo emergere tutti i suoi problemi. Le scelte degli eredi di Gianni Agnelli si riflettono sulla produzione interna e lasciano armi spuntate al settore per bilanciarle. I freddi numeri raccontano molto: nel 1999 si costruivano 1.410.459 unità diventate 283.090 auto nel 2024, l’anno più nero degli ultimi settanta, alle quali vanno aggiunti 192mila veicoli commerciali. Un tracollo. Che ha eguali solo in Francia, dove tra l’ultimo anno dello scorso millennio e il 2023 la mole è arretrata da 2,78 a 1,02 milioni di auto assemblate nelle 12 fabbriche attualmente in marcia. Non ride neanche la Germania, nonostante mantenga ampiamente la propria leadership nel continente con 4,1 milioni di vetture sfornate. In 24 anni ha perso 1,2 milioni di unità (erano 5,3 milioni nel 1999) e, quando i dati tedeschi saranno aggiornati al 2024, la forbice si allargherà ancora per effetto delle difficoltà del colosso Volkswagen. Se la passa male anche il Regno Unito, arretrato da 1,8 a poco meno di un milione di auto.

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La resistenza spagnola
A dimostrare come la crisi non sia dettata solo dal mercato ma anche – se non soprattutto – da fattori legati alle politiche interne c’è il caso della Spagna. Una vera e propria resistenza, alla faccia della quasi scomparsa del costruttore di casa, Seat. Nel 1999 qui si producevano 2,28 milioni di auto. Nel 2023 sono stati 1,9 e – dati Inovev – quel dato era già quasi raggiunto nei primi nove mesi dello scorso anno. Seat vale ormai meno di mezzo milione di unità all’anno, il resto è frutto della capacità di attrarre le case costruttrici europee e asiatiche. In Spagna si producono infatti auto di Stellantis (Peugeot, Citroën e Opel), Audi, Renault e Nissan, Ford, Mercedes-Benz e Toyota. La diversificazione ha insomma permesso al Paese di galleggiare nelle difficoltà del marchio “domestico”, diventando il secondo Paese costruttore europeo.

Le grandi esplosioni
È l’unico, tra l’altro, a non aver pagato a caro prezzo l’esplosione dei Paesi dell’Est Europa, artefici di un “boom” nel corso dell’ultimo quarto di secolo avendo attratto gli storici marchi europei con un basso costo del lavoro, ma ora anche loro alle prese con le prime difficoltà. La Slovacchia è passata, sempre tra il 1999 e il 2023, da 126mila a oltre un milione di vetture principalmente grazie allo stabilimento di Volkswagen di Bratislava (Audi, Porsche, Seat, Skoda e Volkswagen) e alla produzione a Trnava di auto a marchio Peugeot, Citroën, Land Rover e Kia. La Repubblica Ceca è arrivata a 1,4 milioni (da 348mila) producendo Skoda, Seat, Toyota e Hyundai. Crescono anche l’Ungheria passata da 125mila a 441mila principalmente grazie a Suzuki, Audi e Mercedes-Benz. Una crescita, quella del Paese guidato da Viktor Orban, destinata a diventare impetuosa nei prossimi anni con l’apertura della prima fabbrica europea del costruttore cinese Byd. Bene anche la Romania (Ford, Dacia, Renault) e la Polonia, dove Stellantis continua a garantire grandi numeri con la fabbrica strategica di Tychy.

I confini premono
Ai confini dell’Europa preme la Turchia, che nel 2023 è andata vicina a 1 milione di unità quando nel 1999 si fermava ad appena 222mila. Ma soprattutto stanno emergendo due Paesi nordafricani, il Marocco e l’Algeria. Secondo un report di Fitch Solutions degli scorsi mesi, il primo era destinato a chiudere il 2024 con 613mila auto sfornate grazie alla marcia degli impianti Renault-Dacia di Casablanca e Stellantis a Kenitra dove si assemblano Peugeot, Citroën, Fiat e Opel. Nella vicina Algeria, Fiat ha recentemente aperto uno stabilimento a Tafraoui che ha chiuso il suo primo anno di attività con 18mila veicoli prodotti tra la 500 e il Doblò. Il 2025 vedrà la costruzione di 60mila auto che diventeranno 90mila nel 2026, dicono le previsioni dell’azienda. Bruxelles da qui è lontanissima, c’è da augurarsi che i buoi non siano già scappati e ci sia il tempo per intervenire. A dicembre, uno studio di Anfia con Alix Partners stimava in via prudenziale, tra crisi aziendali e riduzione strutturale, l’anticipo al 2025 degli effetti previsti nel 2030 della sola transizione elettrica. Tradotto in numeri: solo in Italia, nei prossimi mesi, sarebbero a rischio 38mila posti di lavoro di cui 26mila da riduzione strutturale e 12mila da crisi aziendali.



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