DeepSeek e la corsa all’AI: quale ruolo dell’UE di fronte alla competizione USA-Cina?

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Nelle ultime settimane l’annuncio dell’introduzione di un nuovo chatbot con intelligenza artificiale da parte della start-up cinese DeepSeek ha dominato la scena dell’informazione e fatto tremare le fondamenta dei giganti della tecnologia statunitense, evidenziando come la “corsa all’intelligenza artificiale” sia ormai una dei terreni di competizione strategica globale. Di fronte al braccio di ferro intercontinentale USA-Cina in campo tecnologico, dove si situa e quale ruolo può giocare l’Unione Europea?

Il 27 gennaio scorso i mercati finanziari statunitensi hanno subito un duro colpo, con il crollo delle azioni delle maggiori società nel campo dell’intelligenza artificiale come Meta, OpenAI e Nvidia, quest’ultima precipitata di circa il 16,9% corrispondenti a circa 600 miliardi di dollari di perdita di valore di mercato. Questa dinamica di sfiducia e rivalutazione dei leader dell’AI avanzata è dovuta alla presentazione di un documento di ricerca divulgato dagli sviluppatori del nuovo sistema chatbot di DeepSeek che descrive dettagliatamente la tecnologia impiegata. In esso è chiaro come l’innovazione introdotta dalla startup tramite il nuovo sistema presentato il mese scorso abbia una portata rilevante nel campo dell’AI, tanto da venire definita come il “momento Sputnik” dell’intelligenza artificiale. 

Cos’ha di speciale Deep Seek?

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Start-up cinese fondata nel 2023 e sostenuta dall’hedge fund High-Flyer di proprietà dello stesso fondatore Liang Wenfeng, ha presentato un modello linguistico di “ragionamento” chiamato DeepSeek-V3 e molto simile per funzionalità al conosciuto ChatGPT. Questi modelli sono progettati per produrre risposte in maniera incrementale a richieste di codifica complesse, con finestre di contesto ampie fino a 671 mila parametri che permettono la comprensione ed elaborazione di testi e contenuti più lunghi e complessi. Ciò che distingue il neo-introdotto modello cinese è però la quantità di risorse significativamente inferiore di cui necessita per fornire i risultati: se finora le aziende guida hanno addestrato i modelli di chatbot con quantità di chip che sfiorano i 16mila, DeepSeek ha affermato di averne utilizzati solamente 2mila e, peraltro, acquistati dal produttore statunitense Nvidia, una delle aziende che ha più sofferto del crollo azionario causato dall’introduzione del nuovo modello. 

Alla base del successo di questo sistema vi sarebbe la capacità di incrementare l’efficienza e massimizzare le risorse nell’analisi dei dati, utilizzando meno chip e meno potenza di calcolo, spendendo così circa 6 milioni di dollari, 10 volte meno di ciò che Meta ha investito per il suo ultimo modello Llama. La strategia impiegata dalla start-up è nota come “Mixture of Experts” e fu introdotta nel 1991, ben prima che il concetto di deep learning si diffondesse. Il MoE si basa sull’uso di ingenti quantità di dati per l’addestramento di più modelli, ognuno dei quali, appunto definito come “esperto”, si specializza su una sezione dello spazio di input permettendo di circoscrivere l’analisi e la previsione allo stesso. Le previsioni vengono poi combinate in un output finale, che risulta come unitario, rendendo il comportamento del sistema come un singolo modello. Una simile tecnica consente perciò di ridurre le risorse e le tempistiche di elaborazione e DeepSeek l’ha implementata in maniera sorprendente, garantendo efficienza ed efficacia degli output e sollevando dubbi circa il vantaggio statunitense nel campo dell’IA. 

Cina e Stati Uniti tra originalità e imitazione 

Lo stupore che l’introduzione di DeepSeek ha suscitato deriva, come anche affermato dallo stesso fondatore, dall’abitudine nel vedere la Cina come potenza imitatrice e inseguitrice, protagonista delle dinamiche di catch-up che, ormai, potrebbero risultare in una narrazione obsoleta. La dirompente ed inaspettata novità rappresentata dal modello di Liang rende questa convinzione più fragile e introduce l’immagine di una Cina allineata e innovatrice, meno dipendente dall’avanzamento tecnologico americano come accade invece per altri settori. Già Biden, consapevole delle nuove sfide per la corsa all’intelligenza artificiale, aveva ridotto la quantità di chip esportabili e la neo-insediata amministrazione Trump sembra voler mantenere la linea, promettendo parallelamente di accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e limitarne le barriere, come previsto da uno degli Executive Orders emanati lo scorso 23 gennaio.

Gli esperti sembrano, ad ogni modo, ridimensionare la portata “rivoluzionaria” di DeepSeek nel settore, sostenendo che le restrizioni imposte recentemente da Washington impiegheranno tempo a manifestare i loro effetti, ma avranno impatto sulle capacità cinesi di sviluppare modelli innovativi in futuro. D’altro canto, però, potrebbero essere proprio gli effetti indesiderati delle politiche restrittive ad aver spinto Pechino a trovare soluzioni inedite a partire da strumenti open source. Ci si aspetta, inoltre, un inasprimento di queste misure volte a limitare la “distillazione della conoscenza” nel campo dell’IA in seguito alla preoccupazione di OpenAI circa il presunto sfruttamento del proprio modello da parte di rivali, tra cui la cinese DeepSeek, per emularne le prestazioni. Il caso analizzato dimostra come la ormai diffusa pratica dell’open source e la condivisione dei codici sottostanti i modelli con altre aziende a scopo di sviluppo non garantisca più il monopolio e il controllo dell’innovazione da parte dei colossi tecnologici, bensì è sfruttata sapientemente da nuovi attori capaci di inserirsi in modo creativo nell’ecosistema dell’IA. 

Quale ruolo per l’Unione Europea?

Il fenomeno DeepSeek non è certamente passato inosservato nel contesto europeo ed anzi esso costituisce un campanello d’allarme per gli innovatori dell’Unione. Il panorama europeo sembra però essere ben lontano dal competere con le realtà cinese e statunitense: la start-up di proprietà francese Mistral AI, unico competitor su scala globale, aveva espresso il proprio timore e disappunto circa la scarsa presenza di data center necessari all’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale per competere sul mercato globale e rispondere alla domanda europea. In linea con “l’accusa” di Mistral anche la Corte dei Conti ha ammonito l’UE circa la necessità di investire più risorse in una relazione pubblicata lo scorso maggio. 

Nonostante l’approvazione dell’AI Act, regolamento dell’Unione Europea per un’AI sostenibile, affidabile e efficiente entrato in vigore l’anno scorso ma la cui implementazione partirà a febbraio 2025, la Commissione arranca nel coordinarsi coi 27 in materia di investimenti e sostegno allo sviluppo AI. Basti considerare che il divario tra USA e UE in termini di investimenti è di circa 10 miliardi di euro, in aumento negli ultimi anni. Se l’UE vuole inserirsi e gareggiare nella corsa all’intelligenza artificiale non solo deve muoversi in modo coerente e unito e accelerare il passo, ma necessita di sfruttare le proprie e uniche capacità per trovare soluzioni innovative senza necessariamente “diventare più grandi” ed aumentare la portata e la grandezza dei progetti e degli investimenti in maniera indiscriminata. 

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Ciò significa, come in parte il nuovo regolamento AI mira a ottenere, concentrarsi sulla promozione di un’intelligenza artificiale sostenibile, responsabile, giusta, affidabile e coerente coi principi europei. In un’ottica di generale preoccupazione circa l’integrità di dati sensibili e il rispetto di valori fondanti della comunità europea, nonché riguardo le strategie di censura e controllo delle informazioni ad opera dell’emergente realtà cinese, il fenomeno DeepSeek potrebbe rappresentare un’ importante opportunità per l’UE per sviluppare soluzioni che mettano al primo posto la qualità del servizio, il rispetto della privacy e la sicurezza dei dati, sfruttando al contempo la grande ondata di fiducia civile nei confronti delle tecnologie AI e le restrizioni applicate a sviluppatori esterni, che gioverebbero ad un mercato europeo. Il successo di questa opportunità va però misurato con l’imperativo per l’UE di incrementare investimenti e sforzi di governance per allineare gli approcci nazionali e promuovere lo sviluppo, garantendo in prima istanza che l’orientamento alla regolamentazione non soppianti le dinamiche di innovazione.  





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