ma tu sei ‘furbo’ oppure ‘fesso’? Risponde Gregorio Scribano.

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L’Italia è divisa in due categorie: i “fessi”, che pagano le tasse, e i “furbi”, che le eludono e beneficiano dei servizi sociali senza contribuirvi. I “fessi” sostengono interamente il sistema, ma ricevono sempre meno in cambio, mentre i “furbi” si avvantaggiano di agevolazioni grazie al basso reddito dichiarato. La classe politica è vista come parte integrante dei “furbi”, agendo per tutelare i propri privilegi e favorire l’evasione fiscale. Questa situazione esaspera i “fessi”, che vedono aumentare i costi dei servizi essenziali e ridursi le prospettive pensionistiche. Di fronte a questa ingiustizia, molti cercano di evadere, trasferirsi all’estero o entrare nel “mondo dei furbi”. E, comunque, senza i “fessi” a sostenere il sistema, anche i “furbi” saranno destinati al collasso.

Ma perché tanto accanimento, tanto coinvolgimento psicologico? E soprattutto: è così anche nel resto d’Europa? Lo abbiamo chiesto ad un opinionista e commentatore politico di lunga esperienza, il dottor Gregorio Scribano.*

L’Italia è divisa in due categorie: i “fessi” e i “furbi”. Cosa ne pensa di questa contrapposizione, dottor Scribano?

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La contrapposizione è il risultato di un sistema fiscale percepito come iniquo. I “fessi” si sentono oppressi da tasse elevate e vedono i “furbi” approfittare delle falle del sistema per trarne vantaggio, spesso senza conseguenze. Questo alimenta una guerra sociale, poiché chi paga tutto è spesso spinto al limite, mentre chi evade prospera nell’illegalità o nella zona grigia dell’elusione.

Perché gli Italiani hanno un rapporto così difficile con le tasse?

Perché spesso percepiscono uno squilibrio tra quanto pagano e i servizi che ricevono. L’Italiano medio ha un bisogno quasi “tangibile” di vedere il ritorno del suo contributo fiscale in miglioramenti reali: ospedali efficienti, strade curate, burocrazia snella. Quando questo non avviene, si sente tradito e, a lungo andare, si scoraggia. Non è tanto una questione culturale quanto pratica: se il sistema non dà fiducia, il cittadino tende a sentirsi autorizzato a non rispettarlo.

La situazione è davvero così diversa rispetto al resto d’Europa?

Non esattamente. Anche altrove ci sono tensioni legate al fisco, ma la differenza principale sta nel livello di fiducia nei confronti delle istituzioni. In molti Paesi europei, la gestione delle risorse pubbliche è più trasparente, e i cittadini si sentono più coinvolti nel processo decisionale. In Italia, invece, prevale la sensazione che le tasse servano più a mantenere privilegi e inefficienze che a migliorare la vita della collettività.

Che ruolo ha la classe politica in questa situazione?

Un ruolo centrale. Spesso la politica è percepita come parte del problema, non della soluzione. Corruzione, sprechi e condoni alimentano l’idea che i “furbi” siano non solo tollerati, ma addirittura favoriti. Questo mina ulteriormente il patto sociale e spinge i cittadini a considerare l’evasione come una sorta di autodifesa.

Come si può migliorare il rapporto tra cittadini e fisco?

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Servono due cose fondamentali: trasparenza e dialogo. Da un lato, lo Stato deve dimostrare con i fatti come vengono spesi i soldi dei contribuenti, puntando su risultati tangibili. Dall’altro, bisogna instaurare un rapporto più umano con il cittadino, semplificando gli adempimenti fiscali e favorendo il confronto diretto. Recentemente l’Agenzia delle Entrate ha fatto passi avanti in questa direzione, ma ci vuole tempo per recuperare la fiducia.

Cosa pensa della richiesta di pene severe per gli evasori fiscali?

La sanzione penale ha senso per i grandi evasori, ma non deve diventare una scure indiscriminata. Chi evade per necessità o per errori burocratici rischia di essere trattato ingiustamente. Bisogna distinguere tra chi froda per arricchirsi e chi, sopraffatto dalla crisi, non riesce a far fronte ai propri obblighi. Altrimenti, si rischia di aumentare la percezione di uno Stato punitivo e distante.

Molti “furbi” denunciano di essere stati rovinati dal fisco. È una contraddizione?

Spesso chi compie gesti estremi non è il “furbo”, ma il “fesso” che non ce la fa più. Il piccolo imprenditore che ha sempre pagato tutto e si ritrova sommerso da cartelle esattoriali prova un senso di impotenza. È qui che lo Stato deve intervenire con maggiore empatia, offrendo soluzioni concrete e accessibili.

Le tasse possono essere davvero “bellissime”, come diceva l’ex ministro Padoa Schioppa?

Se intese come strumento di solidarietà e progresso collettivo, sì. Ma questo ideale si concretizza solo se esiste un patto fiscale equo e trasparente, dove ciascuno fa la propria parte e lo Stato restituisce servizi adeguati. Altrimenti, rimane un’utopia.

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In conclusione, come si può superare questa eterna guerra tra “fessi” e “furbi”?

Bisogna ricostruire il senso di comunità, basato sulla giustizia e sulla responsabilità condivisa. Lo Stato deve dimostrare di essere un alleato dei cittadini, non un nemico. Eliminare la moneta e passare ai pagamenti tracciabili. Solo così i “fessi” smetteranno di sentirsi sfruttati, e i “furbi” non avranno più scuse per non contribuire.





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