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Fino al 1 marzo 2025, la Galleria Mucciaccia accoglie l’arte visionaria di Jan Fabre, uno dei più grandi innovatori della scena contemporanea. Una mostra che, per la prima volta in Italia, raccoglie i due più recenti capitoli della sua produzione artistica

Dal 31 gennaio al 1° marzo 2025, Roma ospita l’arte visionaria di Jan Fabre, uno dei più grandi innovatori della scena contemporanea. La Galleria Mucciaccia sarà il palcoscenico di una mostra che, per la prima volta in Italia, raccoglie i due più recenti capitoli della sua produzione artistica: Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) e Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre).

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Il linguaggio artistico di Jan Fabre

Artista poliedrico, capace di fondere teatro, arte visiva, letteratura e filosofia in un universo creativo unico, Fabre esplora l’essenza del pensiero umano, la fragilità della vita e il potere trasformativo dell’arte. Il suo lavoro dialoga con la scienza e la spiritualità, mettendo in scena la performatività dei materiali per raccontare temi esistenziali e simbolici.

«La bellezza ha un potere incredibile. Togliete l’arte e la bellezza da una società, e la società si ucciderà da sola. Una società sana ha bisogno di molti artisti e di molta bellezza.» – Jan Fabre –

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La mostra propone un percorso immersivo e innovativo, dove Fabre reinventa antiche metafore per affrontare questioni contemporanee. Attraverso l’uso di materiali sorprendenti, come il marmo di Carrara, il Vantablack e i colori a matita e tempera, l’artista riesce a trasportare il pubblico in una dimensione di riflessione profonda e di scoperta.

Songs of the Canaries: una poetica della fragilità

Il primo capitolo della mostra, Songs of the Canaries, è un omaggio alla fragilità della vita e alla ricerca del cielo. Fabre traduce questi concetti in un’installazione che combina sculture in marmo di Carrara e disegni su Vantablack, dando vita a una narrazione visiva di grande impatto.

Tra le opere più emblematiche troviamo canarini appollaiati su cervelli umani, simboli della contemplazione e della connessione tra pensiero e libertà. Titoli evocativi come Thinking Outside the Cage e Sharing Secrets About the Neurons guidano il visitatore in un viaggio tra scienza e poesia.

L’opera centrale di questa sezione è la monumentale The Man Who Measures His Own Planet (2024): una figura che si erge su una scala, con il cranio aperto a rivelare una “terra incognita”, simbolo della sete di conoscenza dell’uomo. La scultura è dedicata a Emiel Fabre, fratello dell’artista scomparso prematuramente, e a Robert Stroud, il leggendario “Birdman of Alcatraz”, che trasformò la sua prigionia in un’opportunità di studio sugli uccelli.

Songs of the Gypsies: l’arte come ritmo vitale

La seconda parte della mostra, Songs of the Gypsies, intreccia musica, tradizione e memoria personale. Qui, Fabre rende omaggio a Django Reinhardt, geniale chitarrista gypsy jazz, e a Django Gennaro Fabre, suo figlio primogenito.

Al centro di questa installazione troviamo tre grandi sculture di marmo di Carrara raffiguranti un neonato, il figlio dell’artista all’età di cinque mesi e mezzo, rappresentato con dimensioni adulte. Queste opere diventano metafore della crescita, dell’arte e della creazione, con partiture jazz incise nel marmo e disegni dai colori vivaci che evocano l’improvvisazione musicale.

La musica è il filo conduttore di questa narrazione: Fabre trasforma il gypsy jazz in un linguaggio visivo, mentre i canarini della prima sezione diventano simboli di canto e libertà, messaggeri tra il terreno e il celeste.

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Jan Fabre, un artista tra mito e innovazione

Nato ad Anversa nel 1958, Jan Fabre è una figura di spicco della scena artistica internazionale. Il suo lavoro ha ottenuto riconoscimenti in istituzioni di prestigio, dal Museo del Louvre al Festival di Avignone, fino all’Hermitage di San Pietroburgo.

«Quando ero giovane e facevo le mie prime mostre nei musei di Amsterdam o di Gand, dovevi stare appeso come un superuomo. Ero nervoso. Ero nel panico, insomma. – Racconta Jan Fabre – Ora ho fatto così tante mostre nei musei che sono diventato anche libero e liberato. Ci vuole una vita per diventare ‘un giovane artista’. Quando sei giovane, sei molto più ambizioso. E ti impegni. Io ho una sola ambizione: fare un buon lavoro.»

La mostra romana, curata da Dimitri Ozerkov, con contributi di Giacinto Di Pietrantonio, Melania Rossi e Floriana Conte, sarà accompagnata da un catalogo ricco di analisi critiche, offrendo uno sguardo approfondito sull’arte di Fabre e sulla sua capacità di trasformare la fragilità umana in una visione artistica senza confini.

Un’occasione imperdibile per scoprire uno degli artisti più audaci e visionari del nostro tempo.

Crediti foto@Valentina Sensi via Ufficio stampa HF4

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