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Spunta un nuovo reato a carico del ministro della Giustizia Carlo Nordio. L’ex magistrato è stato iscritto nel registro degli indagati in relazione al caso Almasri per favoreggiamento, come la premier Giorgia Meloni, il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario a palazzo Chigi Alfredo Mantovano, ma non per peculato, la seconda ipotesi avanzata nei confronti degli altri esponenti di governo.
Al guardasigilli, invece, è stata contestata l’omissione di atti d’ufficio. A rivelarlo è stato lo stesso Nordio durante l’audizione parlamentare di mercoledì, che l’ha visto attaccare la Corte penale internazionale accusandola di aver emesso nei confronti del generale libico – poi riaccompagnato in patria su un volo di Stato – un mandato d’arresto contraddittorio e “radicalmente nullo”.
“Il 28 gennaio alle ore 16:50 è stata consegnata al sottoscritto un’informativa ai sensi dell’articolo 335 del Codice di procedura penale dalla quale si evince che l’onorevole Carlo Nordio è indagato per i reati di favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio”, ha spiegato. Poi ha cercato di ironizzare sulle modalità di stesura dell’atto ricevuto dalla procura di Roma: “La qualità di indagato iscritta nel registro citato è sottolineata in grassetto nell’informazione di garanzia: l’ho vista con una certa tenerezza perché un pubblico ministero sa benissimo che se sei nel registro del 335 sei persona indagata, non è iscritto all’associazione dei bocciofili“.
Nordio non si è soffermato sulla tipologia delle accuse, ma l’omissione di atti d’ufficio non era contenuta nella denuncia presentata dall‘ex parlamentare Luigi Li Gotti in base alla quale il procuratore Francesco Lo Voi ha iscritto i quattro membri del governo nel registro degli indagati e trasmesso gli atti al Tribunale dei ministri. Lo Voi ha contestato dunque al guardasigilli un reato diverso. A spiegare perché per Nordio doveva essere contestata questa fattispecie era stata l’Associazione nazionale magistrati: “Almasri è stato liberato per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale“. Il sindacato delle toghe sottolineava come il libico non fosse stato liberato dai magistrati ma dalla stasi del guardasigilli, che non ne aveva chiesto la custodia cautelare come richiesto dalla Corte penale internazionale. Da qui la contestazione di omissione di atti d’ufficio: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”, recita l’articolo 328 del Codice Penale. La procura di Roma, in ogni caso, ha escluso per Nordio l’ipotesi di peculato, contenuta nell’esposto di Li Gotti perché il torturatore libico è stato riportato in patria su un Falcon 900 dei servizi a spese dei contribuenti.
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