Ex Ilva, scontro con Arpa e Ispra sulle emissioni di cianuro. L’azienda ricorre al Tar

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I commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria si schierano contro ministero dell’Ambiente, Ispra e Arpa. Impugnano al Tar di Lecce la diffida che lo stesso ministero ha fatto il 19 dicembre – come Quotidiano ha già ampiamente riportato – nei confronti dell’ex Ilva poiché dai controlli è risultato che sono stati superati, in alcuni scarichi della fabbrica, i valori massimi di fenoli totali e cianuri ed è stata riscontrata una quantità elevata di azoto ammoniacale.

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È stata l’Ispra a proporre al ministero la diffida, come già accaduto nei mesi scorsi per l’ossido di azoto dal camino E317. «Le diffide non sono state impugnate da AdI al Tar, mentre prima questo accadeva con una certa frequenza» aveva detto il direttore del Dipartimento Arpa di Taranto, Vittorio Esposito, nell’audizione in Regione Puglia del 14 gennaio proprio sugli sforamenti emissivi registrati. E invece il ricorso al Tribunale amministrativo è partito la sera del 28 gennaio, firmato dagli avvocati Marco Annoni e Maria Luisa Torchia e redatto insieme agli avvocati Gabriele Sabato e Valerio Turchini. Al Tar di Lecce, AdI chiede l’annullamento di cinque atti: la diffida ministeriale, dove si contestavano le maggiori emissioni e si davano all’azienda 30 giorni per rispondere, e le altre note dello stesso ministero, Ispra e Arpa Puglia.

Un nuovo conflitto

Si apre quindi un nuovo conflitto dopo che i commissari di AdI al loro esordio, in segno di clima rinnovato e di dialogo ripreso con le istituzioni e lo Stato, avevano ritirato i diversi, precedenti esposti della gestione Lucia Morselli-ArcelorMittal sempre al Tar. Intanto, il ministero del Lavoro ha convocato le parti interessate per le 11 del 18 febbraio per avviare l’esame congiunto sulla richiesta di rinnovo della cassa integrazione straordinaria. L’azienda l’ha avanzata a partire dall’1 marzo per un numero massimo di 3.420 dipendenti di cui 2.955 a Taranto.

Tornando alla diffida, AdI, riferendosi ai valori emissivi, la ritiene «illegittima poiché i VLE menzionati da Arpa Puglia non sono contemplati nell’Aia». Citando il decreto legislativo del 2006, numero 152, norma citata pure da Ispra e ministero nel loro carteggio, i legali di AdI osservano che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente…», ma, sostiene l’azienda, «la norma trova applicazione nei soli casi in cui vi sia stata una violazione delle prescrizioni Aia, e qualora ciò sia avvenuto, solo nei casi in cui le violazioni abbiano riguardato scarichi recapitanti, alternativamente, in “risorse idriche destinate al consumo umano” o “in corpi idrici posti nelle aree protette”. Nel caso di specie nessuna delle predette condizioni può dirsi avverata».

AdI, infatti, «non ha in alcun modo violato il Dpcm 29/09/2017, come dimostrato dalle analisi eseguite da S.C.A., laboratorio terzo, accreditato, individuato da AdI sulla base delle metodiche previste dal PMC” (Piano Monitoraggio e Controllo)».

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Inoltre, per l’ex Ilva, gli scarichi controllati, «attraverso la rete fognaria di stabilimento, confluiscono attraverso il punto di scarico SF1 nel mare quale corpo ricettore. Il mare non rappresenta però un’area “di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano”, né risulta posto in un’area protetta. Di qui l’evidente inapplicabilità della disposizione».

AdI poi sostiene che per i «superamenti» relativi ai fenoli, «asseriti e non provati», le sanzioni indicate da Ispra si rivelano di «evidente inapplicabilità» e che la norma del decreto del 2006 «non può trovare applicazione nei confronti di AdI in quanto non si sono in ogni caso avverate le condizioni». Contestazioni vengono poi mosse sia per i cianuri («il valore limite 0,4 si riferisce al parametro cianuri liberi» e la diffida riguarda i cianuri, che sono diversi dai cianuri liberi da controllare), che per l’azoto ammoniacale, dove «l’accertamento è erroneo».

Infine, nell’esposto si dice che Ispra «ha commesso numerosi errori in relazione agli accertamenti svolti per il parametro fenoli totali», che «le metodologie utilizzate da Ispra non risultano comunque previste da qualsivoglia disposizione normativa applicabile al caso di specie» e che Arpa per i fenoli ha fatto ricorso «illegittimo» ad «una metodologia di analisi diversa da quella prescritta dalla normativa di settore».

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