«Sul caso Almasri non c’entra nulla la Realpolitik. Meloni ha dato indicazioni per accompagnare a casa un criminale, con tutti gli onori del caso. Le migrazioni, se gestite, sono una ricchezza, ma per questo esecutivo sono solo un dossier su cui fare affari e lucrare voti»
Toni Ricciardi, Vicepresidente del gruppo Pd alla Camera e membro della Direzione nazionale Dem. Per chi, come lei, da parlamentare e da studioso, segue da tempo, in prima persona, la tragedia dei migranti, cosa racconta la vicenda Almasri?
Racconta che la migrazione, di oggi e di ieri, genera interessi economici, affari e che purtroppo la storia della migrazione non ci ha insegnato niente. La migrazione, già tra la fine dell’Ottocento e fino alla metà degli anni Settanta del Novecento, ha generato economia. All’epoca e per un secolo noi italiani abbiamo vissuto, a vario titolo, vicende che ricordano quelle cui assistiamo quotidianamente. Venendo alla vicenda Almasri, mi sembra del tutto evidente che siamo dinanzi ad un approccio che, ancora una volta, ci viene insegnato dalla storia. Non c’entra nulla la Realpolitik, fosse stata questa, il governo si sarebbe dovuto comportare in maniera del tutto diversa. I fatti sono evidenti: siamo dinanzi ad un criminale riconosciuto internazionalmente come tale, il governo lo sapeva. Il governo è nudo dinanzi ai fatti: Giorgia Meloni ha dato indicazioni per accompagnare a casa un criminale, con tutti gli onori del caso, e sottoposto i suoi ministri ad una farsa in aula. Sembra di rivivere la stagione di Gheddafi che per decenni apriva e chiudeva i rubinetti della migrazione tenendo sotto ricatto l’Italia. Dal punto di vista narrativo, niente che la storia non ci avrebbe dovuto insegnare. Dinanzi alla difficoltà, riemerge il grande complotto internazionale volto ad indebolire il potere italico. Abbiamo già abbondantemente dato, un secolo fa. D’altronde, l’intero dibattito non si è tenuto sulla migrazione, bensì si è alzato lo scontro tra poteri dello Stato utilizzando una delle retoriche più antiche, ovvero, la contrapposizione tra legittimazione popolare e Stato di diritto. Si è immaginato che, una volta ottenuto il consenso popolare, ci si potesse porre al di sopra della legge. E, nel momento in cui il potere immagina di sottomettere lo Stato di diritto al consenso popolare, il diritto internazionale e le organizzazioni internazionali sono strutture da abbattere. Accadde con la Società delle Nazioni, accade oggi. I governi nazionalisti e populisti – che non significa popolari – ottengono il potere e come primo atto smontano i principi della democrazia. Lo fanno perché si rendono conto di aver mentito al popolo, dal quale hanno ottenuto il consenso, e non essendo possibile compiere determinate azioni in uno Stato di diritto, delegittimano il diritto stesso. A margine, resta il nodo irrisolto: la non capacità di gestire la migrazione.
Lei conosce molto bene la realtà libica. Signori della guerra, spacciati per statisti, in combutta con i trafficanti di esseri umani, assassini e stupratori. Chi siano costoro è cosa risaputa eppure continuano ad essere finanziati dall’Italia e dall’Europa.
Nei giorni scorsi sono stato in Albania con altri colleghi del Pd per verificare quanto accade. Abbiamo avuto la possibilità di parlare sia con il personale italiano sia con le persone che sono state salvate e portate in giro come trofei da esibire per il Mediterraneo. Nessuno di loro sapeva alcunché del “progetto Albania”, per nessuno faceva differenza trovarsi in Albania o in Italia, il loro progetto di vita non prevedeva l’arrivo in Europa. Questo elemento va precisato, visto che si continua a parlare a sproposito di deterrente Albania. La maggior parte proveniva dal Bangladesh. Arrivati in maniera legale e in aereo in Libia, via Dubai, hanno dato seguito al loro progetto migratorio: lavorare come imbianchini, falegnami, muratori, in un paese nel quale è stata loro offerta una possibilità. Molti si trovavano bene. In Libia erano arrivati pagando circa mille euro, a testimonianza del fatto che i primi a partire sono sempre quanti hanno un minimo di risorse, il più delle volte, impegnando case e piccoli terreni. Sono piene le biblioteche di libri sulla storia dell’emigrazione degli italiani, i migranti occidentali irregolari per eccellenza, ma è un’altra storia e comprendo che si faccia fatica a leggerla. A questo punto entra in gioco la rete governata da Almasri, ovvero la polizia libica, che preleva queste persone dai posti di lavoro, ne sequestra i documenti e li affida alla mafia libica, quella che la presidente del Consiglio, a parole, diceva di voler combattere sull’intero globo terracqueo. Questi criminali hanno una sorta di tariffario per nazionalità e, una volta entrati in “possesso” della persona, la sottopongono a tortura obbligandola a chiederne il riscatto alla famiglia per la liberazione. Nulla di tanto dissimile di quanto accadeva più di 500 anni fa nel Mediterraneo, anche in questo caso sarebbe bastato leggere Salvatore Bono sul tema. Se i malcapitati non riescono a pagare, le lascio immaginare la loro fine. Invece, nel momento in cui pagano, riscattata la loro libertà, i migranti si trovano dinanzi ad un bivio: fanno rientro a casa, dove rischiano la vita o di diventare i nuovi “servi della gleba” visto che le famiglie si sono rivolte agli usurai; alternativa, rischiare la vita in mare destinazione Europa.
La butto giù seccamente. L’Italia è sotto ricatto?
Mi sembra evidente. D’altronde, tra le tante domande cui questo governo e Giorgia Meloni non hanno voluto rispondere, vi è la seguente: che rapporti intercorrono tra il governo della Repubblica italiana e la polizia libica? Non a caso, nei giorni in cui il boia di Tripoli era stato arrestato in Italia, gli sbarchi sono riesplosi: + 136%.
Questo dato dimostra due cose: la prima che il governo mostra solo la faccia truce ma non affronta in alcun modo la questione migratoria, raccontando solo favolette agli italiani e la seconda che siamo nelle mani dei trafficanti che decidono degli sbarchi per tenere in scacco paesi come il nostro. Questo cos’è se non un ricatto?
Non è da oggi che l’Italia sostiene, finanzia, arma quell’organizzazione criminale denominata guardia costiera libica. Lo ha fatto anche quando il centrosinistra era al governo.
Certo è accaduto, io non ero ancora in parlamento. Solo uno sparuto gruppo di deputati e senatori del Pd si oppose al modello Minniti. Dopodiché si è cambiato registro e abbiamo ammesso che quella soluzione è stata un grave errore. In politica, si può esser mossi dalla ragion di Stato e da comportamenti che in un momento dato possono sembrare corretti, anche se non sono mai mancate le voci di dissenso, dopodiché, nel momento in cui approfondisci la questione e ne comprendi gli errori, assumi la responsabilità di quanto fatto, giustifichi e spieghi il cambio di posizione. Il diniego chiaro al finanziamento della guardia costiera libica è il nostro mea culpa e, mi faccia dire, l’abiura di una stagione. Come è stato un grave errore non mettere mano prima alla Bossi-Fini. Ricordo a me stesso che nessun essere umano nasce clandestino geneticamente, ma sono le azioni di altre persone a stabilirne la condizione. Detto questo, il Pd di Elly Schlein propone un piano strutturale con il superamento della legge Bossi Fini, la definizione di un sistema di quote per ingressi regolari, una Mare nostrum europea. Esiste un problema di rimozione collettiva tra i cittadini delle tragedie legate alle migrazioni che chiama in causa noi e la nostra capacità di generare empatia nei confronti di chi muore mentre cerca la salvezza. Peraltro, le migrazioni, se gestite, sono una ricchezza mentre per il governo Meloni sono un dossier su cui fare affari e lucrare voti.
Sulla sponda sud del Mediterraneo l’Italia sostiene criminali di varia natura, l’importante è che svolgano il lavoro sporco – respingimenti in mare, lager di migranti – al posto nostro. È questo il tanto decantato “Piano Mattei”?
Quando si è affrontato il cosiddetto Piano Mattei, del quale ancora non si è capita l’utilità, abbiamo avanzato una proposta chiara che non è stata nemmeno presa in considerazione. Ancora una volta la storia della migrazione poteva insegnarci qualcosa. Si potevano sperimentare i “Centri emigrazione”, strutture che abbiamo conosciuto sul territorio italiano dal 1949 fino alla metà degli anni Settanta – l’ultimo fu quello di Verona inaugurato nel 1963 – dove gli allora migranti italiani venivano sottoposti a visita medica e al vaglio dei documenti e delle capacità professionali per poi partire per le mete dell’emigrazione italiana. Per quale ragione, se chiudi accordi con altri paesi, se hai bisogno di centinaia di migliaia di persone in vari ambiti economici, senza i quali non sarai in grado di reggere i tuoi standard di vita raggiunti, le pensioni, il sistema di Welfare, non organizzi un sistema del genere? Basterebbe convertire gli accordi sottoscritti con diversi paesi, utilizzare il personale italiano per fare le selezioni, gli ufficiali di Stato per verificarne la fedina penale, quelli del lavoro per comprenderne le capacità professionali e spezzare definitivamente la tratta illegale. Se delle persone arrivano a pagare il traffico illecito, a rischiare la propria vita e quella dei propri figli, qualcuno immagina che non siano disposti a pagare lo Stato o gli Stati per usufruire di una migrazione legale?
Mi scusi, allora se la soluzione esiste perché non si adotta?
Abbastanza facile: ci sono tanti e tali interessi nel continuare a trattare il tema come emergenziale, che non conviene a nessuno. Dovresti cambiare radicalmente prospettiva, rinunciare a due secoli di speculazioni propagandistiche sulla migrazione e al consenso elettorale che queste generano. Ed infine, dovresti studiare.
Questo è un esecutivo che parla tanto, si affida alla comunicazione, ma non ha davvero la minima idea di cosa significhi governare. Evocano il piano Mattei per richiamare nella mente e nel cuore dell’opinione pubblica il famoso piano Marshall. Se stessimo semplicemente ad analizzare la quantità di risorse e la narrazione che allora fu fatta nell’Europa che doveva ricostruire sulle macerie della guerra, ci rendiamo conto che con Meloni la montagna non ha partorito neppure un topolino. Il piano Mattei è una scatola vuota, solo fuffa e propaganda utile a far credere che improvvisamente siamo in grado di risolvere i nostri problemi con il continente africano. Purtroppo, questo piano stravolge la legge sulla cooperazione internazionale, sposta risorse e ruoli dal Ministero degli affari esteri accentrandoli a Palazzo Chigi e tutto questo con 2 milioni di euro? Poi ci chiediamo perché il vicepremier Tajani sia particolarmente nervoso.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link