L’Italia non riuscirà a spendere tutti i soldi del Pnrr
Manca un anno e mezzo, ma è ormai una certezza: non riusciremo a spendere tutti i soldi del Pnrr entro il 30 giugno 2026. Gli ultimi dubbi sono stati fugati dall’iniziativa del Governo Meloni a Bruxelles per verificare come non rinunciare “neppure a un centesimo” dei 194,4 miliardi del Piano, come ha detto il ministro degli Affari europei Tommaso Foti. Formalmente non si tratta di una richiesta di proroga, ma di fatto l’obiettivo è quello di raccogliere tutti gli “avanzi” delle risorse finanziarie non spese per la mancata realizzazione delle migliaia di progetti che hanno costituito il puzzle italiano per il Pnrr.
Si paga un peccato di origine. La scelta di frammentare questa imponente cascata di denaro – ricordiamo che in gran parte sono prestiti, quindi alla fine l’Italia sarà comunque più indebitata – in migliaia di microprogetti si è dimostrata perdente. A livello strategico era facile capirlo prima, a livello organizzativo pure. E’ più facile rinnovare un Paese con poche qualificanti scelte, piuttosto che inseguendo le “mance” ai singoli territori e alle singole parti politiche.
E in questa frammentazione è stato inevitabile scontrarsi con le criticità italiane, ben note: la complessità della macchina burocratica italiana rallenta spesso l’avvio e il completamento dei progetti, così come la sottodimensionata (e spesso poco attrezzata alle novità normative) capacità amministrativa rende molte amministrazioni locali (gli oltre 7000 Comuni sono in gran parte sotto la soglia dei 20mila abitanti) e regionali incapaci gestire i fondi europei. Non sa oggi.
Un esempio tra i tanti: il programma innovativo sulla qualità dell’abitare ha accumulato tanti e tali ritardi da parte di molti Comuni al punto di convincere il Mit, che gestisce il programma, a ridurre lo stanziamento iniziale: circa 700-800 milioni dei 2,8 miliardi complessivi verrebbero travasati nel veicolo che conterrà i residui del Pnrr. Si tratta del 25%: se così valesse per tutto, dovremmo immaginare un “avanzo” di circa 50 miliardi di euro non spesi. Un’enormità.
L’approccio “concentrato” ha dato i suoi migliori risultati in Spagna. La stessa idea di un fondo di recupero nel 2026 è nata a Madrid, che ha toccato con mano il vantaggio di raccogliere, fin dall’inizio il massimo sforzo in poche linee di intervento. Con 163 miliardi di euro, di cui 80 miliardi di euro in sovvenzioni e 83 miliardi di euro in prestiti, il piano di risanamento spagnolo è il più grande dopo quello concesso all’Italia.
Dopo un ritardo iniziale, il governo spagnolo guidato dal socialista Sanchez ha accelerato notevolmente la sua attuazione nel 2023, raggiungendo una velocità di crociera sostenuta nel 2024. In totale, il governo e le regioni autonome hanno lanciato bandi per progetti per un valore di 77,5 miliardi di euro.
E gli effetti si toccano con mano. Nel 2024, il prodotto interno lordo in Spagna è balzato del 3,2%. Quattro volte più veloce della media europea, come ha ricordato in questi giorni “Le Monde”. In un’Europa in cui l’economia ristagna, la Spagna mostra una crescita insolita. Nel complesso dell’anno, i consumi sono cresciuti del 2,8%, le esportazioni del 3% e le importazioni del 2%. Trainata dal settore turistico – con 94 milioni di visitatori stranieri (+10%) e 126 miliardi di euro di spesa turistica (+16%) – e favorita da una forte immigrazione – si prevedono 1,5 milioni di nuovi residenti tra il 2021 e il 2024 e il 40% dei 470.000 posti di lavoro creati nel 2024 sarà occupato da stranieri – la crescita spagnola sta beneficiando anche dei fondi forniti dal piano di rilancio europeo NextGenerationEU, approvato nel 2020.
Secondo un rapporto della Banca di Spagna pubblicato mercoledì 29 gennaio, il 21,2% delle imprese spagnole ha già richiesto, o intende farlo nel prossimo futuro, l’accesso ai fondi del piano di ripresa. La metà di esse ha finora ricevuto una decisione favorevole. Tuttavia, il 45% di queste aziende dichiara che non avrebbe investito senza l’impulso del piano di ripresa europeo. Insomma, il Pnrr da loro è un vero volano di sviluppo, che coinvolge e premia i privati più attivi.
Da noi, la frammentazione che ha caratterizzato la progettazione di spesa, sta finendo per somigliare la grande operazione del Pnrr al piccolo cabotaggio della legge mancia. Con la differenza che invece di destinare poche centinaia di milioni (una “mancia”, appunto) per iniziative suggerite da parlamentari in rappresentanza dei territori “dimenticati” dalla Legge di Bilancio, le risorse promesse sono state di un paio di centinaia di miliardi. Un bel moltiplicatore di clientele e di favori.
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