Sindacati a Bruxelles «per una politica industriale europea»

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Nella nebbia del mattino un gruppo di lavoratori si ferma davanti all’entrata del Parlamento europeo per una foto. Poco più in là, dove la strada scende prima di risalire verso la sede della Commissione Ue, si apre una piazza squadrata. Oggi sembra quasi un recinto che contiene a stento qualche migliaio di persone. È lì che la piazza prende vita, piena di lavoratori metalmeccanici, tessili, chimici, e delle loro bandiere. Sono venuti nella capitale europea a lanciare un grido d’allarme: tra delocalizzazione, concorrenza cinese e minaccia di dazi del nuovo corso trumpiano, il settore industriale del Vecchio continente rischia di diventare sempre più residuale, perfino di sparire. Quello che serve è una politica industriale comune che tenti un equilibrio tra transizione green e occupazione. Un piano, un’idea che fino a questo momento latita.

A BRUXELLES arriva il principale sindacato francese, la Cgt e i metalmeccanici della tedesca IG Metal, che colorano la piazza di rosso. Ci sono i belgi francofoni della siderurgia e del tessile e quelli fiamminghi di Abvv Metaal ma anche i polacchi di Solidarnosc. Gli olandesi di Tata Steel, rappresentanti del metallurgico in costante sofferenza come altri stabilimenti che fanno capo ad Arcelor Mittal, sono venuti direttamente con la tuta da lavoro blu e gialla. Ci sono le sigle confederali italiane, sia del settore metalmeccanico che di quello chimico. Portano sul palco tre crisi simbolo: quella infinita dell’Ilva di Taranto, quella della Beko Europe di Melano (nelle Marche), quella dello stabilimento Stellantis di Termoli, dove i lavoratori sono in cassa integrazione nonostante la tentata riconversione in giga factory.

UNA DOMANDA campeggia sullo striscione all’ingresso della piazza: «Salvare il nostro acciaio interessa all’Europa?». La sollecitazione è rivolta evidentemente a Ursula von der Leyen, che secondo i piani il 26 febbraio svelerà i dettagli del Clean Industrial Act, nell’ambizioso tentativo di armonizzare la transizione verde a cui Bruxelles dice di non voler rinunciare con la competitività che il mercato globale le richiede per tornare a crescere.

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Dopo la manifestazione, una delegazione dei sindacati europei ha incontrato i commissari competenti Séjourné e Minzatu. Ma intanto «tutta l’industria europea attraversa una crisi profonda», tuona dal palco della manifestazione Judith Kirton-Darlig, segretaria generale di IndustriALL, la confederazione europea che ha convocato il raduno nella capitale Ue. Ricorda gli oltre 100 mila posti di lavoro andati in fumo negli ultimi mesi, ne menziona quasi altrettanti che potrebbero svanire nei prossimi nel settore automotive.

«ERANO ANNI che non si vedeva un raduno così grande a livello europeeo. Significa che siamo in un momento di svolta per le politiche industriali Ue», interviene dalla piazza di Bruxelles Marco Falcinelli, segretario generale di Fictem Cgil. La transizione energetica e tecnologica vede Bruxelles in ritardo, «mentre le grandi potenze stanno mettono in campo fortissimi investimenti per sostenere la propria industria».

DELL’URGENZA di una politica industriale europea «pianificata e comune» parla anche il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma. «Chiediamo con forza il blocco dei licenziamenti e investimenti pubblici con condizionalità sociali», continua De Palma, che nota anche: «In un momento di crescenti aziendalismi, corporativismi e nazionalismi, i metalmeccanici e il lavoro dell’industria si uniscono per costruire un’Europa democratica per le future generazioni».

Eppure, la transizione green resta il tasto dolente. Lo si vede soprattutto nel settore automobilistico, rispetto al quale la Commissione Ue ha avviato a fine gennaio un tavolo strategico tra le parti e le istituzioni, chiesto a gran voce da popolari e destre. «Mentre in Europa si impongono vincoli rigidi e multe alle aziende che non producono un certo numero di vetture elettriche, da altre parti si sostiene la produzione senza imporre vincoli», spiazza dal palco del raduno sindacale il delegato Uilm di Termoli Francesco Guida. «Il risultato è che gli investimenti si spostano, le fabbriche chiudono. E i lavoratori vengono abbandonati». Parole che lasciano fredda una parte della piazza, ma intercettano una sofferenza reale.

Pasquale Tridico, capodelegazione M5S (Left) lancia l’idea di nuovo «fondo Sure per proteggere i lavoratori e accompagnarci verso gli obiettivi ecologici fissati al 2035». Con lui nell’arena dei sindacati sfilano anche molti europarlamentari Pd e Avs. Qualcuno azzarda la soluzione eurobond, «che può andare bene per le armi, ma per il lavoro no?». A fine giornata, la nebbia fredda non si è diradata. Ma insieme al grido d’allarme, von der Leyen ha qualche voce in più da vagliare per provare a risolvere il rebus.



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