Dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump il 20 gennaio scorso si sono intensificate le voci su un’apertura del dialogo tra gli attori in campo per trovare una via d’uscita alla guerra in Ucraina. Accanto alla volontà espressa dal nuovo presidente statunitense di voler far cessare il conflitto in tempi brevi, sia Volodymr Zelensky che Vladimir Putin hanno segnalato negli ultimi giorni la disponibilità a schiudere canali di comunicazione diretta tra Kiev e Mosca per cercare di trovare una piattaforma condivisa sulla quale discutere del futuro processo di pace. Da diversi mesi, da quando da un lato la situazione sul terreno di guerra è andata in peggioramento per l’Ucraina e dall’altro gli Stati Uniti, già sotto la presidenza Biden, hanno ridotto gli aiuti militari all’ex repubblica sovietica, l’inizio del 2025 è stato considerato come periodo favorevole per tentare di accorciare le distanze tra Russia e Occidente, nel caso la strategia di Trump fosse quella anticipata in campagna elettorale, e cioè quella di far mettere d’accordo, in un modo o nell’altro, i contendenti.
Un accordo passa tra Washington e Mosca
Se l’influenza statunitense su Zelensky è pressoché totale, dato che Washington tiene i cordoni della borsa, militari e finanziari, per la sopravvivenza di Kiev, diverso è il rapporto con Putin, con il quale l’intesa deve essere trovata partendo da quello che è anche il quadro militare sul campo e dalle richieste formulate già prima dell’inizio del conflitto, una su tutte quella dello status neutrale dell’Ucraina nella nuova architettura di sicurezza che dovrà essere costruita dopo la fine della guerra. In sostanza dunque il dialogo sulla fine del conflitto e sulla ridefinizione degli equilibri internazionali postbellici passa tra Washington e Mosca, mentre Kiev avrà un potere contrattuale molto limitato. Questo vuole la Realpolitik, che va oltre i desiderata e la propaganda. Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio si sono dunque rafforzati i rumors internazionali sull’eventualità di negoziati a breve termine, ai quali starebbero lavorando gli Stati Uniti di Trump e del nuovo inviato speciale per il conflitto russo-ucraino, il generale Keith Kellogg.
Il presunto piano di Trump
In assenza di notizie concrete e confermate, in Ucraina la scorsa settimana è stato rilanciato però dai media quello che è stato definito il piano dei cento giorni della Casa Bianca per la risoluzione del conflitto, apparentemente condiviso da diplomatici statunitensi ed europei, in realtà però non ufficiale e liquidato da Kiev come propaganda filorussa. Stando comunque alla cronologia ipotizzata, i contatti diretti tra Trump e Putin potrebbero aver luogo a febbraio, poi entrerebbe anche in scena Zelensky entro marzo, cosicché già ad aprile, in caso di riscontri positivi, potrebbe essere annunciato un cessate il fuoco, seguito verso maggio da una conferenza di pace internazionale per formalizzare un accordo tra Ucraina e Russia e porre così fine alla guerra. Questa scaletta ideale si dovrà confrontare presto con la realtà : in ogni caso è vero che i canali tra Washington e Mosca sono già aperti e a Kiev è in arrivo Kellogg per sondare direttamente il terreno. Il resto si vedrà appunto nelle prossime settimane.
Non ripetere il fallimento di Minsk
Al di là della tempistica, che sarà in ogni caso condizionata dalla volontà reale di cercare uno spiraglio per la pacificazione, i nodi più difficili da sciogliere sulla via di un’intesa condivisa e duratura saranno quelli non tanto dello stop ai combattimenti, quanto quelli di eventuali zone demilitarizzate, della ridefinizione dei confini ucraini, dello status postbellico dell’Ucraina, delle garanzie di sicurezza, dei rapporti tra Russia e Occidente. Se vedute unitarie di massima saranno relativamente semplici da trovare, i veri scogli saranno nei dettagli e nella loro applicazione, come si è visto già negli accordi di Minsk del 2015, che avevano definito esattamente dieci anni fa una road map per la pace che né Kiev né Mosca avevano poi voluto percorrere e i garanti europei, Francia e Germania, non avevano saputo e voluto far rispettare. Da questo punto di vista è evidente che dovranno essere la Russia da una parte e gli Stati Uniti dall’altra a trovare la quadra definitiva, per non ripetere proprio il fallimento di Minsk.
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