Alzheimer: un’attività fisica potrebbe ridurre del 63% la malattia

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Un nuovo studio rivela i meccanismi attraverso cui un particolare tipo di allenamento influisce sul cervello, aprendo nuove prospettive per la prevenzione delle malattie neuro-degenerative

Eugenio Spagnuolo

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L’Alzheimer è al centro di un’intensa attività di ricerca medica, con scienziati in tutto il mondo impegnati a comprenderne i meccanismi e a sviluppare nuove terapie. Ma la battaglia contro questa malattia richiede un approccio su più fronti. In questa direzione va uno studio condotto dall’Università di Bristol e dall’Università Federale di San Paolo che assegna all’esercizio fisico un ruolo chiave nella prevenzione della malattia

L’intuizione dei ricercatori nasce da una mappatura dettagliata: per la prima volta sono stati identificati i percorsi biologici attraverso cui il movimento interagisce con il cervello. Così come attiva i muscoli, l’esercizio aerobico sembra attivare meccanismi cellulari specifici in grado di proteggere le strutture cerebrali. 

Una scoperta che, se confermata, amplierebbe le prospettive terapeutiche: mentre i farmaci disponibili oggi possono rallentare la progressione dei sintomi, l’attività fisica potrebbe intervenire sui meccanismi biologici che innescano la malattia. “L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa progressiva senza cura nota, che colpisce milioni di persone in tutto il mondo”, spiega Augusto Coppi, docente di anatomia veterinaria presso l’Università di Bristol e tra gli autori dello studio. “Sebbene sia noto che l’esercizio fisico riduca il declino cognitivo, i meccanismi cellulari alla base dei suoi effetti neuroprotettivi sono rimasti sfuggenti, fino ad ora. La nostra ricerca evidenzia il potenziale dell’esercizio aerobico come pietra angolare nelle strategie preventive per l’Alzheimer”. 

alzheimer e aerobica: lo studio

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I ricercatori hanno implementato un programma di esercizi aerobici di 8 settimane su alcuni ratti anziani per esaminare l’influenza dell’attività fisica sui marcatori della salute cerebrale. Lo studio si è concentrato sull’ippocampo, una regione del cervello cruciale per memoria e apprendimento, particolarmente vulnerabile nell’Alzheimer. La scoperta è stata che l’esercizio portava a una riduzione del 63% dei grovigli di tau e del 76% delle placche amiloidi rispetto ai ratti sedentari. Il numero di neuroni sani è aumentato di due volte e mezza nei ratti che si sono esercitati. Significativa anche la diminuzione dell’infiammazione cerebrale, calata tra il 55% e il 68% a seconda degli specifici marcatori infiammatori misurati.

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I risultati hanno evidenziato anche un effetto dell’esercizio aerobico sugli oligodendrociti, cellule cerebrali specializzate che producono le guaine mieliniche isolanti necessarie per la comunicazione efficace tra neuroni. Il numero di quelli sani è quasi raddoppiato con l’esercizio, mentre quelli che mostravano segni di sovraccarico di ferro – un potenziale fattore scatenante per la morte cellulare – sono diminuiti del 58%. E, secondo i ricercatori, il miglioramento della salute degli oligodendrociti indica come l’esercizio contribuisca a mantenere efficiente la comunicazione tra cellule cerebrali durante l’invecchiamento.

Immunità 

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Non è tutto: lo studio ha anche esaminato la microglia, le cellule immunitarie del cervello che aiutano a ripulire i detriti cellulari e regolare l’infiammazione. L’esercizio fisico pare ottimizzare la funzione di queste cellule, riducendo il numero di microglia infiammatorie attivate e aumentando quelle in uno stato più protettivo. Secondo i ricercatori, questo indica che l’attività fisica aiuta a creare un ambiente più sano nel cervello attraverso una migliore gestione dei livelli di infiammazione. Nelle cavie attive, inoltre, le cellule cerebrali comunicavano in modo profondamente diverso rispetto ai sedentari, ripristinando equilibri fondamentali per il funzionamento cerebrale durante l’invecchiamento.

C’è poi la questione del ferro, elemento essenziale per il cervello che può diventare un problema con l’età, accumulandosi nelle cellule. L’attività fisica sembra anche capace di regolarne i livelli, proteggendo il tessuto cerebrale. Un risultato che ha spinto gli autori dello studio a esplorare due strade: da un lato lo sviluppo di farmaci mirati al metabolismo del ferro, dall’altro studiare meglio il potenziale dell’esercizio nel rallentare la malattia anche dopo la sua comparsa. 

I meccanismi identificati dal team di Coppi richiedono ancora verifiche sull’uomo, ma aprono una prospettiva promettente: l’attività fisica regolare potrebbe diventare un ulteriore strumento  contro una malattia che colpisce sempre più persone. 





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