“Basta favori ai mercanti di armi”. La mobilitazione per salvare la Legge 185/90

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Il Governo Meloni si appresta a discutere e a concludere l’iter del disegno di legge che darà un colpo durissimo alla trasparenza e al controllo da parte dei cittadini e del Parlamento sull’esportazione e il commercio di materiale d’armamento.

Il 6 febbraio infatti è ripreso l’iter, dopo quasi dieci mesi di inattività, della discussione presso le commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera per la modifica della Legge 185 del 1990 sull’export di armi italiane. Una decisione contestata dalla Rete italiana pace e disarmo secondo la quale queste modifiche sarebbero un favore ai produttori di armi e non garantirebbero una maggiore sicurezza al Paese.

Per opporsi alle modifiche e per proporre invece un cambiamento positivo che aumenti la trasparenza del settore la Rete ha lanciato, insieme ad altre 80 associazioni della società civile la mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi”. Con una petizione pubblica, diverse analisi tecniche approfondite e proposte concrete messe all’attenzione del Parlamento durante alcune audizioni, la mobilitazione ha chiesto con forza di non peggiorare i meccanismi di autorizzazione e controllo sulle esportazioni di armi, mantenendo i presidi di trasparenza previsti della Legge 185/90. Posizione ribadita in occasione del nuovo dibattito ripartito il 6 febbraio.

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“Sebbene nel corso degli anni la Legge non sia stata in grado di fermare esportazioni di sistemi militari con impatti negativi -osserva la Rete italiana pace e disarmo-, è indubbio il grande ruolo di trasparenza che essa ha avuto permettendo a Parlamento e società civile di conoscere i dettagli di un mercato spesso altamente opaco”.

Trasparenza che è messa in pericolo dalle modifiche proposte dal governo che punta invece a liberalizzare ulteriormente il mercato delle armi su una serie di false retoriche. Non è vero, sottolinea la Rete, che vi è un controllo eccessivo sulla vendita di armi italiane e che la nuova legge migliorerà la sicurezza del Paese in un momento di conflitti e crisi internazionali. Al contrario, facilitare la vendita di armamenti verso zone a rischio minerà la sicurezza a livello globale, a beneficio delle tasche di pochi produttori.

“Sappiamo bene che questa modifica della Legge 185/90 parte da lontano perché da anni la lobby dell’industria militare e i centri di ricerca e di pressione a essa collegati chiedono a gran voce di poter praticamente liberalizzare l’export di armi -denuncia la Rete-. A chi fa affari vendendo nel mondo armi e sistemi militari non fa piacere che ci sia trasparenza e controllo anche da parte della società civile, oltre che un allineamento con principi che non prendono in considerazione solo i fatturati. Già nella situazione attuale sappiamo bene che non sempre le autorizzazioni rilasciate sono state in linea con i criteri della Legge 185/90 e dei trattati internazionali, se il Disegno di legge di iniziativa governativa dovesse essere approvato definitivamente la situazione peggiorerebbe, in particolare sulla questione degli intrecci tra finanza e produzione di armamenti”.

Una prima proposta degli autori della mobilitazione riguarda la reintroduzione, prevista dal disegno di legge, del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd). Un “utile luogo di presa di responsabilità da parte della politica sulle questioni riguardanti l’export di armi” e che non deve trasformarsi in uno strumento che fornisce un “via libera” a ogni vendita di armi. Inoltre, il Cisd dovrebbe ritornare a essere in grado di ricevere informazioni e rapporti sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’Onu e dall’Unione europea e da parte delle Ong.

In secondo luogo, bisognerebbe inserire un riferimento al Trattato sul commercio delle armi (Arms trade treaty), non presente nel testo originale del 1990 in quanto entrato in vigore nel 2014, e ai suoi principi e criteri decisionali che hanno precedenza sulle leggi nazionali.

Un ulteriore miglioramento consisterebbe nel potenziare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati della Relazione al Parlamento. Ad esempio, inserendo indicazioni analitiche per tipi, quantità, valori monetari e Paesi destinatari delle armi autorizzate con esplicitazione del numero dell’autorizzazione Mae, gli stati di avanzamento annuali delle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e delle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge.

Infine viene richiesto di fermare la cancellazione, prevista dal disegno di legge, di due importanti strumenti: la Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende produttrici e l’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la presidenza del Consiglio. Quest’ultimo è considerato l’unico strumento che potrebbe avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa.

“La società civile non vuole rassegnarsi al fatto che sia solo il profitto di pochi a dover guidare le scelte sull’export di armi, che ha invece importanti ripercussioni sulla politica estera e sui diritti umani -è la conclusione dei promotori dell’iniziativa-. E continuerà a mobilitarsi, anche con azioni ed eventi nel mese di febbraio, per fermare lo svuotamento della Legge 185/90 e, al contrario, chiedere un maggiore controllo sull’export di armi: ‘Fermiamo insieme gli affari armati irresponsabili che alimentano guerra e insicurezza’”

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