Calo del Made in Italy, 3 miliardi di perdite con i dazi al 10%: già colpiti settori cibo e moda

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Il quadro è delineato dagli esperti di molte organizzazioni e associazioni di settore che analizzano anche l’ipotesi di dazi al 20% e perdite che salirebbero fino a 12 miliardi

Sono nere le previsioni degli analisti. Con dazi Usa al 10% le perdite raggiungeranno almeno 3 miliardi, che saliranno a una cifra compresa tra 9 e i 12 miliardi se gli Stati Uniti imporranno all’Unione Europea tariffe doganali del 20%. Il quadro è delineato dagli esperti di molte organizzazioni e associazioni di settore come Ocse, Svimez, Prometeia, Confartigianato, e anche il National Board of Trade svedese. I settori del Made in Italy che già iniziano a risentirne sono quello della moda e del cibo. 

La moda italiana

Dopo aver chiuso il 2024 con un calo secco del fatturato del 5,3%, a quota 95,9 miliardi di euro, la Moda italiana guarda con un timido ottimismo al 2025, ritenuto come un anno di “tenuta”, guardando però con molta preoccupazione ai minacciosi dazi Usa. L’idea che la nuova amministrazione Trump metta nuove tasse su abiti e scarpe Made in Italy preoccupa il presidente della Camera nazionale della moda italiana, Carlo Capasa. “I dazi preoccupano sempre tutti, ma speriamo che non vengano applicati alla Moda” ha detto a margine della presentazione della Milano Fashion Week. Capasa ha ricordato come in passato i dazi non siano stati applicati alla moda e che dal Governo sia arrivato il messaggio che “ci sono interlocuzioni in corso”. La speranza quindi è che il settore, già funestato da un anno difficile, non debba affrontare una nuova tegola. La Moda, ha ricordato Capasa, “è la seconda industria italiana. Se Trump penalizza la seconda industria italiana è quasi una dichiarazione ostile. Io mi aspetto che non ci sia un attacco così ostile alla nostra seconda industria, perciò sono fiducioso”. Se poi ci saranno i dazi, “capiremo come comportarci di conseguenza”. E dire che i numeri dell’ultimo trimestre del 2024 permettevano di fare qualche previsione ottimista. La discesa del 2024 si è attenuata. Il fatturato è sì calato del 4.2% rispetto all’ultimo trimestre del 2023, ma la contrazione è stata inferiore rispetto al resto dell’anno. Restano sempre in sofferenza i settori ‘core’ della moda (abbigliamento, pelle, pelletteria e calzature). A salvare le sorti del Made in Italy sono invece sempre più i settori ‘collegati’ (beauty, occhiali, gioielli e bigiotteria). Gli unici capaci di tenere in terreno positivo le esportazioni (+2,6% nei primi dieci mesi 2024) con il loro aumento di export del 21.8%, contro il grande freddo delle esportazioni dei settori ‘core (-4.2%). Il raffreddamento generale dei fatturati, nonostante l’aumento dei prezzi, ha gelato aziende e lavoro, ha ricordato il presidente della Camera della Moda. “Ci sono state meno vendite, e quindi nella parte bassa della filiera c’è una crisi per mancanza di pezzi prodotti”. Non a caso il settore chiede da mesi al Governo richieste misure per aiutare le piccole aziende, spina dorsa del Made in Italy. Dal differimento delle imposte alla Cassa integrazione. “Per non fare chiudere nessuna azienda e non perdere personale” ha concluso Capasa, convinto che la crisi, “è passeggera”. Una convinzione che gli studi della Camera nazione del lavoro hanno messo nero su bianco: la stabilizzazione di fine anno e il miglior quadro macroeconomico internazionale possano far sperare in un ritorno alla crescita dei fatturati nel 2025. Ma su questo ottimismo pesa “il fattore di grande incertezza del futuro delle politiche commerciali americane introdotto dalla nuova amministrazione americana”. Perché gli Usa sono pur sempre il terzo mercato per le esportazioni della moda Italiana, con un interscambio commerciale da gennaio a ottobre 2024 di ben 4, 5 miliardi per la moda, 3,1 miliardi per i settori collegati.      

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Il cibo italiano

“Il nuovo quadro geopolitico che si va delineando dopo le prime scelte dell’amministrazione Trump gettano ombre sul futuro dell’agroalimentare italiano”. Il Centro Studi di Confcooperative stima che l’introduzione di dazi doganali sul made in Italy comporterebbe un immediato aumento dei prezzi dei prodotti italiani sul mercato Usa, con una probabile riduzione delle esportazioni stimabile tra il 15-30% per prodotti chiave come vino, olio d’oliva, formaggi Dop, ortofrutta, prodotti trasformati come il pomodoro e pasta. “Questo potrebbe tradursi in una perdita di fatturato per il settore di circa 1,5-2 miliardi di euro annui, considerando che gli Usa rappresentano il terzo mercato di destinazione dell’export agroalimentare italiano con un valore di circa 6 miliardi di euro”, sottolinea Maurizio Gardini al Fruitlogistica di Berlino a margine di alcuni incontri in corso in occasione dell’Anno Internazionale delle cooperative proclamato dall’Onu per la seconda volta nella storia. “Le piccole e medie imprese agroalimentari sarebbero tra le più colpite, poiché hanno minore capacità di assorbire l’aumento dei costi o di diversificare rapidamente verso altri mercati. Si stima che circa il 30% potrebbe dover ridurre la produzione e l’occupazione, con particolare impatto sui distretti alimentari specializzati su formaggi e vini. L’export – sottolinea il presidente di Confcooperative – è un volano importante della nostra economia soprattutto alla luce della contrazione dei consumi interni. Le imprese per fare margine hanno investito su aggregazione, export e internazionalizzazione. Fare più export per remunerare al meglio i produttori e il territorio”. Al danno, inoltre, si aggiungerebbe la beffa, “l’effetto dei dazi, infatti, rischierebbe di favorire il fenomeno dell’Italian Sounding – aggiunge Gardini – da parte di aziende americane o internazionali. Con prezzi più alti per i prodotti originali italiani, i consumatori americani potrebbero orientarsi verso alternative locali che imitano i nostri prodotti, danneggiando ulteriormente il valore del Made in Italy e la sua reputazione sul mercato internazionale”. La filiera produttiva italiana subirebbe contraccolpi a catena: dagli agricoltori ai trasformatori, fino alla logistica e alla distribuzione. Si stima che per ogni 10% di riduzione dell’export verso gli Usa, si potrebbero perdere circa 5.000 posti di lavoro nell’intera filiera agroalimentare, con effetti particolarmente severi nelle regioni a forte vocazione export come Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. “Quello dei dazi – conclude Gardini – è un tema che va affrontato a livello comunitario per avere un maggiore peso negoziale. Oltre alla negoziazione diretta la Ue dovrebbe prevedere inoltre l’attivazione di sostegni economici per le aziende colpite dai dazi, aiutando a mitigare l’impatto economico sulle imprese italiane del settore agroalimentare”.

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Il vino italiano

I dazi statunitensi al vino italiano determineranno nel 2025 una perdita delle vendite di 330 milioni di euro, dato che scenderebbe a 250 milioni qualora il dollaro dovesse mantenere gli attuali livelli di forza. È quanto emerge dalle analisi dell’Osservatorio Uiv, Unione italiana vino, nell’ipotizzare dazi al 20% per tutti i vini fermi e al 10% per gli spumanti; tariffa inferiore per questi ultimi determinata dalle pressioni dell’industria Usa, più restia a sopportare limitazioni commerciali sulla tipologia di punta. Una perdita stimata del 15% sul risultato dello scorso anno, rileva l’Osservatorio, basata sull’esperienza francese tra metà 2020 e primo trimestre 2021 quando, a fronte di dazi caricati del 25%, la risposta del mercato sui volumi commercializzati è stata direttamente proporzionale con un calo del 24%. “Il vino è uno dei settori del made in Italy maggiormente esposti in caso di dazi nel primo mercato al mondo – ha detto il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi – il danno sulle imprese sarà inevitabile, perché se vorranno rimanere competitive dovranno assumersi gran parte dell’extra-onere richiesto visto che il mercato non è in grado di sostenerlo. Ma il danno sarà doppio – aggiunge – perché lo subiranno inevitabilmente anche i consumatori finali a causa di un’inflazione che tornerà a bussare con insistenza”. Quanto al 2024 si chiuderà con un valore delle spedizioni in Usa di oltre 1,9 miliardi di euro, il 24% dell’export del vino italiano nel mondo; una quota più che doppia se paragonata al peso statunitense sul totale delle merci italiane dirette all’estero (11%). La contrazione determinata dalle extra-tariffe farà scendere in un solo anno il valore sotto 1,7 miliardi di euro, ovvero sotto ai livelli del 2021.  

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