Di Pietro torna a parlare

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Le vicende giudiziarie che stanno coinvolgendo l’attuale governo guidato da Giorgia Meloni hanno indotto giornalisti della carta stampata e della televisione a tornare ad intervistare l’ex magistrato e politico Antonio Di Pietro.

L’ex ministro di Montenero di Bisaccia ha specificato che, partendo dal Molise, ha cominciato a lavorare come migrante in Germania, e successivamente si è trovato alla ribalta di vicende storiche, che hanno caratterizzato la repubblica italiana, a partire dal periodo di Mani pulite.

Di Pietro ha confessato che avrebbe fatto meglio ad evitare la sua discesa in campo nella politica e a fermarsi dopo aver lasciato la magistratura, tornando subito alla sua attuale vita di campagna, dove sta raccogliendo soddisfazioni con le coltivazioni e i travasi di vino.

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In ogni caso Di Pietro ha detto pure di non rinnegare nulla del suo passato, comprese le vicende politiche e giudiziarie, in cui è stato diversamente coinvolto. Quindi l’ex magistrato non ammette errori, ma dichiara profonda amarezza per il suicidio di Gardini, perché anche se si trattò di una dolorosa decisione personale, il famoso imprenditore ravennate non si volle fidare della sua parola. Il pubblico ministero di Mani pulite gli disse che non lo avrebbe fatto arrestare, se avesse confessato a chi diede i soldi, ma Raul Gardini era in una situazione di assoluta debolezza nei suoi confronti.

Di Pietro ammette che in effetti i suoi comportamenti lo indussero alla disperazione e alla mancanza di fiducia nei suoi confronti, e a distanza di molti anni adesso si sente in colpa per quel tragico accadimento. Di Pietro ammette di essere stato troppo cinico e di non aver voluto aprire al dialogo, come sarebbe stato invece sicuramente più umano. Di Pietro arriva a dichiarare addirittura, che se fosse stato nei panni di Gardini anche lui non si sarebbe fidato, per cui adesso sente l’amaro in bocca per il suo comportamento del passato. Di Pietro quindi riconosce come, se pure non abbia mai fatto niente per cinismo, in realtà sia stato un’autentica macchina da guerra.

Il suo rammarico più grande è quello di avere creato tanti piccoli Di Pietro, i dipietrini, che non pensano come lui a cercare gli autori dei reati, ma ipotizzano solamente che qualcuno abbia commesso un reato e cercano quale sia il reato. Questo modo di operare non va bene, perché si chiama pesca a strascico, mel senso che, se si arrestano quattrocento persone e se ne condannano la metà non si capisce se il bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto.

Di Pietro rivela il motivo, per cui conosce bene il processo, ricordando che ha fatto il poliziotto, il magistrato, ma pure il testimone, l’imputato, il querelante e il querelato. Il giornalista del Giornale della famiglia Berlusconi chiede se esista attualmente un nuovo Di Pietro nella magistratura italiana, ma l’ex re delle inchieste milanesi precisa come Mani Pulite non l’abbia fatta nascere lui, perché non nacque a Milano, bensì in Sicilia, col rapporto dei Ros, che fu definito mafia appalti e quindi si può dire che iniziò con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Su Antonio Di Pietro sono stati scritti fiumi d’inchiostro, perché la sua vita somiglia molto ad un romanzo d’avventure, tutte con grandi ripercussioni pubbliche. Destano stupore i suoi titoli di studio ottenuti in breve tempo, così come i tanti lavori svolti e alcuni suoi misteriosi viaggi degli anni novanta, proprio all’inizio del periodo di tangentopoli.

Poi per una sorta di contrappasso, dopo essere stato il grande inquisitore di Mani pulite diventa quasi una vittima di alcune inchieste giudiziarie, che lo coinvolgono, prima per una vicenda di prestiti e la vendita di una Mercedes, e poi per il finanziamento del suo partito, Italia dei Valori.

Il Tribunale di Roma emise un decreto ingiuntivo che lo condannò a pagare due milioni e 694000 euro di rimborsi elettorali al movimento dei riformisti di Achille Occhetto e Giulietto Chiesa, che alle elezioni Europee del 2004 erano le formazioni politiche appunto alleate dell’Italia dei Valori, il suo partito.

Secondo quanto ricostruito dai giudici, la formazione politica denominata il “Cantiere” avrebbe dovuto ricevere circa cinque milioni di euro di soldi pubblici, ma la cifra finì all’Associazione Italia dei Valori, un organismo parallelo rispetto al partito Italia dei Valori, di cui facevano parte Di Pietro, sua moglie Susanna Mazzoleni e la tesoriera Silvana Mura.
Così proprio Antonio di Pietro, che condannò quasi tutti i partiti e i suoi massimi esponenti per il finanziamento illecito, si ritrovò a sua volta coinvolto in vicende analoghe.

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E adesso, alla soglia dei settantacinque anni, l’ex magistrato di ferro, l’ex capo di un partito, che fu fieramente ed ostinatamente antiberlusconiano e di conseguenza antitetico alla destra, si trova ad affermare alla stampa come il governo di Giorgia Meloni non abbia commesso alcun reato nell’operazione di riconsegna alla Libia del capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Osama Almasri, che è stato a Torino a seguire una partita della Juventus, squadra della famiglia Agnelli che anche Gheddafi sosteneva economicamente.

A Di Pietro, è sembrata una enormità indagare la premier e alcuni ministri per peculato e favoreggiamento, perché ha dichiarato testualmente: “Ritengo che usare un aereo di Stato, da parte dello Stato, per ragion di Stato, non sia peculato”. Inoltre ha detto: “Il reato di favoreggiamento prevede che, qualcuno, dolosamente favorisca qualcun altro, che ha commesso o è accusato di aver commesso un reato. Ripeto: dolosamente e in questo caso, a ragione o a torto, il governo ha compiuto un atto, che riteneva nell’interesse dello Stato e dei cittadini. Quindi non c’è il reato”.

Certamente si può essere in totale disaccordo con l’azione intrapresa dal governo, ma a giudizio di Di Pietro deve essere l’elettore a decidere se la scelta sia stata giusta o sbagliata.

Di Pietro ritiene che sia una foglia di fico coprirsi dietro l’esposto dell’ex sottosegretario del suo partito Italia dei Valori, Li Gotti, perché Il peculato è un reato per il quale si procede d’ufficio. Di conseguenza per l’ex magistrato, se la Procura di Roma pensava che ci fosse peculato, doveva procedere senza aspettare l’esposto di Li Gotti. Invece la modalità con la quale è stato mandato l’incartamento al tribunale dei ministri, secondo Di Pietro, rappresenta un ulteriore problema, perché la legge stabilisce che la pratica sia inviata al tribunale dei ministri con le richieste della Procura.

Quindi innanzitutto bisogna capire se il Procuratore abbia mandato la pratica al tribunale dei ministri, per chiedere l’archiviazione oppure con la richiesta di indagare su precisi reati, quali appunto favoreggiamento e peculato. Secondo Antonio Di Pietro sono due cose diversissime, perché se la pratica fosse stata mandata per chiedere di indagare sarebbe stato commesso un errore.

A giudizio di Di Pietro il caso Almasri resta solo un fatto di grande rilevanza politica, ma di nessuna rilevanza penale, e quindi il provvedimento di espulsione di Almasri può essere ritenuto giustificabile per ragioni di Stato. Ma Di Pietro ammette pure che se fosse stato lui il ministro Guardasigilli, al posto di Nordio, avrebbe tenuto il delinquente libico in galera.

Di Pietro lo avrebbe tenuto nelle carceri italiane per deformazione professionale, perché il suo obiettivo è quello di cercare sempre il sistema per tenere in galera i delinquenti. Per quanto riguarda invece la separazione delle carriere, Antonio Di Pietro ritiene fondamentale il dettato costituzionale, che nella prima fase prevede quattro voti del Parlamento, e poi eventualmente anche un referendum confermativo, nel quale il popolo italiano potrebbe essere chiamato a decidere per il sì o per il no.

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L’Anm, associazione nazionale dei magistrati, potrebbe istruire un comitato per il sì e un comitato per il no. In ogni caso sarebbe gravissimo per Antonio Di Pietro, se l’associazione magistrati facesse azioni per impedire la separazione delle carriere, prima ancora che il Parlamento si fosse espresso con un voto, perché rappresenterebbe una vera e propria offesa alla costituzione.

L’ex pubblico ministero di Mani pulite si dichiara favorevole alla separazione delle carriere, perché a suo giudizio è una sciocchezza mostruosa ritenere, come fa L’Anm, che la riforma sia il primo passo verso la subordinazione del Pm all’esecutivo. Per Di Pietro infatti, se davvero si volesse colpire l’indipendenza del Pm bisognerebbe modificare l’articolo 104 della Costituzione, e finora questa proposta non è stata fatta da nessuno.

Inoltre Di Pietro spiega pure, perché il Guardasigilli Nordio abbia fatto bene ad abolire il reato di abuso d’ufficio, dicendo le testuali parole : “Se io, pubblico ufficiale, scrivo che 2 più 2 fa 5, ci sono due possibilità. O che mi sia clamorosamente sbagliato, magari per ignoranza, allora non c’è dolo e quindi non c’è reato. O che l’abbia fatto per imbrogliare e averne dei vantaggi, e allora si chiama corruzione. L’abuso d’ufficio non esiste”.

Per quanto riguarda le correnti della magistratura il protagonista di tangentopoli tiene a precisare come non abbia voluto mai iscriversi all’Anm o ad altre associazioni dei giudici. Le sue parole ricordano la degenerazione correntizia segnalata dal giudice Palamara nel suo famoso libro, e forse proprio per contenere il fenomeno della politicizzazione della magistratura Di Pietro si dichiara favorevole al sorteggio, per designare i componenti del Csm, il Consiglio superiore della Magistratura.

Ad una domanda specifica del giornalista sull’argomento l’ex magistrato e ministro della Repubblica risponde con le seguenti parole : “Se l’Anm resta una associazione culturale, benissimo. Mi pare che da un po’di tempo il correntismo abbia portato la Anm ad essere una terza Camera. E questo non va bene”.

Insomma Di Pietro sembra aver voluto allontanare il sospetto di aver fatto parte in passato di una componente specifica della magistratura, per compiere un’azione politica, cercando di ribadire invece il concetto di aver cercato solo di applicare la legge nella sua attività di pubblico ministero, nella quale però ha ammesso di aver preceduto come un carro armato, dimenticandosi nel caso del suicidio di Raul Gardini e probabilmente anche in altre situazioni dell’aspetto umano della sua professione.

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(foto da Wikipedia – domiio pubblico)



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