I contrasti della Capitale della Cultura 2025. La cronaca è mortificante, ma non priva di umorismo. Le famiglie sono senz’acqua per bere e lavarsi, ma dal tetto del Teatro Pirandello piove dentro, sui jazzisti dell’altro giorno e, si paventa, sul Mattarella del sabato prossimo
Benché Agrigento sia in imbarazzo a sentirsi ricordare che Pindaro la proclamò la città più bella dei mortali, resta nel cuore dei suoi passeggeri, e perfino il contrasto plateale fra la splendida numinosità della Valle dei Templi in basso e la cascata di palazzacci che incombe dall’alto, la più gloriosa delle frane seguita, prima (e anche dopo), al più glorioso sacco. Non so se i responsabili locali e i malumori (forse le invidie) forestieri abbiano già compromesso la grande occasione della Capitale della cultura 2025, l’Azione Parallela agrigentina. La cronaca è mortificante, ma non priva di umorismo. L’acqua, quella da bere e lavarsi e innaffiare, di cui le famiglie sono prive al punto che non rispondono nemmeno più quando glielo chiedi, e la siccità avanza, domina di colpo l’attenzione. Dal tetto del Teatro Pirandello piove dentro, sui jazzisti dell’altro giorno e, si paventa, sul Mattarella del sabato prossimo, che già fu lasciato impavido alla pioggia dell’olimpiade parigina. Il presidente della regione, Schifani, ha dato un ultimatum, se no manda i suoi specialisti. Il comune e il teatro hanno risposto garantendo una loro pronta squadra di edilizia acrobatica per l’impermeabilizzazione delle infiltrazioni – una gioia del vocabolario. Questo in un luogo benedetto dall’acqua. Di recente ho rivisitato la Valle dei Templi e la Kolymbethra (che vuol dire piscina, e lavatoio, acqua insomma) già 2.500 anni fa irrigata dai cunicoli ipogei, e restituita ai frutteti e alla macchia, oltre che i visitatori, col patrocinio del Fai.
Salvi colpi di reni – come quello di Matera, e anche quello di Palermo 2018 – le città (e le nazioni) con un passato grandioso schiacciano il presente sotto il peso dell’inarrivabile superiorità. Siamo nani sulle spalle di giganti, figuriamoci un assessore sulle spalle di un telamone. Non so in che vicolo cieco si vada infilando un progetto ereditato dagli anni 90 e interessante come quello, non accademico, pensato da Alfonso Maurizio Iacono e da Giovanni Taglialavoro, per portare la filosofia a casa sua. E riportare scuole e università nello svuotato centro storico, da una città ridotta per intero a periferie. (Non per intero, forse: ho appena visitato anche il rione della Terra Vecchia e il restauro del Duomo, e il paesaggio che se ne gode). Mi ha colpito ad Agrigento il rispetto che ancora circonda il Liceo Classico Empedocle, la nostalgia per il suo classico preside, Giovanni Vivacqua – dei cui figli ho conosciuto il valore e mi chiedo se e come partecipino dell’appuntamento della città. E come non si sia invitato Vittorio Alessandro, l’“ammiraglio”, magari in concorso con Sergio Scandura, a metter su il più aperto incontro mediterraneo sulla migrazione, in una Capitale della Cultura che giustamente non si riduce al municipio ma comprende Porto Empedocle e Lampedusa. E che cosa si è fatto per impegnare i più giovani, quelli destinati ad aspettare l’età giusta, come un tempo per andare di leva, per correre, ragazze e ragazzi, fuori dalla città dall’isola e dall’Italia, amputando la società della sua energia vitale. Che cos’è delle Orestiadi, al di là delle gelosie di campanile, dopo le dimissioni di Calogero Pumilia? Davvero non si saprebbe mettere insieme l’intelligenza di Gibellina e quella di Girgenti?
La frana del 1966 – la ebbe una canzone adeguata, almeno quanto la nevicata romana del ’56? – era così premeditata e annunciata che venne giù senza fretta, quasi scivolando, e permise a uno spazzino – si dice netturbino o, peggio, operatore ecologico, lo so, ma era uno spazzino – Ciccio Farruggia, di decidere, invece che di darsela a gambe, di avvertire famiglia per famiglia e salvare una moltitudine di suoi prossimi. Avrei fatto di Ciccio Farruggia, alla memoria, il protagonista spirituale della Capitale culturale, e della sua ramazza un’insegna promettente. Vedo che anche Alessandro Giuli ha scansato la presentazione del programma a Roma ieri. Forse sarà ad Agrigento sabato col presidente. Fossi in lui – il cielo scampi – verrei ad Agrigento due o tre volte per mio conto, senza un’aria ministeriale, a guardare, sentire, camminare e pensare.
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